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L’epidemia americana dell’infallibilità, di Paul Krugman (New York Times 20 marzo 2017)

America’s Epidemic of Infallibility

Paul Krugman MARCH 20, 2017

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Two weeks after President Trump claimed, bizarrely, that the Obama administration had wiretapped his campaign, his press secretary suggested that GCHQ — Britain’s counterpart to the National Security Agency — had done the imaginary bugging. British officials were outraged. And soon the British press was reporting that the Trump administration had apologized.

But no: Meeting with the chancellor of Germany, another ally he’s alienating, Mr. Trump insisted that there was nothing to apologize for. He said, “All we did was quote a certain very talented legal mind,” a commentator on (of course) Fox News.

Was anyone surprised? This administration operates under the doctrine of Trumpal infallibility: Nothing the president says is wrong, whether it’s his false claim that he won the popular vote or his assertion that the historically low murder rate is at a record high. No error is ever admitted. And there is never anything to apologize for.

O.K., at this point it’s not news that the commander in chief of the world’s most powerful military is a man you wouldn’t trust to park your car or feed your cat. Thanks, Comey. But Mr. Trump’s pathological inability to accept responsibility is just the culmination of a trend. American politics — at least on one side of the aisle — is suffering from an epidemic of infallibility, of powerful people who never, ever admit to making a mistake.

More than a decade ago I wrote that the Bush administration was suffering from a “mensch gap.” (A mensch is an upstanding person who takes responsibility for his actions.) Nobody in that administration ever seemed willing to accept responsibility for policy failures, whether it was the bungled occupation of Iraq or the botched response to Hurricane Katrina.

Later, in the aftermath of the financial crisis, a similar inability to admit error was on display among many economic commentators.

Take, for example, the open letter a who’s who of conservatives sent to Ben Bernanke in 2010, warning that his policies could lead to “currency debasement and inflation.” They didn’t. But four years later, when Bloomberg News contacted many of the letter’s signatories, not one was willing to admit having been wrong.

By the way, press reports say that one of those signatories, Kevin Hassett — co-author of the 1999 book “Dow 36,000” — will be nominated as chairman of Mr. Trump’s Council of Economic Advisers. Another, David Malpass — the former chief economist at Bear Stearns, who declared on the eve of the financial crisis that “the economy is sturdy” — has been nominated as undersecretary of the Treasury for international affairs. They should fit right in.

Just to be clear: Everyone makes mistakes. Some of these mistakes are in the “nobody could have known” category. But there’s also the temptation to engage in motivated reasoning, to let our emotions get the better of our critical faculties — and almost everyone succumbs to that temptation now and then (as I myself did on election night).

So nobody is perfect. The point, however, is to try to do better — which means owning up to your mistakes and learning from them. Yet that is something that the people now ruling America never, ever do.

What happened to us? Some of it surely has to do with ideology: When you’re committed to a fundamentally false narrative about government and the economy, as almost the whole Republican Party now is, facing up to facts becomes an act of political disloyalty. By contrast, members of the Obama administration, from the president on down, were in general far more willing to accept responsibility than their Bush-era predecessors.

But what’s going on with Mr. Trump and his inner circle seems to have less to do with ideology than with fragile egos. To admit having been wrong about anything, they seem to imagine, would brand them as losers and make them look small.

In reality, of course, inability to engage in reflection and self-criticism is the mark of a tiny, shriveled soul — but they’re not big enough to see that.

But why did so many Americans vote for Mr. Trump, whose character flaws should have been obvious long before the election?

Catastrophic media failure and F.B.I. malfeasance played crucial roles. But my sense is that there’s also something going on in our society: Many Americans no longer seem to understand what a leader is supposed to sound like, mistaking bombast and belligerence for real toughness.

Why? Is it celebrity culture? Is it working-class despair, channeled into a desire for people who spout easy slogans?

The truth is that I don’t know. But we can at least hope that watching Mr. Trump in action will be a learning experience — not for him, because he never learns anything, but for the body politic. And maybe, just maybe, we’ll eventually put a responsible adult back in the White House.

 

L’epidemia americana dell’infallibilità, di Paul Krugman

New York Times 20 marzo 2017

Due settimane dopo che il Presidente Trump aveva sostenuto, in modo bizzarro, che l’Amministrazione Obama avesse sottoposto a intercettazioni la sua campagna elettorale, il suo addetto stampa ha suggerito che l’immaginario spionaggio fosse stato fatto dalla GCHQ [1] – l’omologo britannico della National Security Agency. I funzionari inglesi si sono indignati. E in poco tempo la stampa britannica dava la notizia che l’Amministrazione Trump si era scusata.

Invece no: nell’incontro con la Cancelliera della Germania, un altro alleato del quale si sta alienando le simpatie, Trump ha insistito che non c’era niente di cui scusarsi. Ha detto che “tutto quello che abbiamo fatto è stato citare un cervello con grande competenza nelle questioni legali”, un commentatore di Fox News (ovviamente).

Qualcuno si è sorpreso? Questa Amministrazione opera all’insegna della dottrina dell’infallibilità trumpiana: niente di quanto dice il Presidente è sbagliato, che si tratti della falsa pretesa per la quale si sarebbe aggiudicato il voto popolare o della sua affermazione secondo la quale il tasso di omicidi, a un livello tra i più bassi della storia, è ai massimi storici. Nessun errore è mai ammesso. E non c’è niente di cui scusarsi.

Prendiamone atto, a questo punto non costituisce notizia che il comandante in capo dell’esercito più potente del mondo sia un uomo del quale non vi fidereste per parcheggiare la vostra auto o per dar da mangiare al vostro gatto. Grazie Comey. Ma l’incapacità patologica del signor Trump ad accettare responsabilità è solo il culmine di una tendenza. La politica americana – almeno su un lato dello schieramento – soffre di una epidemia dell’infallibilità, da parte di individui che non ammettono mai di fare errori.

Più di dieci anni orsono scrissi che l’Amministrazione Bush soffriva di una “carenza di mensch” (un mensch è una persona virtuosa che prende la responsabilità delle sue azioni). Nessuno in quella Amministrazione sembrava neppure disponibile ad accettare la responsabilità dei fallimenti politici, che si trattasse della improvvisata occupazione dell’Iraq o della risposta abborracciata all’uragano Katrina.

Successivamente, all’indomani della crisi finanziaria, una incapacità simile ad ammettere gli errori fu in bella mostra tra molti commentatori economici.

Si prenda, ad esempio, la lettera aperta che la crema dei conservatori spedì nel 2010 a Ben Bernanke, mettendo in guardia che le sue politiche potevano condurre a “una perdita di valore della moneta e all’inflazione”. Non accadde. Ma quattro anni dopo, quando Bloomberg News contattò molti dei firmatari della lettera, nessuno fu disponibile ad ammettere di aver avuto torto.

Per inciso, la stampa informa che uno di quei firmatari, Kevin Hassett – coautore del libro “Dow 36.000” nel 1999 – sarà nominato Presidente del Comitato dei consulenti economici di Trump. Un altro, David Malpass – il passato capoeconomista della Bear Sterns, che alla vigilia della crisi finanziaria dichiarò che “l’economia (era) robusta” – è stato nominato sottosegretario al Tesoro per gli affari internazionali. In quei posti dovrebbero starci a pennello.

Solo per chiarezza: ognuno fa errori. Alcuni di questi errori appartengono alla categoria del “nessuno lo poteva sapere”. Ma c’è anche la tentazione di impegnarsi in ragionamenti interessati, con l’effetto che le nostre emozioni prevalgono sulle nostre facoltà critiche –  e prima o poi quasi tutti soccombono a questa tentazione (come feci io stesso la notte delle elezioni [2]).

Dunque nessuno è perfetto. Il punto, tuttavia, è sforzarsi di far meglio – il che significa ammettere i propri errori e imparare da essi. Ma questa è la cosa che le persone che adesso governano l’America non faranno mai e poi mai.

Cosa ci è successo? È qualcosa che certamente ha a che fare con l’ideologia: se vi impegnate in un discorso fondamentalmente falso sul governo e sull’economia, come fa quasi l’intero Partito Repubblicano odierno, misurarsi con i fatti diventa un atto di infedeltà politica. All’opposto, i componenti della Amministrazione Obama, dal Presidente in giù, erano in generale assai più disponibili ad accettare le responsabilità dei loro predecessori dell’epoca di Bush.

Ma quello che sta accadendo a Trump ed alla sua cerchia ristretta sembra avere meno a che fare con l’ideologia che con i fragili ego. Probabilmente si immaginano che ammettere di aver avuto torto su tutto li etichetterebbe come perdenti e li rimpicciolirebbe.

In realtà, è l’incapacità di impegnarsi nella riflessione e nell’autocritica che è il segno di un animo minuscolo e raggrinzito – ma non sono grandi abbastanza per accorgersene.

Eppure, perché così tanti americani hanno votato per Trump, i cui difetti di carattere dovevano essere evidenti molto tempo prima delle elezioni?

Hanno pesato molto l’inadeguatezza dei media e le malefatte dell’FBI. Ma la mia sensazione è che ci sia anche qualcosa che viene dalla società: molti americani non sembrano più capire a cosa dovrebbe assomigliare un leader, confondendo la retorica e la bellicosità con la vera fermezza.

Perché? É la cultura della celebrità?  È la disperazione della classe lavoratrice, che si incanala nella preferenza per individui che vomitano facili slogan?

La verità è che non lo so. Ma possiamo almeno sperare che osservare il signor Trump all’opera sarà una esperienza istruttiva – non per lui, giacché egli non impara mai niente, ma per gli organismi politici. E forse, solo forse, alla fine rimetteremo una persona adulta e responsabile alla Casa Bianca.

 

 

[1] Acronimo di Government Communications Headquarters, Sede Centrale Governativa delle Comunicazioni.

[2] Krugman si riferisce ad una sua presa di posizione momentanea, quando avanzò la previsione di un rapido tracollo economico dopo la vittoria di Trump. Si corresse il giorno successivo.

 

 

 

 

 

 

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