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Sulla supponenza in economia, di Paul Krugman (New York Times 20 febbraio 2017)

 

On Economic Arrogance

Paul Krugman FEB. 20, 2017

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According to press reports, the Trump administration is basing its budget projections on the assumption that the U.S. economy will grow very rapidly over the next decade — in fact, almost twice as fast as independent institutions like the Congressional Budget Office and the Federal Reserve expect. There is, as far as we can tell, no serious analysis behind this optimism; instead, the number was plugged in to make the fiscal outlook appear better.

I guess this was only to be expected from a man who keeps insisting that crime, which is actually near record lows, is at a record high, that millions of illegal ballots were responsible for his popular vote loss, and so on: In Trumpworld, numbers are what you want them to be, and anything else is fake news. But the truth is that unwarranted arrogance about economics isn’t Trump-specific. On the contrary, it’s the modern Republican norm. And the question is why.

Before I get there, a word about why extreme growth optimism is unwarranted.

The Trump team is apparently projecting growth at between 3 and 3.5 percent for a decade. This wouldn’t be unprecedented: the U.S. economy grew at a 3.4 percent rate during the Reagan years, 3.7 percent under Bill Clinton. But a repeat performance is unlikely.

For one thing, in the Reagan years baby boomers were still entering the work force. Now they’re on their way out, and the rise in the working-age population has slowed to a crawl. This demographic shift alone should, other things being equal, subtract around a percentage point from U.S. growth.

Furthermore, both Reagan and Clinton inherited depressed economies, with unemployment well over 7 percent. This meant that there was a lot of economic slack, allowing rapid growth as the unemployed went back to work. Today, by contrast, unemployment is under 5 percent, and other indicators suggest an economy close to full employment. This leaves much less scope for rapid growth.

The only way we could have a growth miracle now would be a huge takeoff in productivity — output per worker-hour. This could, of course, happen: maybe driverless flying cars will arrive en masse. But it’s hardly something one should assume for a baseline projection.

And it’s certainly not something one should count on as a result of conservative economic policies. Which brings me to the strange arrogance of the economic right.

As I said, belief that tax cuts and deregulation will reliably produce awesome growth isn’t unique to the Trump-Putin administration. We heard the same thing from Jeb Bush (who?); we hear it from congressional Republicans like Paul Ryan. The question is why. After all, there is nothing — nothing at all — in the historical record to justify this arrogance.

Yes, Reagan presided over pretty fast growth. But Bill Clinton, who raised taxes on the rich, amid confident predictions from the right that this would cause an economic disaster, presided over even faster growth. President Obama presided over much more rapid private-sector job growth than George W. Bush, even if you leave out the 2008 collapse. Furthermore, two Obama policies that the right totally hated – the 2013 hike in tax rates on the rich, and the 2014 implementation of the Affordable Care Act – produced no slowdown at all in job creation.

Meanwhile, the growing polarization of American politics has given us what amount to economic policy experiments at the state level. Kansas, dominated by conservative true believers, implemented sharp tax cuts with the promise that these cuts would jump-start rapid growth; they didn’t, and caused a budget crisis instead. Last week Kansas legislators threw in the towel and passed a big tax hike.

At the same time Kansas was turning hard right, California’s newly dominant Democratic majority raised taxes. Conservatives declared it “economic suicide” — but the state is in fact doing fine.

The evidence, then, is totally at odds with claims that tax-cutting and deregulation are economic wonder drugs. So why does a whole political party continue to insist that they are the answer to all problems?

It would be nice to pretend that we’re still having a serious, honest discussion here, but we aren’t. At this point we have to get real and talk about whose interests are being served.

Never mind whether slashing taxes on billionaires while giving scammers and polluters the freedom to scam and pollute is good for the economy as a whole; it’s clearly good for billionaires, scammers, and polluters. Campaign finance being what it is, this creates a clear incentive for politicians to keep espousing a failed doctrine, for think tanks to keep inventing new excuses for that doctrine, and more.

And on such matters Donald Trump is really no worse than the rest of his party. Unfortunately, he’s also no better.

 

Sulla supponenza in economia, di Paul Krugman

New York Times 20 febbraio 2017 [1]

Secondo i resoconti della stampa, l’Amministrazione Trump sta basando le sue previsioni di bilancio sull’assunto che l’economia degli Stati Uniti crescerà molto rapidamente nel prossimo decennio – in sostanza, quasi il doppio di quello che istituti come l’Ufficio del Bilancio del Congresso e la Federal Reserve si aspettano. Dietro tale ottimismo non c’è, per quello che si può capire, nessuna seria analisi; piuttosto, quel dato è stato inserito per rendere migliore la prospettiva della finanza pubblica.

Mi chiedo se c’era da aspettarsi altro da un uomo che continua a insistere che la criminalità, che è effettivamente ai suoi minimi storici, non è mai stata così elevata, che milioni di voti illegali sono stati responsabili per la sua sconfitta nel voto popolare, e via dicendo: nel mondo di Trump i dati sono quello che volete che siano, e tutto il resto sono notizie false. Ma la verità è che quella arbitraria arroganza sull’economia non è specifica di Trump. Al contrario, è la regola del Partito Repubblicano contemporaneo. E la domanda è perché.

Prima di arrivarci, una parola sulle ragioni per le quali l’ottimismo sulla crescita è arbitrario.

La squadra di Trump a quanto pare sta prevedendo per un decennio una crescita tra il 3 e il 3,5 per cento. Non sarebbe una crescita priva di precedenti: l’economia degli Stati Uniti crebbe durante gli anni di Reagan ad un tasso del 3,4 per cento, del 3,7 per cento sotto Clinton. Ma una prestazione simile è improbabile.

Da una parte, negli anni di Reagan la generazione del boom demografico stava ancora entrando nella forza lavoro. Ora quel fenomeno si sta esaurendo, e la crescita della popolazione in età lavorativa procede a rilento. Questo cambiamento demografico da solo dovrebbe, a parità delle altre condizioni, sottrarre circa un punto percentuale dalla crescita degli Stati Uniti.

Inoltre, sia Reagan che Clinton ereditavano economie depresse, con la disoccupazione ben sopra il 7 per cento. Questo comportava una buona dose di fiacchezza nell’economia, permettendo una crescita rapida quando i disoccupati tornavano al lavoro. Oggi, al contrario, la disoccupazione è sotto il 5 per cento, e altri indicatori indicano un’economia vicina alla piena occupazione. Questo lascia un margine molto minore per una crescita rapida.

Al giorno d’oggi, il solo modo nel quale potremmo avere una crescita miracolosa sarebbe un grande decollo della produttività – il prodotto orario per lavoratore. Questo, naturalmente, potrebbe succedere: forse avremo grandi quantità di macchine volanti senza guidatore. Ma si tratta di cose che nessuno dovrebbe assumere come una base di partenza per delle previsioni.

E non è certamente qualcosa che su cui si dovrebbe far conto come un risultato di politiche economiche conservatrici. Il che mi porta al punto della strana supponenza della destra economica.

Come ho detto, la convinzione che gli sgravi fiscali e la deregolamentazione produrranno affidabilmente una crescita fantastica non è una caratteristica soltanto della Amministrazione Trump-Putin. Abbiamo sentito dire le stesse cose da Jeb Bush (chi era costui?); le abbiamo sentite dire dai repubblicani del Congresso come Paul Ryan. La domanda è perché. Dopo tutto, non c’è niente – niente in assoluto – negli andamenti storici che giustifichi questa supponenza.

È vero, Reagan fu Presidente in un’epoca di crescita abbastanza rapida. Ma Bill Clinton, che alzò le tasse sui ricchi nel mezzo di convinte previsioni da parte della destra che questo avrebbe portato a un disastro economico, fu Presidente in un periodo di crescita persino più veloce. Il Presidente Obama governò in un periodo di crescita dei posti di lavoro del settore privato molto più rapida che non George W. Bush, persino se non si considera il collasso del 2008. Inoltre, le due politiche di Obama che la destra ha odiato in modo viscerale – il rialzo del 2013 delle aliquote fiscali sui ricchi e la messa in funzione nel 2014 della Legge sulla Assistenza Sostenibile – non hanno affatto prodotto alcun rallentamento nella creazione di posti di lavoro.

Nel frattempo, la crescente polarizzazione della politica americana ci ha fornito l’equivalente di alcuni esperimenti di politica economica al livello degli Stati. Il Kansas, dove dominano conservatori dalla fede immacolata, ha messo in atto bruschi sgravi fiscali con la promessa che avrebbero dato una spinta ad una rapida crescita; non è successo, hanno invece provocato una crisi di bilancio. La scorsa settimana i legislatori del Kansas hanno gettato la spugna e approvato un grande rialzo delle tasse.

Nello stesso tempo in cui il Kansas si volgeva all’estrema destra, la nuova maggioranza democratica al governo della California aumentava le tasse. I conservatori lo avevano definito un “suicidio economico” – ma di fatto lo Stato sta andando bene.

Le prove, dunque, sono totalmente all’opposto delle pretese secondo le quali gli sgravi fiscali e le deregolamentazioni sono medicine miracolose. Perché allora un intero partito politico continua ad insistere che essi sarebbero la risposta a tutti i problemi?

Sarebbe bello far finta di avere su questo tema un dibattito serio ed onesto, ma non è così. A questo punto dobbiamo essere realisti e parlare di quali interessi tali politiche stanno servendo.

Il punto non è se tagliare le tasse sui miliardari e dare agli imbroglioni ed agli inquinatori la libertà di imbrogliare e di inquinare sia una buona cosa per l’economia nel suo complesso; è chiaramente una buona cosa per i miliardari, gli imbroglioni e gli inquinatori. Essendo i finanziamenti delle campagne elettorali quello che sono, questo crea un incentivo evidente per gli uomini politici a continuare a sposare una dottrina fallita, per i gruppi di ricerca a continuare a inventare nuovi pretesti per tale dottrina, ed altro ancora.

E su tali questioni Donald Trump effettivamente non è peggio del suo Partito. Sfortunatamente, non è neanche meglio.

 

 

 

[1] Sullo stesso tema di questo articolo si può leggere, con l’aggiunta di alcune statistiche interessanti, il post preparatorio di Krugman dal titolo “Lo scenario roseo di Trump”, del 18 febbraio 2017.

 

 

 

 

 

 

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