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Gli espedienti pubblicitari non sono politica, di Paul Krugman (New York Times 10 aprile 2017)

 

Publicity Stunts Aren’t Policy

Paul Krugman APRIL 10, 2017

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Does anyone still remember the Carrier deal? Back in December President-elect Donald Trump announced, triumphantly, that he had reached a deal with the air-conditioner manufacturer to keep 1,100 jobs in America rather than moving them to Mexico. And the media spent days celebrating the achievement.

Actually, the number of jobs involved was more like 700, but who’s counting? Around 75,000 U.S. workers are laid off or fired every working day, so a few hundred here or there hardly matter for the overall picture.

Whatever Mr. Trump did or didn’t achieve with Carrier, the real question was whether he would take steps to make a lasting difference.

So far, he hasn’t; there isn’t even the vague outline of a real Trumpist jobs policy. And corporations and investors seem to have decided that the Carrier deal was all show, no substance, that for all his protectionist rhetoric Mr. Trump is a paper tiger in practice. After pausing briefly, the ongoing move of manufacturing to Mexico has resumed, while the Mexican peso, whose value is a barometer of expected U.S. trade policy, has recovered almost all its post-November losses.

In other words, showy actions that win a news cycle or two are no substitute for actual, coherent policies. Indeed, their main lasting effect can be to squander a government’s credibility. Which brings us to last week’s missile strike on Syria.

The attack instantly transformed news coverage of the Trump administration. Suddenly stories about infighting and dysfunction were replaced with screaming headlines about the president’s toughness and footage of Tomahawk launches.

But outside its effect on the news cycle, how much did the strike actually accomplish? A few hours after the attack, Syrian warplanes were taking off from the same airfield, and airstrikes resumed on the town where use of poison gas provoked Mr. Trump into action. No doubt the Assad forces took some real losses, but there’s no reason to believe that a one-time action will have any effect on the course of Syria’s civil war.

In fact, if last week’s action was the end of the story, the eventual effect may well be to strengthen the Assad regime — Look, they stood up to a superpower! — and weaken American credibility. To achieve any lasting result, Mr. Trump would have to get involved on a sustained basis in Syria.

Doing what, you ask? Well, that’s the big question — and the lack of good answers to that question is the reason President Barack Obama decided not to start something nobody knew how to finish.

So what have we learned from the Syria attack and its aftermath?

No, we haven’t learned that Mr. Trump is an effective leader. Ordering the U.S. military to fire off some missiles is easy. Doing so in a way that actually serves American interests is the hard part, and we’ve seen no indication whatsoever that Mr. Trump and his advisers have figured that part out.

Actually, what we know of the decision-making process is anything but reassuring. Just days before the strike, the Trump administration seemed to be signaling lack of interest in Syrian regime change.

What changed? The images of poison-gas victims were horrible, but Syria has been an incredible horror story for years. Is Mr. Trump making life-and-death national security decisions based on TV coverage?

One thing is certain: The media reaction to the Syria strike showed that many pundits and news organizations have learned nothing from past failures.

Mr. Trump may like to claim that the media are biased against him, but the truth is that they’ve bent over backward in his favor. They want to seem balanced, even when there is no balance; they have been desperate for excuses to ignore the dubious circumstances of his election and his erratic behavior in office, and start treating him as a normal president.

You may recall how, a month and a half ago, pundits eagerly declared that Mr. Trump “became the president of the United States today” because he managed to read a speech off a teleprompter without going off script. Then he started tweeting again.

One might have expected that experience to serve as a lesson. But no: The U.S. fired off some missiles, and once again Mr. Trump “became president.” Aside from everything else, think about the incentives this creates. The Trump administration now knows that it can always crowd out reporting about its scandals and failures by bombing someone.

So here’s a hint: Real leadership means devising and carrying out sustained policies that make the world a better place. Publicity stunts may generate a few days of favorable media coverage, but they end up making America weaker, not stronger, because they show the world that we have a government that can’t follow through.

And has anyone seen a sign, any sign, that Mr. Trump is ready to provide real leadership in that sense? I haven’t.

 

Gli espedienti pubblicitari non sono politica, di Paul Krugman

New York Times 10 aprile 2017

Si ricorda ancora qualcuno della faccenda della Carrier? Lo scorso dicembre il Presidente eletto Donald Trump aveva annunciato, con toni trionfanti, di aver raggiunto un accordo con quella società manifatturiera dell’aria condizionata per mantenere in America 1.100 posti di lavoro, anziché spostarli in Messico. E per giorni i media celebrarono quel risultato.

Effettivamente, il numero dei posti di lavoro era più vicino a 700, ma chi li conta? Ogni giorno lavorativo sono licenziati o dimessi 75.000 lavoratori americani, dunque poche centinaia in un posto o nell’altro difficilmente sono importanti per il quadro generale.

Qualsiasi cosa Trump ottenne o non ottenne con la faccenda Carrier, la vera domanda era se egli avrebbe assunto iniziative per realizzare una differenza duratura.

Sinora non l’ha fatto; non c’è neanche un vago abbozzo di una reale politica di Trump per i posti di lavoro. Le società e gli investitori pare che abbiano deciso che la Carrier era tutto spettacolo, non sostanza, che in pratica con tutta la sua retorica protezionista Trump è una tigre di carta. Dopo una breve pausa, il continuo spostamento di attività manifatturiere in Messico è ripreso, mentre il peso messicano, il cui valore è un barometro della politica commerciale che ci si attende dagli Stati Uniti, ha recuperato quasi tutte le sue perdite dopo novembre.

In altre parole, le iniziative spettacolari che ottengono uno o due passaggi di attenzione nei notiziari, non sono sostituti delle politiche coerenti ed effettive. In sostanza, il loro effetto duraturo può essere solo quello di dilapidare la credibilità di un Governo. Il che mi porta al lancio del missile sulla Siria della settimana scorsa.

L’attacco ha trasformato all’istante l’attenzione dei notiziari sulla Amministrazione Trump. All’improvviso i racconti sui conflitti interni e sui malfunzionamenti sono stati sostituiti da titoli urlati sulla durezza del Presidente e da filmati sui lanci dei Tomahawk.

Ma, oltre il suo effetto sui notiziari, cosa effettivamente ottengono quei lanci? Poche ore dopo l’attacco, i velivoli militari siriani prendevano il volo dallo stesso aeroporto, e sono riprese le incursioni aeree sulla cittadina nella quale l’uso dei gas aveva provocato l’iniziativa di Trump. Non c’è dubbio che le forza di Assad abbiano subito qualche perdita effettiva, ma non c’è ragione di credere che una singola azione avrà un qualche effetto sulla guerra civile siriana.

Di fatto, se con l’iniziativa della scorsa settimana la vicenda si è conclusa, l’effetto eventuale potrà ben essere quello di rafforzare il regime di Assad – guardate, resistono ad una superpotenza! – e di indebolire la credibilità americana. Per ottenere un qualche risultato duraturo, Trump dovrebbe essere coinvolto in modo duraturo in Siria.

Per far cosa, vi chiederete? Ebbene, questa è la grande questione – e la mancanza di risposte convincenti a tale domanda è la ragione per la quale il Presidente Barack Obama aveva deciso di non avviare niente che nessuno sapeva come portare a termine.

Cosa abbiamo dunque appreso dall’attacco sulla Siria e dalle sue conseguenze?

Non abbiamo certo appreso che Trump è un leader efficace. Ordinare all’esercito statunitense di lanciare alcuni missili è facile. Farlo in modo che serva agli interessi americani è la parte difficile, e non abbiamo avuto alcuna indicazione di sorta che Trump e i suoi consiglieri si siano immaginati quella parte.

In realtà, quello che sappiamo del processo decisionale è tutto meno che rassicurante. Alcuni giorni prima dell’attacco, la Amministrazione Trump pareva segnalasse una mancanza di interesse nel cambiamento del regime siriano.

Cosa è cambiato? Le immagini delle vittime dei gas venefici sono state orribili, ma la Siria in questi anni ha una storia incredibile di orrori. Le decisioni di vita e di morte della sicurezza nazionale sono state basate sui servizi televisivi?

Una cosa è certa: la reazione dei media al colpo alla Siria ha mostrato che molti commentatori e reti delle informazioni non hanno imparato niente dai fallimenti passati.

A Trump piace sostenere che i media sono prevenuti nei suoi confronti, ma la verità è che si sono fatti in quattro per favorirlo. Vogliono apparire equilibrati, anche quando non c’è alcun equilibrio: hanno cercato tutte le scuse per ignorare le dubbie circostanze della sua elezione e la condotta stravagante nella sua funzione, e cominciano a trattarlo come un Presidente normale.

Vi ricorderete come, un mese e mezzo fa, i commentatori avevano dichiarato con entusiasmo che Trump “era diventato il Presidente degli Stati Uniti a partire da oggi” perché era riuscito a leggere un discorso da un suggeritore televisivo senza uscire dal copione. Poi ha ricominciato a twittare nuovamente.

Ci si potrebbe aspettare che l’esperienza serva come lezione. Ma no: gli Stati Uniti lanciano qualche missile e una volta ancora Trump “è diventato Presidente”. A parte ogni altro aspetto, si consideri gli incentivi che tutto questo determina. L’Amministrazione Trump adesso sa che può in ogni momento togliere spazio ai suoi scandali e ai suoi fallimenti bombardando qualcuno.

Dunque, abbiamo qua un insegnamento: una dirigenza vera significa concepire e mettere in pratica politiche durature che rendano il mondo un posto migliore. Gli espedienti pubblicitari possono generare pochi giorni di attenzione favorevole dei media, ma finiscono col rendere l’America più debole, non più forte, perché mostrano al mondo che abbiamo un Governo che non può portare a fondo i suoi propositi.

Qualcuno ha visto un segno, un segno qualsiasi, che Trump è pronto a fornire una guida effettiva in quella direzione? Io non l’ho visto.

 

 

 

 

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