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Reagan, Trump e il settore manifatturiero (dal blog di Krugman, 25 gennaio 2017)

 

JAN 25 3:46 PM 

Reagan, Trump, and Manufacturing

 

It’s hard to focus on ordinary economic analysis amidst this political apocalypse. But getting and spending will still consume most of peoples’ energy and time; furthermore, like it or not the progress of CASE NIGHTMARE ORANGE may depend on how the economy does. So, what is actually likely to happen to trade and manufacturing over the next few years?

As it happens, we have what looks like an unusually good model in the Reagan years — minus the severe recession and conveniently timed recovery, which somewhat overshadowed the trade story. Leave aside the Volcker recession and recovery, and what you had was a large move toward budget deficits via tax cuts and military buildup, coupled with quite a lot of protectionism — it’s not part of the Reagan legend, but the import quota on Japanese automobiles was one of the biggest protectionist moves of the postwar era.

I’m a bit uncertain about the actual fiscal stance of Trumponomics: deficits will surely blow up, but I won’t believe in the infrastructure push until I see it, and given savage cuts in aid to the poor it’s not entirely clear that there will be net stimulus. But suppose there is. Then what?

Well, what happened in the Reagan years was “twin deficits”: the budget deficit pushed up interest rates, which caused a strong dollar, which caused a bigger trade deficit, mainly in manufactured goods (which are still most of what’s tradable.) This led to an accelerated decline in the industrial orientation of the U.S. economy:

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And people did notice. Using Google Ngram, we can watch the spread of terms for industrial decline, e.g. here:

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And here:

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Again, this happened despite substantial protectionism.

So Trumpism will probably follow a similar course; it will actually shrink manufacturing despite the big noise made about saving a few hundred jobs here and there.

On the other hand, by then the BLS may be thoroughly politicized, commanded to report good news whatever happens.

 

Reagan, Trump e il settore manifatturiero

È difficile concentrarsi sull’analisi economica ordinaria in mezzo a questa apocalisse politica. Ma acquistare e spendere occuperà ancora la maggioranza dell’energia e del tempo della gente; inoltre, piaccia o no il progresso della ‘tesi da incubo dell’uomo arancione[1] può dipendere da come va l’economia. Dunque, cosa è effettivamente probabile che accada al commercio e al settore manifatturiero nei prossimi anni?

Si dà il caso che abbiamo qualcosa che assomiglia ad un modello insolitamente buono negli anni di Reagan – al netto della grave recessione e di una ripresa opportunamente tempestiva, che in qualche modo ha fatto passare in secondo piano l’aspetto relativo al commercio. Mettete da parte la recessione e la ripresa di Volcker, e quello che avete avuto fu un ampio spostamento verso i deficit di bilancio attraverso gli sgravi fiscali e il consolidamento militare, accompagnato da un bel po’ di protezionismo – non fa parte della leggenda di Reagan, ma il limite massimo delle importazioni sulle automobili giapponesi fu una delle più grandi mosse protezionistiche del periodo post bellico.

Sono un po’ incerto a proposito dell’effettivo indirizzo di finanza pubblica della politica economica di Trump: i deficit certamente cresceranno, ma non crederò alla spinta sulle infrastrutture sinché non la vedo, e considerati i tagli feroci negli aiuti ai poveri, non è del tutto chiaro se ci sarà uno stimolo netto. Ma supponiamo che ci sia. A quel punto cosa accadrà?

Ebbene, quello che accadde durante gli anni di Reagan furono i cosiddetti ‘deficit gemelli’: il deficit di bilancio spinse in alto i tassi di interesse, che furono all’origine di un dollaro forte, che provocò un deficit commerciale ancora maggiore, principalmente nei beni manifatturieri (che sono ancora la maggior parte di ciò che è commerciabile). Questo portò ad un declino accelerato dell’orientamento industriale dell’economia americana:

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[2]

E la gente se ne accorse. Utilizzando Google Ngram, possiamo osservare la diffusione del fenomano del declino industriale, ad esempio in questo diagramma:

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E in questo:

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[3]

A sua volta, tutto questo accadde nonostante un sostanziale protezionismo.

Dunque il trumpismo probabilmente seguirà un indirizzo analogo; esso effettivamente restringerà il settore manifatturiero nonostante il gran chiasso che viene fatto su poche centinaia di posti di lavoro risparmiati qua e là.

D’altronde, per allora l’Ufficio delle Statistiche sul Lavoro potrà essere scrupolosamente politicizzato, con l’ordine di produrre buone notizie qualsiasi cosa accada.

 

 

 

[1] L’uomo ‘arancione’ è Trump, così definito per il singolare colore della sua pelle (che pare derivare o da una esagerata dieta di carote, o da un uso esagerato delle lampade per abbronzatura). L’espressione è desunta da un articolo nel quale si parla di una ‘tesi verde da incubo’, che mi pare di capire sia una suggestione catastrofica – forse di ispirazione ambientalista – secondo la quale il sole starebbe per spostarsi in una diversa regione dello spazio, con conseguenze caotiche per la Terra.

[2] Gli anni dei ‘deficit gemelli’ (“twin deficit era”) sono racchiusi nel cerchio rosso.

[3] La differenza tra i due diagrammi dovrebbe consistere nel fatto che il primo si riferisce al fenomeno generale (e dunque, nazionale) della deindustrializzazione; mentre il secondo si riferisce allo stesso fenomeno nell’area delimitata con il termine “la cintura della ruggine” (“rust belt”), ovvero ad una vasta aerea un tempo di forte insediamento manifatturiero che si estende ad ovest dello Stato di New York, nell’America Settentrionale e Centrale.

 

 

 

 

 

 

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