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I compagni di viaggio di Trump, di Paul Krugman (New York Times 3 ottobre 2016)

 

Trump’s Fellow Travelers

Paul Krugman OCT. 3, 2016

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Donald Trump has just had an extraordinarily bad week, and Hillary Clinton an extraordinarily good one; betting markets now put Mrs. Clinton’s odds of winning almost as high as they were just after the Democratic convention. But both Mrs. Clinton’s virtues and Mr. Trump’s vices have been obvious all along. How, then, did the race manage to get so close on the eve of the debate?

A lot of the answer, I’ve argued, lies in the behavior of the news media, which spent the month before the first debate jeering at Mrs. Clinton, portraying minor missteps as major sins and inventing fake scandals out of thin air. But let us not let everyone else off the hook. Mr. Trump couldn’t have gotten as far as he has without the support, active or de facto, of many people who understand perfectly well what he is and what his election would mean, but have chosen not to take a stand.

Let’s start with the Republican political establishment, which is supporting Mr. Trump just as if he were a normal presidential nominee.

I’ve had a lot of critical things to say about Mitch McConnell, the Senate majority leader, and Paul Ryan, the speaker of the House. One thing of which I would never accuse them, however, is stupidity. They know what kind of man they’re dealing with — but they are spending this election pretending that we’re having a serious discussion about policy, that a vote for Mr. Trump is simply a vote for lower marginal tax rates. And they should not be allowed to flush the fact of their Trump support down the memory hole when the election is behind us.

This goes in particular for Mr. Ryan, who has received extraordinarily favorable press treatment over the years — portrayed as an honest, serious policy wonk with a sincere concern for fiscal probity. This reputation was never deserved; his policy proposals have always been obvious flimflam. But in the past, criticisms of Mr. Ryan depended on pointing out hard stuff, like the fact that his numbers didn’t add up. Now it can be made much simpler: Every time he’s held up as an example of seriousness, remember that when it mattered, he backed Donald Trump.

While almost all Republican officeholders have endorsed Mr. Trump, the same isn’t true of what we might call the G.O.P. intelligentsia – actual or at least self-proclaimed policy experts, opinion writers, and so on. For the most part, the members of this group haven’t spoken up in support of this year’s Republican nominee. For example, not a single former member of the Council of Economic Advisers has endorsed Mr. Trump. If you look at who has endorsed Mr. Trump — say, at the signatories of the statement of support from “Scholars and Writers for America” — it’s actually a fairly pathetic group.

But if you think that electing Mr. Trump would be a disaster, shouldn’t you be urging your fellow Americans to vote for his opponent, even if you don’t like her? After all, not voting for Mrs. Clinton — whether you don’t vote at all, or make a purely symbolic vote for a third-party candidate — is, in effect, giving half a vote to Mr. Trump.

To be fair, quite a few conservative intellectuals have accepted that logic, especially among foreign-policy types; you have to give people like, say,Paul Wolfowitz some credit for political courage. But there have also been many who balked at doing the right thing; when Henry Kissinger and George Schultz piously declared that they were not going to endorse anyone, it was a profile in cowardice.

And the response from sane Republican economists has been especially disappointing. Only charlatans and cranks have endorsed Mr. Trump, but only a handful have risen to the occasion and been willing to say that if keeping him out of the White House is important, you need to vote for Mrs. Clinton.

Finally, it’s dismaying to see the fecklessness of those on the left supporting third-party candidates. A few seem to believe in the old doctrine of social fascism — better to see the center-left defeated by the hard right, because that sets the stage for a true progressive revolution. That worked out wonderfully in 1930s Germany.

But for most it seems to be about politics as personal expression: they dislike Mrs. Clinton — partly because they’ve bought into a misleading media image — and plan to express that dislike by staying at home or voting for someone like Gary Johnson, the Libertarian candidate. If polls are to be believed, something like a third of young voters intend to, in effect, opt out of this election. If they do, Mr. Trump might yet win.

In fact, the biggest danger from Mr. Trump’s terrible week is that it might encourage complacency and self-indulgence among voters who really, really wouldn’t want to see him in the White House. So remember: Your vote only counts if you cast it in a meaningful way.

 

I compagni di viaggio di Trump, di Paul Krugman

New York Times 3 ottobre 2016

Donald Trump ha appena concluso una settimana straordinariamente negativa, e Hillary Clinton una straordinariamente buona; i mercati delle scommesse adesso mettono le probabilità di vittoria della Clinton quasi allo stesso livello in cui erano prima della Convenzione democratica. Ma sia le virtù della Clinton che i vizi di Trump erano evidenti sin dall’inizio. Come aveva potuto, allora, la competizione riuscire a diventare così ravvicinata al momento del dibattito?

Ho sostenuto che gran parte della risposta sta nel comportamento dei media dell’informazione, che ha utilizzato il mese precedente al primo dibattito facendosi beffe della Clinton, descrivendo infortuni secondari come se fossero peccati gravi e inventandosi dal nulla falsi scandali. Ma non vorremmo scagionare tutti gli altri. Trump non avrebbe potuto arrivare dove è arrivato senza il sostegno, attivo o di fatto, di molte persone che capiscono perfettamente chi egli sia e che cosa comporterebbe la sua elezione, ma che hanno scelto di non prendere posizione.

Cominciamo con il gruppo dirigente repubblicano, che sta sostenendo Trump proprio come se fosse un normale candidato presidenziale.

Ho avuto molte critiche da avanzare su Mitch McConnell, il leader della maggioranza al Senato, e su Paul Ryan, lo speaker della Camera. Tuttavia, non li avrei mai accusati di stupidità. Sanno con che genere di persona stanno trattando – ma stanno utilizzando questa elezione fingendo di avere una seria discussione sui programmi, come se un voto per Trump fosse semplicemente un voto per aliquote fiscali marginali più basse. E non gli dovrebbe essere concesso di relegare il loro sostegno a Trump in un buco della memoria, quando le elezioni saranno alle nostre spalle.

Questo vale in particolare per il signor Ryan, che aveva ricevuto nel corso degli anni commenti giornalistici straordinariamente favorevoli – descritto come un esperto di politica onesto e serio, sinceramente preoccupato della rettitudine nella gestione della finanza pubblica. Egli non si è mai meritato una reputazione del genere; le sue proposte politiche sono sempre state evidenti fandonie. Ma nel passato, criticare Ryan consisteva nel mettere in evidenza cose complicate, come il fatto che i suoi numeri non quadravano. D’ora in poi potrà essere fatto in modo molto più semplice: ogni volta che verrà additato come un esempio di serietà, si ricordi che, quando era importante, egli scelse di sostenere Donald Trump.

Mentre quasi tutti i detentori di cariche tra i repubblicani hanno appoggiato Trump, non si può dire lo stesso di quella che potremmo definire l’intellighenzia del Partito Repubblicano – effettivi esperti di politica o almeno sedicenti tali, commentatori, e via dicendo.  Per la maggior parte, i componenti di questo gruppo non hanno preso parola a sostegno del candidato repubblicano di quest’anno. Ad esempio, non un unico passato componente del Comitato dei Consulenti Economici ha dato il suo appoggio a Trump. Se osservate chi ha effettivamente dato il suo appoggio a Trump –  ad esempio, i firmatari della dichiarazione di sostegno del comitato degli “Studiosi e scrittori per l’America” – si tratta effettivamente di un gruppo abbastanza patetico.

Ma se pensate che eleggere Trump sarebbe un disastro, non dovreste spingere i vostri concittadini americani a votare per la sua oppositrice, anche se non vi piace? Dopo tutto, non votare per la Clinton – che non si voti affatto o si dia un voto puramente simbolico ad un candidato di un terzo partito – è in effetti come dare mezzo voto a Trump.

Ad essere sinceri, un buon numero di intellettuali conservatori hanno accettato questa logica, specialmente tra gli esperti di politica estera; si deve dare un po’ di credito per il coraggio politico a persone, ad esempio, come Paul Wolfowitz [1]. Ma ce ne sono stati anche molti che esitano a fare la cosa giusta; quando Henry Kissinger e George Schultz hanno dichiarato che non erano intenzionati ad appoggiare nessuno, hanno messo in evidenza un atteggiamento di viltà [2].

E la risposta da parte di economisti repubblicani non folli è stata particolarmente deludente. Soltanto i ciarlatani e gli eccentrici hanno appoggiato Trump, ma soltanto una manciata sono stati all’altezza della circostanza e sono stati disponibili a dire che se tenere Trump fuori dalla Casa Bianca è importante, bisogna votare per la Clinton.

Infine, sgomenta constatare l’inconcludenza di coloro che, a sinistra, sostengono candidati di terzi partiti. Alcuni sembrano credere nella dottrina del socialfascismo – meglio vedere il centrosinistra sconfitto dalla destra estrema, perché questo prepara il terreno ad una vera rivoluzione progressista. Teoria che funzionò egregiamente nella Germania degli anni ’30.

Ma per la maggioranza di loro tutto pare discendere da una concezione della politica come sentimento personale: a loro non piace la Clinton – in parte perché hanno abboccato alla fuorviante immagine dei media – ed hanno in mente di esprimere quel non gradimento stando a casa o votando per qualcuno come Gary Johnson, il candidato libertariano [3]. Se si deve credere ai sondaggi, qualcosa come un terzo degli elettori giovani, in sostanza, intende chiamarsi fuori da questa elezione. Se lo facessero, Trump potrebbe ancora vincere.

Di fatto, il pericolo più grande a seguito della settimana terribile di Trump è che essa potrebbe incoraggiare l’indifferenza e l’auto indulgenza di elettori che proprio non dovrebbero volerlo alla Casa Bianca. Dunque, tenetelo a mente: il vostro voto conta soltanto se lo esprimete in modo comprensibile.

 

 

[1] Il riferimento alle intenzioni di voto di Wolfwitz – un noto protagonista della guerra di Bush in Iraq – si trova in un lunghissimo e interessante elenco pubblicato sulla rivista “The Atlantic” sulle intenzioni di voto di personaggi conservatori. Interessante, perché mostra un livello di contrarietà e di astensionismo abbastanza vasto. Wolfowitz ha dichiarato in una intervista a Der Spiegel “La sola cosa che vi può confortare sulla politica estera di Trump, è pensare che egli in realtà non intenda niente di quello che dice”. Wolfowitz ha annunciato che probabilmente voterà per la Clinton, allo stesso modo di influenti personaggi dell’epoca di Reagan e di George Bush come: Hank Paulson, John Negroponte, George P. Schultz, Robert Gates, George Will, per dirne solo alcuni dei meno ignoti.

[2] Schultz, che fu Ministro con Nixon e con Reagan, per l’esattezza ha però commentato una eventuale presidenza Trump con l’espressione: “Dio ci aiuti!”.

[3] Il Partito Libertario (in inglese: Libertarian Party) o Partito libertariano è un partito politico statunitense, fondato l’11 dicembre 1971. Il suo programma politico è fondato sulla filosofia detta libertarianismo, di conseguenza ha come obiettivi cardine meno regolamentazione, maggiore libero mercato, maggiore difesa delle libertà civili ed individuali, difende ilcapitalismo puro e si batte contro ogni intervento dello Stato sia nel campo economico che in quello sociale, ed in generale propone un certo isolazionismo in politica estera, nell’ambito di un non-interventismo a motivazione preminentemente fiscale. (Wikipedia) In sostanza, il “libertarianismo” ha nella storia americana un chiaro connotato di destra, del resto ampiamente confermato dalle simpatie che ha ricevuto nel corso di un secolo. Noi dunque traduciamo “libertariano” – anziché “libertario” – per l’evidente significato peculiare che il termine ha nella storia e nel linguaggio politico americano; mentre la seconda soluzione, in particolare nel linguaggio italiano, ha una storia del tutto opposta.

 

 

 

 

 

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