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Quando la Cina inciampa, di Paul Krugman (New York Times 8 gennaio 2016)

 

When China Stumbles

Paul KrugmanJAN. 8, 2016

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So, will China’s problems cause a global crisis? The good news is that the numbers, as I read them, don’t seem big enough. The bad news is that I could be wrong, because global contagion often seems to end up being worse than hard numbers say it should. And the worse news is that if China does deliver a bad shock to the rest of the world, we are remarkably unready to deal with the consequences.

For those just starting to pay attention: It has been obvious for a while that China’s economy is in big trouble. How big is hard to say, because nobody believes official Chinese statistics.

The basic problem is that China’s economic model, which involves very high saving and very low consumption, was only sustainable as long as the country could grow extremely fast, justifying high investment. This in turn was possible when China had vast reserves of underemployed rural labor. But that’s no longer true, and China now faces the tricky task of transitioning to much lower growth without stumbling into recession.

A reasonable strategy would have been to buy time with credit expansion and infrastructure spending while reforming the economy in ways that put more purchasing power into families’ hands. Unfortunately, China pursued only the first half of that strategy, buying time and then squandering it. The result has been rapidly rising debt, much of it owed to poorly regulated “shadow banks,” and a threat of financial meltdown.

So the Chinese situation looks fairly grim — and new numbers have reinforced fears of a hard landing, leading not just to a plunge in Chinese stocks but to sharp declines in stock prices worldwide.

O.K., so far so bad. And some smart people think that the global implications are really scary; George Soros is comparing it to 2008.

As I suggested above, however, I have a hard time making the numbers for that kind of catastrophe work. Yes, China is a big economy, accounting in particular for about a quarter of world manufacturing, so what happens there has implications for all of us. And China buys more than $2 trillion worth of goods and services from the rest of the world each year. But it’s a big world, with a total gross domestic product excluding China of more than $60 trillion. Even a drastic fall in Chinese imports would be only a modest hit to world spending.

What about financial linkages? One reason America’s subprime crisis turned global in 2008 was that foreigners in general, and European banks in particular, turned out to be badly exposed to losses on U.S. securities. But China has capital controls — that is, it isn’t very open to foreign investors — so there’s very little direct spillover from plunging stocks or even domestic debt defaults.

All of this says that while China itself is in big trouble, the consequences for the rest of us should be manageable. But I have to admit that I’m not as relaxed about this as the above analysis says I should be. If you like, I lack the courage of my complacency. Why?

Part of the answer is that business cycles across nations often seem to be more synchronized than they “should” be. For example, Europe and the United States export to each other only a small fraction of what they produce, yet they often have recessions and recoveries at the same time. Financial linkages may be part of the story, but one also suspects that there is psychological contagion: Good or bad news in one major economy affects animal spirits in others.

So I worry that China may export its woes in ways back-of-the-envelope calculations miss, that the Middle Kingdom’s troubles will one way or another have the effect of depressing investment spending in America and Europe as well as in other emerging markets. And if my worries come true, we are woefully unready to deal with the shock.

After all, who would respond to a China shock, and how? Monetary policy would probably be of little help. With interest rates still close to zero and inflation still below target, the Fed would have limited ability to fight an economic downdraft in any case, and it has probably reduced its effectiveness further by signaling its eagerness to raise rates at the first excuse. Meanwhile, the European Central Bank is already pushing to the limits of its political mandate in its own so far unsuccessful effort to raise inflation.

And while fiscal policy — essentially, spending more to offset the effects of China spending less — would surely work, how many people believe that Republicans would be receptive to a new Obama stimulus plan, or that German politicians would look kindly on a proposal for bigger deficits in Europe?

Now, my best guess is still that things won’t be that bad — nasty in China, but just a bit of turbulence elsewhere. And I really, really hope that guess is right, because we don’t seem to have a plan B anywhere in sight.

 

Quando la Cina inciampa, di Paul Krugman

New York Times 8 gennaio 2016

Dunque, i problemi della Cina provocheranno una crisi globale? La buona notizia è che i numeri, per come li leggo, non sembrano sufficientemente grandi. La cattiva notizia è che potrei sbagliarmi, perché il contagio globale sembra spesso finir coll’essere peggiore di quello che i freddi dati direbbero. E la notizia peggiore è che se la Cina davvero consegna un brutto trauma al resto del mondo, noi siamo considerevolmente impreparati ad affrontarne le conseguenze.

Per coloro che stanno appena cominciando a prestare attenzione: è evidente da un po’ che l’economia cinese è in un grande guaio. Quanto grande è difficile a dirsi, giacché nessuno crede alle statistiche ufficiali cinesi.

Il problema fondamentale è che il modello economico cinese, che comporta risparmi molto elevati e consumi molto bassi, era sostenibile solo finché il paese poteva crescere in modo estremamente rapido, giustificando alti investimenti. A sua volta, questo era possibile quando la Cina aveva vaste riserve di forza lavoro rurale sottoccupata. Ma non è più così, e la Cina adesso è dinanzi al compito difficoltoso di operare una transizione verso una crescita molto più bassa senza inciampare nella recessione.

Una strategia ragionevole sarebbe stata prender tempo con l’espansione del credito e la spesa in infrastrutture, mentre riformava l’economia in modi che ponessero maggiore potere di acquisto nella mani delle famiglie. La Cina ha perseguito solo la prima parte di quella strategia, prendendo temo e poi sprecandolo. Il risultato è stato un debito rapidamente crescente, gran parte del quale dovuto ad una “sistema bancario ombra” scarsamente regolamentato, ed una minaccia di collasso finanziario.

Dunque, la situazione cinese appare abbastanza cupa – ed i nuovi dati hanno rafforzato i timori di un atterraggio duro, che porta non soltanto ad un crollo nelle azioni cinese ma ad un brusco declino nei prezzi delle azioni su scala mondiale.

E, sin qua, queste sono le cose negative. Si aggiunga che alcune persone acute pensano che le implicazioni globali siano realmente allarmanti: George Soros fa un paragone con il 2008.

Come ho indicato sopra, tuttavia, ho difficoltà a far quadrare i numeri per quel genere di catastrofe. É vero, la Cina è una grande economia, rappresentando in particolare circa un quarto del settore manifatturiero mondiale, cosicché quello che lì accade ha implicazioni per tutti. Ed ogni anno la Cina acquista un valore superiore a 2000 miliardi di dollari di beni e servizi dal resto del mondo. Ma è un mondo grande, con un prodotto interno lordo totale, esclusa la Cina, di più di 60 mila miliardi di dollari. Anche una caduta drastica delle importazioni cinesi provocherebbe solo un colpo modesto alla spesa mondiale.

Che dire delle connessioni finanziarie? Una ragione per la quale la crisi americana dei subprime divenne globale nel 2008 fu che gli stranieri in generale, e le banche europee in particolare, si scoprirono essere malamente esposti alle perdite sui titoli degli Stati Uniti. Ma la Cina ha i controlli sui capitali – ovvero, non è molto aperta agli investitori stranieri – dunque ci sono ripercussioni molto modeste da crolli azionari o persino da default del debito interno.

Tutto questo dice che mentre la Cina per suo conto ha un grande guaio, le conseguenze per il resto del mondo dovrebbero essere gestibili. Ma devo ammettere di non essere da tutto questo così tranquillizzato, come l’analisi sopra esposta dice dovrei essere. Se preferite, mi manca l’audacia della eccessiva sicurezza. Perché?

In parte la risposta è che i cicli economici tra le nazioni sembrano spesso essere più sincronizzati di come “dovrebbero” essere. Ad esempio, l’Europa e gli Stati Uniti esportano tra di loro solo una piccola frazione di quello che producono, tuttavia hanno spesso recessioni e riprese negli stessi periodi. Le connessioni finanziarie possono essere una parte della spiegazione, ma si ha anche il sospetto che ci sia un contagio psicologico: buone o cattive notizie in una importante economia influenzano gli ‘spiriti animali’ nelle altre.

Sono dunque preoccupato che la Cina possa esportare i suoi guai in modi che sfuggono a calcoli semplicistici, che i guai del Regno di Mezzo, in un modo o nell’altro, avranno l’effetto di deprimere la spesa per investimenti in America e in Europa, come pure in altri mercati emergenti. E se le mie preoccupazioni si avverassero, noi siamo sfortunatamente impreparati a misurarci con quel trauma.

Dopo tutto, chi dovrebbe rispondere e come ad uno shock cinese? La politica monetaria, probabilmente, sarebbe di poco aiuto. Con i tassi di interesse ancora prossimi allo zero e l’inflazione ancora al di sotto dell’obbiettivo, la Fed avrebbe in ogni caso una capacità limitata di contrastare una fase di declino, ed ha probabilmente ridotto ulteriormente la sua efficacia segnalando al primo pretesto il suo entusiasmo ad elevare i tassi. Contemporaneamente, la Banca Centrale Europea sta già spingendosi ai limiti del suo mandato istituzionale, nel proprio sino ad oggi infruttuoso sforzo di elevare l’inflazione.

E mentre la politica della finanza pubblica – fondamentalmente, spendere di più per bilanciare gli effetti della minore spesa cinese – sicuramente funzionerebbe, quanta gente può credere che i repubblicani sarebbero concilianti con un nuovo programma di sostegno all’economia da parte di Obama, oppure che i politici tedeschi guarderebbero con benevolenza ad una proposta di deficit più alti in Europa?

Ora, la mia ipotesi più favorevole è che le cose non diverranno così negative – saranno sgradevoli in Cina, ma altrove non si andrà oltre un po’ di turbolenza. E spero per davvero che la mia congettura sia giusta, perché non sembra ci sia da nessuna parte un Piano B alle viste.

 

 

 

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