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L’America diventa uno “Stan”, di Paul Krugman (New York Times 2 gennaio 2017)

 

America Becomes a Stan

Paul Krugman JAN. 2, 2017

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In 2015 the city of Ashgabat, the capital of Turkmenistan, was graced with a new public monument: a giant gold-plated sculpture portraying the country’s president on horseback. This may strike you as a bit excessive. But cults of personality are actually the norm in the “stans,” the Central Asian countries that emerged after the fall of the Soviet Union, all of which are ruled by strongmen who surround themselves with tiny cliques of wealthy crony capitalists.

Americans used to find the antics of these regimes, with their tinpot dictators, funny. But who’s laughing now?

We are, after all, about to hand over power to a man who has spent his whole adult life trying to build a cult of personality around himself; remember, his “charitable” foundation spent a lot of money buying a six-foot portrait of its founder. Meanwhile, one look at his Twitter account is enough to show that victory has done nothing to slake his thirst for ego gratification. So we can expect lots of self-aggrandizement once he’s in office. I don’t think it will go as far as gold-plated statues, but really, who knows?

Meanwhile, with only a couple of weeks until Inauguration Day, Donald Trump has done nothing substantive to reduce the unprecedented — or, as he famously wrote on Twitter, “unpresidented” — conflicts of interest created by his business empire. Pretty clearly, he never will — in fact, he’s already in effect using political office to enrich himself, with some of the most blatant examples involving foreign governments steering business to Trump hotels.

This means that Mr. Trump will be in violation of the spirit, and arguably the letter, of the Constitution’s emoluments clause, which bars gifts or profits from foreign leaders, the instant he recites the oath of office. But who’s going to hold him accountable? Some prominent Republicans are already suggesting that, rather than enforcing the ethics laws, Congress should simply change them to accommodate the great man.

And the corruption won’t be limited to the very top: The new administration seems set to bring blatant self-dealing into the center of our political system. Abraham Lincoln may have led a team of rivals; Donald Trump seems to be assembling a team of cronies, choosing billionaires with obvious, deep conflicts of interest for many key positions in his administration.

In short, America is rapidly turning into a stan.

I know that many people are still trying to convince themselves that the incoming administration will govern normally, despite the obviously undemocratic instincts of the new commander in chief and the questionable legitimacy of the process that brought him to power. Some Trump apologists have even taken to declaring that we needn’t worry about corruption from the incoming clique, because rich men don’t need more money. Seriously.

But let’s get real. Everything we know suggests that we’re entering an era of epic corruption and contempt for the rule of law, with no restraint whatsoever.

How could this happen in a nation that has long prided itself as a role model for democracies everywhere? In a direct sense, Mr. Trump’s elevation was made possible by the F.B.I.’s blatant intervention in the election, Russian subversion, and the supine news media that obligingly played up fake scandals while burying real ones on the back pages.

But this debacle didn’t come out of nowhere. We’ve been on the road to stan-ism for a long time: an increasingly radical G.O.P., willing to do anything to gain and hold power, has been undermining our political culture for decades.

People tend to forget how much of the 2016 playbook had already been used in earlier years. Remember, the Clinton administration was besieged by constant accusations of corruption, dutifully hyped as major stories by the news media; not one of these alleged scandals turned out to involve any actual wrongdoing. Not incidentally, James Comey, the F.B.I. director whose intervention almost surely swung the election, had previously worked for the Whitewater committee, which spent seven years obsessively investigating a failed land deal.

People also tend to forget just how bad the administration of George W. Bush really was, and not just because it led America to war on false pretenses. There was also an upsurge in cronyism, with many key posts going to people with dubious qualifications but close political and/or business ties to top officials. Indeed, America botched the occupation of Iraq in part thanks to profiteering by politically connected businesses.

The only question now is whether the rot has gone so deep that nothing can stop America’s transformation into Trumpistan. One thing is for sure: It’s destructive as well as foolish to ignore the uncomfortable risk, and simply assume that it will all be O.K. It won’t.

 

L’America diventa uno “Stan” [1], di Paul Krugman

New York Times 2 gennaio 2017

Nel 2015 alla città di Ashgabat, la capitale del Turkmenistan, venne fatto l’onore di un nuovo monumento pubblico: una gigantesca scultura dorata che ritraeva il Presidente del paese in sella a un cavallo. Potrebbe sorprendervi come un po’ eccessivo. Ma, negli “stan”, i paesi dell’Asia Centrale emersi dopo la caduta dell’Unione Sovietica e tutti governati da uomini forti che si circondano di piccole consorterie di ricchi capitalisti ammanigliati al potere, i culti della personalità sono effettivamente la norma.

Gli americani consideravano di solito strambe le pagliacciate di questi regimi, con i loro dittatori da quattro soldi. Ma oggi chi ne ride?

Dopo tutto, siamo prossimi a consegnare il potere ad un individuo che ha speso l’intera sua vita adulta a costruire attorno a sé un culto della personalità; si rammenti che la sua ‘filantropica’ Fondazione ha speso un sacco di soldi per acquistare un ritratto alto due metri del suo fondatore. Nel frattempo, un’occhiata alla sua pagina su Twitter è sufficiente per mostrare che la vittoria non ha fatto niente per estinguere la sua sete di gratificazione dell’ego. Dunque, una volta che sarà in carica, possiamo aspettarci una gran quantità di ostentazioni. Forse non si spingerà sino alle statue dorate, ma chi lo sa?

Al tempo stesso, a solo un paio di settimane dal Giorno dell’Inaugurazione, Donald Trump non ha fatto niente di sostanziale per ridurre i conflitti di interesse senza precedenti – o, come lui stesso ha notoriamente scritto su Twitter, “unpresidented” [2] – determinati dal suo impero affaristico. È piuttosto chiaro che non lo farà mai – di fatto, sta già utilizzando la sua carica politica per arricchirsi, con alcuni dei più sfacciati esempi di Governi stranieri che indirizzano affari verso gli hotel di Trump [3].

Questo significa che il signor Trump violerà lo spirito, e probabilmente la lettera, della clausola della Costituzione sugli emolumenti, che fa divieto di ricevere doni o profitti da governi stranieri, nel giuramento stesso che si recita entrando in carica. Ma chi avrà intenzione di perseguirlo? Alcuni eminenti repubblicani stanno già suggerendo che il Congresso, anziché rafforzare la legislazione sugli aspetti etici, dovrebbe semplicemente modificarla per adattarla al grand’uomo.

E la corruzione non si limiterà al vertice dello Stato: la nuova Amministrazione pare che sia pronta a collocare gente che fa affari in proprio senza ritegno al centro del nostro sistema politico. Abramo Lincoln aveva con sé una squadra di rivali; Donald Trump pare stia mettendo assieme una squadra di compari, scegliendo miliardari con evidenti, profondi conflitti di interesse per molte posizioni chiave della sua amministrazione.

In poche parole, l’America si sta rapidamente trasformando in uno “stan”.

Capisco che molte persone stanno ancora cercando di convincersi che l’Amministrazione in arrivo governerà normalmente, nonostante gli istinti evidentemente non democratici del ‘comandante in capo’ e la discutibile legittimità del processo che lo ha portato al potere. Alcuni difensori di Trump hanno persino cominciato a dichiarare che non ci dobbiamo preoccupare della corruzione per la cricca in arrivo, dato che i ricchi non hanno bisogno di maggiore denaro. E lo dicono seriamente.

Ma siamo realisti. Tutto quello che conosciamo indica che stiamo entrando in un’era di corruzione e di disprezzo per lo stato di diritto smisurata, senza alcun controllo di sorta.

Come è potuto accadere tutto questo in un paese che da tempo si inorgogliva del suo ruolo guida per tutte le democrazie? Per dirlo esplicitamente, la nomina di Trump è stata resa possibile dallo sfacciato intervento dell’FBI nelle elezioni, dalle iniziative sovversive dei russi e dall’atteggiamento remissivo dei media dell’informazione che hanno enfatizzato falsi scandali mentre seppellivano quelli veri nelle pagine di coda.

Ma questa débâcle non è venuta dal nulla. Sono anni che siamo sulla strada di un regime “stan”; un Partito repubblicano sempre più estremista, disponibile a tutto pur di guadagnare e mantenere il potere, per decenni hanno minato la nostra cultura politica.

Le persone tendono a dimenticare quanta parte del repertorio del 2016 fosse già stata usata in precedenza. Si ricordi, l’Amministrazione Clinton venne perseguitata da continue accuse di corruzione, coscienziosamente pubblicizzate come storie importanti dai media dell’informazione; nessuno di questi pretesi scandali risultò comportare alcuna effettiva malefatta. Non casualmente, James Comey, il Direttore dell’FBI il cui intervento quasi certamente ha alterato le elezioni, aveva precedentemente lavorato per la Commissione Whitewater, che spese sette anni per investigare ossessivamente si un investimento immobiliare finito male.

La gente tende anche a scordarsi di quanto fu davvero negativa l’Amministrazione di George W. Bush, e non solo perché condusse l’America in guerra con argomenti falsi. Ci fu anche una impennata di clientelismo, con molti posti chiave che andarono a persone con dubbie qualifiche ma con stretti legami politici e/o affaristici con le autorità più importanti. In effetti, l’America raffazzonò l’occupazione dell’Iraq in parte grazie agli affari di imprese politicamente amiche.

A questo punto, la sola domanda è se il marcio è andato così in profondità che niente potrà evitare la trasformazione dell’America in un Trumpistan. Una cosa è certa: è sia distruttivo che stupido ignorare questo rischio imbarazzante e considerare semplicemente che andrà tutto per il meglio. Non sarà così.

 

 

[1] Viene chiarito nel testo che “Stan” è un paese dell’Asia Centrale, o meglio il suffisso con il quale si accompagnano molti nomi di quei paesi. È un termine che ha origine dal persiano, e significa “il posto di”. Come, ad esempio, Turkmenistan.

[2] Forse una specie di lapsus, più che un errore di grafia; Trump ha modificato il termine “senza precedenti” con qualcosa come “senza presidente”.

[3] In connessione, la notizia di una iniziativa del genere da parte del Kuwait.

 

 

 

 

 

 

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