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I repubblicani contro le pensioni, di Paul Krugman (New York Times 17 agosto 2015)

 

Republicans Against Retirement

AUG. 17, 2015

Paul Krugman

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Something strange is happening in the Republican primary — something strange, that is, besides the Trump phenomenon. For some reason, just about all the leading candidates other than The Donald have taken a deeply unpopular position, a known political loser, on a major domestic policy issue. And it’s interesting to ask why.

The issue in question is the future of Social Security, which turned 80 last week. The retirement program is, of course, both extremely popular and a long-term target of conservatives, who want to kill it precisely because its popularity helps legitimize government action in general. As the right-wing activist Stephen Moore (now chief economist of the Heritage Foundation) once declared, Social Security is “the soft underbelly of the welfare state”; “jab your spear through that” and you can undermine the whole thing.

But that was a decade ago, during former President George W. Bush’s attempt to privatize the program — and what Mr. Bush learned was that the underbelly wasn’t that soft after all. Despite the political momentum coming from the G.O.P.’s victory in the 2004 election, despite support from much of the media establishment, the assault on Social Security quickly crashed and burned. Voters, it turns out, like Social Security as it is, and don’t want it cut.

It’s remarkable, then, that most of the Republicans who would be president seem to be lining up for another round of punishment. In particular, they’ve been declaring that the retirement age — which has already been pushed up from 65 to 66, and is scheduled to rise to 67 — should go up even further.

Thus, Jeb Bush says that the retirement age should be pushed back to “68 or 70”. Scott Walker has echoed that position. Marco Rubio wants both to raise the retirement age and to cut benefits for higher-income seniors. Rand Paul wants to raise the retirement age to 70 and means-test benefits. Ted Cruz wants to revive the Bush privatization plan.

For the record, these proposals would be really bad public policy — a harsh blow to Americans in the bottom half of the income distribution, who depend on Social Security, often have jobs that involve manual labor, and have not, in fact, seen a big rise in life expectancy. Meanwhile, the decline of private pensions has left working Americans more reliant on Social Security than ever.

And no, Social Security does not face a financial crisis; its long-term funding shortfall could easily be closed with modest increases in revenue.

Still, nobody should be surprised at the spectacle of politicians enthusiastically endorsing destructive policies. What’s puzzling about the renewed Republican assault on Social Security is that it looks like bad politics as well as bad policy. Americans love Social Security, so why aren’t the candidates at least pretending to share that sentiment?

The answer, I’d suggest, is that it’s all about the big money.

Wealthy individuals have long played a disproportionate role in politics, but we’ve never seen anything like what’s happening now: domination of campaign finance, especially on the Republican side, by a tiny group of immensely wealthy donors. Indeed, more than half the funds raised by Republican candidates through June came from just 130 families.

And while most Americans love Social Security, the wealthy don’t. Two years ago a pioneering study of the policy preferences of the very wealthy found many contrasts with the views of the general public; as you might expect, the rich are politically different from you and me. But nowhere are they as different as they are on the matter of Social Security. By a very wide margin, ordinary Americans want to see Social Security expanded. But by an even wider margin, Americans in the top 1 percent want to see it cut. And guess whose preferences are prevailing among Republican candidates.

You often see political analyses pointing out, rightly, that voting in actual primaries is preceded by an “invisible primary” in which candidates compete for the support of crucial elites. But who are these elites? In the past, it might have been members of the political establishment and other opinion leaders. But what the new attack on Social Security tells us is that the rules have changed. Nowadays, at least on the Republican side, the invisible primary has been reduced to a stark competition for the affections and, of course, the money of a few dozen plutocrats.

What this means, in turn, is that the eventual Republican nominee — assuming that it’s not Mr. Trump —will be committed not just to a renewed attack on Social Security but to a broader plutocratic agenda. Whatever the rhetoric, the GOP is on track to nominate someone who has won over the big money by promising government by the 1 percent, for the 1 percent.

 

 

 

I repubblicani contro le pensioni, di Paul Krugman

New York Times 17 agosto 2015

Sta succedendo qualcosa di strano nelle primarie repubblicane – qualcosa di strano che va oltre il fenomeno Trump. Per qualche ragione, praticamente tutti i principali candidati eccetto Donald hanno preso una posizione profondamente impopolare, una posizione notoriamente destinata alla sconfitta, su un importante tema di politica interna. Ed è interessante chiedersi perché.

Il tema in questione è il futuro della Previdenza Sociale [1], che la scorsa settimana ha compiuto gli 80 anni. Il programma pensionistico, come è noto, oltre ad essere estremamente popolare, è da tempo un obbiettivo dei conservatori, che lo vogliono liquidare precisamente perché la sua popolarità contribuisce a legittimare in termini generali l’azione del Governo. Come l’attivista di destra Stephen Moore (oggi capo economista alla Fondazione Heritage) dichiarò in una occasione, la Previdenza Sociale è “il ventre molle dello stato assistenziale”; “trafiggilo con una freccia” e puoi scalzare l’intero sistema.

Ma questo accadde dieci anni orsono, con il tentativo del passato Presidente George W. Bush di privatizzare quel programma – e quello che il signor Bush imparò fu che il ventre non era poi così molle. Nonostante lo slancio politico che veniva dalla vittoria del Partito Repubblicano alle elezioni del 2004, nonostante il sostegno di gran parte dei media, l’assalto alla Previdenza Sociale in poco tempo fallì miseramente. Si scoprì che agli elettori la Previdenza Sociale piace così com’è, e non intendono tagliarla.

É degno di nota, dunque, che la maggioranza dei repubblicani che aspirano alla Presidenza sembrano mettersi in coda per un’altra razione di schiaffi. In particolare, stanno dichiarando che l’età della pensione – che è già stata innalzata dai 65 ani 66 anni ed è previsto che salga sino a 67 – dovrebbe salire ancora di più.

Pertanto, Jeb Bush sostiene che l’età della pensione dovrebbe essere posticipata “a 68 o a 70 anni”. Scott Walker ha riecheggiato quella posizione. Marco Rubio vuole sia elevare l’età del pensionamento che tagliare i sussidi per gli anziani con i redditi più alti. Rand Paul vuole aumentare l’età di pensionamento a 70 anni ed anche i sussidi sulla base delle verifiche del reddito. Ted Cruz vuole ripescare il programma di privatizzazione di Bush. É il caso di ricordare che queste proposte sarebbero davvero una pessima soluzione per i cittadini – un duro colpo agli americani che stanno nella metà più bassa della distribuzione del reddito, che dipendono dalla Previdenza Sociale, che spesso sono occupati in posti che comportano lavoro manuale e non hanno, di fatto, conosciuto un grande incremento nelle aspettative di vita. Nel frattempo, il declino delle pensioni private ha comportato che gli americani che lavorano si affidino sempre di più alla Previdenza Sociale.

Per giunta, non è affatto vero che la Previdenza Sociale sia di fronte ad una crisi finanziaria; la riduzione nel lungo periodo dei suoi finanziamenti potrebbe facilmente essere tamponata con modesti incrementi nelle entrate.

Eppure, lo spettacolo di uomini politici che abbracciano con entusiasmo politiche distruttive non dovrebbe sorprendere nessuno. Quello che è misterioso nel rinnovato assalto repubblicano alla Previdenza Sociale è che esso appare contemporaneamente come un pessimo atto di governo e come un gesto politico del tutto antipopolare. Gli americani amano la Previdenza Sociale, perché dunque i candidati almeno non fanno finta di condividere quel sentimento?

Direi che la risposta vada tutta ricercata nelle grandi ricchezze.

Da tempo le persone ricche giocano un ruolo sproporzionato in politica, ma non abbiamo mai visto niente di simile a quello che sta accadendo oggi: il dominio nella campagna dei finanziamenti, in particolare sul versante dei repubblicani, da parte di un minuscolo gruppo di donatori immensamente ricchi. In effetti, più della metà dei fondi raccolti da parte dei candidati repubblicani sino a giugno, provengono da appena 130 famiglie.

E mentre la maggioranza dei repubblicani apprezza la Previdenza Sociale, lo stesso non si può dire di quei magnati. Due anni orsono uno studio pioneristico sulle preferenze politiche delle persone molto ricche mise in evidenza molti contrasti con le opinioni della opinione pubblica; come ci si poteva aspettare, i ricchi sono politicamente diversi da voi e da me. Ma in nessun luogo sono altrettanto diversi come in materia di Previdenza Sociale. Con un margine amplissimo, gli americani sono a favore di una espansione della Previdenza Sociale [2]. Ma con un margine anche maggiore, l’1 per cento degli americani più ricchi la vogliono tagliare. E vi potete immaginare a chi vadano le preferenze, tra i candidati repubblicani.

Spesso si leggono analisi politiche che mettono in evidenza, giustamente, che il voto nelle primarie effettive è preceduto da “primarie invisibili” nelle quali i candidati competono per il sostegno delle classi dirigenti determinanti. Ma chi sono queste classi dirigenti? Nel passato, potevano essere membri dell’establishment politico ed altre personalità influenti. Ma il nuovo attacco alla Previdenza Sociale ci dice che le regole sono cambiate. Di questi tempi, almeno dal lato dei repubblicani, le primarie invisibili si sono ridotte ad una cruda competizione per i favori e, naturalmente, per i soldi di poche dozzine di plutocrati.

A sua volta, questo comporta che l’eventuale nominato repubblicano – ammesso che non sia il signor Trump – si sentirà impegnato non solo ad un rinnovato attacco alla Previdenza Sociale, ma ad un più generale programma plutocratico. A prescindere dalla propaganda, il Partito Repubblicano si orienta a nominare chi avrà avuto il consenso delle grandi ricchezze, con la promessa di governare secondo le indicazioni dell’1 per cento e a favore dell’1 per cento.

 

[1] Il termine “Social Security”, in realtà, non si riferisce sempre e necessariamente al solo settore pensionistico. Negli anni ’30 la legislazione sociale venne in generale introdotta con una legge unitaria, e gli emendamenti dei programmi sanitari (Medicare venne introdotto sotto Johnson nel 1966) furono emendamenti alla legge sulla “Social Security”. Se ben capisco, ancora oggi Medicare e Medicaid sono amministrati dalla amministrazione della Social Security. Ciononostante, in genere ci si riferisce a quel contenitore intendendo il programma specifico relativo alle pensioni. Questa è la ragione per la quale traduciamo con l’italiano omologo Previdenza Sociale.

[2] In questo caso, il riferimento potrebbe però non riguardare soltanto l’aspetto pensionistico, giacché una situazione del tutto simile si constata anche sui programmi sanitari, o almeno sulla assistenza sanitaria agli anziani.

 

 

 

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