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Ma che bella guerra commerciale! di Paul Krugman (New York Times 3 luglio 2017)

 

Oh! What a Lovely Trade War

Paul Krugman JULY 3, 2017

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Remember when Donald Trump declared that “nobody knew that health care could be so complicated”? It was a rare moment of self-awareness for the tweeter-in-chief: He may, briefly, have realized that he had no idea what he was doing.

Actually, though, health care isn’t all that complicated. And Republican “reform” plans are brutally simple — with the emphasis on “brutally.”

Trump may be the only person in Washington who doesn’t grasp their essence: Take health insurance away from tens of millions so you can give the rich a tax cut.

Some policy subjects, on the other hand, really are complicated. One of these subjects is international trade. And the great danger here isn’t simply that Trump doesn’t understand the issues. Worse, he doesn’t know what he doesn’t know.

According to the news site Axios, Trump, supported by his inner circle of America Firsters, is “hell-bent” on imposing punitive tariffs on imports of steel and possibly other products, despite opposition from most of his cabinet. After all, claims that other countries are taking advantage of America were a central theme of his campaign.

And Axios reports that the White House believes that Trump’s base “likes the idea” of a trade war, and “will love the fight.”

Yep, that’s a great way to make policy.

O.K., so what’s complicated about trade policy?

First, a lot of modern trade is in intermediate goods — stuff that is used to make other stuff. A tariff on steel helps steel producers, but it hurts downstream steel consumers like the auto industry. So even the direct impact of protectionism on jobs is unclear.

Then there are the indirect effects, which mean that any job gains in an industry protected by tariffs must be compared with job losses elsewhere. Normally, in fact, trade and trade policy have little if any effect on total employment. They affect what kinds of jobs we have; but the total number, not so much.

Suppose that Trump were to impose tariffs on a wide range of goods — say, the 10 percent across-the-board tariff that was floated before he took office. This would directly benefit industries that compete with imports, but that’s not the end of the story.

Even if we ignore the damage to industries that use imported inputs, any direct job creation from new tariffs would be offset by indirect job destruction. The Federal Reserve, fearing inflationary pressure, would raise interest rates. This would squeeze sectors like housing; it would also strengthen the dollar, hurting U.S. exports.

Claims that protectionism would inevitably cause a recession are overblown, but there’s every reason to believe that these indirect effects would eliminate any net job creation.

Then there’s the response of other countries. International trade is governed by rules — rules America helped put in place. If we start breaking those rules, others will too, both in retaliation and in simple emulation. That’s what people mean when they talk about a trade war.

And it’s foolish to imagine that America would “win” such a war. For one thing, we are far from being a dominant superpower in world trade — the European Union is just as big a player, and capable of effective retaliation (as the Bush administration learned when it put tariffs on steel back in 2002). Anyway, trade isn’t about winning and losing: it generally makes both sides of the deal richer, and a trade war usually hurts all the countries involved.

I’m not making a purist case for free trade here. Rapid growth in globalization has hurt some American workers, and an import surge after 2000 disrupted industries and communities. But a Trumpist trade war would only exacerbate the damage, for a couple of reasons.

One is that globalization has already happened, and U.S. industries are now embedded in a web of international transactions. So a trade war would disrupt communities the same way that rising trade did in the past. There’s an old joke about a motorist who runs over a pedestrian, then tries to fix the damage by backing up — running over the victim a second time. Trumpist trade policy would be like that.

Also, the tariffs now being proposed would boost capital-intensive industries that employ relatively few workers per dollar of sales; these tariffs would, if anything, further tilt the distribution of income against labor.

So will Trump actually go through with this? He might. After all, he posed as a populist during the campaign, but his entire economic agenda so far has been standard Republican fare, rewarding corporations and the rich while hurting workers.

So the base might indeed like to see something that sounds more like the guy they thought they were voting for.

But Trump’s promises on trade, while unorthodox, were just as fraudulent as his promises on health care. In this area, as in, well, everything, he has no idea what he’s talking about. And his ignorance-based policy won’t end well.

 

Ma che bella guerra commerciale! di Paul Krugman

New York Times 3 luglio 2017

Vi ricordate quando Donald Trump dichiarò che “nessuno di immaginava che l’assistenza sanitaria potesse essere così complicata”? Fu un raro momento di autoconsapevolezza per il Twitter-in-capo: sembrò che, per un momento, avesse compreso di non aver alcuna idea di quello che stava facendo.

Ciononostante, in realtà l’assistenza sanitaria non è così complicata. E i programmi repubblicani di “riforma” sono brutalmente semplici – con l’accento sul “brutalmente”.

Probabilmente Trump è l’unica persona a Washington che non afferra la loro sostanza: togliere l’assicurazione sanitaria a decine di milioni di persone in modo da consegnare ai ricchi gli sgravi fiscali.

Di contro, alcuni temi della politica sono realmente complicati. Uno di questi è il commercio internazionale. E il grande pericolo non è semplicemente che Trump non comprenda quei temi. Peggio ancora, che non sappia che non li comprende. Secondo il sito di notizie Axios, Trump, sostenuto dalla sua ristretta cerchia dei ‘primatisti’ americani, è risoluto nell’imporre tariffe punitive sulle importazioni di acciaio e probabilmente di altri prodotti, nonostante l’opposizione della maggioranza del suo Gabinetto. Dopo tutto, la pretesa che gli altri paesi si stiano avvantaggiando ai danni dell’America è stato un tema centrale della sua campagna elettorale.

Ed Axios ci informa che la Casa Bianca crede che alla base di Trump “piaccia l’idea” di una guerra commerciale, che si appassionerebbe a tale battaglia. Non c’è dubbio, è un gran modo di fare politica.

Ebbene, cosa c’è di così complicato nella politica commerciale?

Prima di tutto, una gran parte del commercio odierno riguarda beni intermedi – cose che sono usate per produrre altre cose. Una tariffa sull’acciaio aiuta i produttori di quella merce, ma danneggia a valle i consumatori di acciaio come l’industria automobilistica. Dunque, anche l’effetto diretto del protezionismo sui posti di lavoro non è chiaro.

Ci sono poi gli effetti indiretti, il che significa che ogni vantaggio in posti di lavoro in un’industria protetta dalle tariffe deve essere confrontato con la perdita di posti di lavoro altrove. Infatti, normalmente il commercio e la politica commerciale hanno un impatto modesto sull’occupazione totale, ammesso che lo abbiano. Essi influenzano i generi di posti di lavoro che abbiamo; ma non molto il numero totale.

Si supponga che Trump abbia l’intenzione di imporre tariffe su un’ampia gamma di prodotti – diciamo, il dieci per cento della tariffa complessiva che era stata ventilata prima che entrasse in carica. Questo andrebbe direttamente a beneficio delle industrie che competono con le importazioni, ma questo non è ancora tutto.

Persino se si ignora il danno alle industrie che utilizzano prodotti importati, ogni diretta creazione di posti di lavoro a seguito delle nuove tariffe sarebbe bilanciata da una indiretta distruzione di posti di lavoro. La Fed, nel timore di una pressione inflazionistica, alzerebbe i tassi di interesse. Questo provocherebbe una stretta su settori come l’edilizia; inoltre rafforzerebbe il dollaro, danneggiando le esportazioni statunitensi.

Le pretese secondo le quali il protezionismo provocherebbe una recessione sono esagerate, ma ci sono tutte le ragioni per credere che questi effetti indiretti eliminerebbero ogni creazione netta di posti di lavoro.

Poi ci sono le reazioni degli altri paesi. Il commercio internazionale è governato da regole – regole che l’America ha contribuito a mettere in atto. Se cominciamo a disfarci di quelle regole, anche gli altri lo faranno, sia per ritorsione che per semplice emulazione. Questo è quello che si intende quando si parla di una guerra commerciale.

Ed è sciocco immaginare che l’America “vincerebbe” una tale guerra. Da una parte, noi siamo lontani dall’essere una superpotenza dominante nel commercio mondiale – l’Unione Europea è un protagonista altrettante forte ed è capace di ritorsioni efficaci (come l’Amministrazione Bush imparò quando rinviò le sue tariffe sull’acciaio nel 2002). Il ogni modo, il commercio non riguarda il vincere e il perdere: in generale esso rende più ricchi entrambi gli schieramenti, e una guerra commerciale di solito danneggia tutti i paesi coinvolti.

Non sto avanzando una tesi di puro sostegno al libero commercio. La rapida crescita della globalizzazione ha danneggiato alcuni lavoratori americani, e la crescita delle importazioni dopo il 2000 ha messo in crisi industrie e comunità locali. Ma una guerra commerciale alla Trump potrebbe solo esacerbare il danno, per un paio di ragioni.

Una ragione è che la globalizzazione c’è già stata e le industrie degli Stati Uniti sono oggi integrate in una rete di transazioni internazionali. Dunque, una guerra commerciale metterebbe in difficoltà comunità nello stesso modo in cui il crescente commercio lo fece nel passato. C’è una vecchia storiella su un automobilista che investe un pedone e poi cerca di rimediare al danno facendo retromarcia – schiacciando la vittima una seconda volta. La politica commerciale di Trump sarebbe qualcosa del genere.

Inoltre, le tariffe che ora vengono proposte incoraggebbero le industrie ad alta intensità di capitale che occupano relativamente pochi lavoratori per ogni dollaro di vendite; queste tariffe farebbero semmai oscillare la distribuzione del reddito a danno del lavoro.

Trump, dunque, realizzerà tutto questo? Potrebbe farlo. Dopo tutto, si è atteggiato a populista durante la campagna elettorale, ma l’intera sua agenda economica sino a questo punto è stata quella della tradizionale offerta dei repubblicani, premiare le grandi società e i ricchi e colpire i lavoratori.

Dunque la base potrebbe in effetti gradire essere in presenza di qualcosa che assomigli di più al soggetto che pensavano di aver votato.

Ma le promesse di Trump sul commercio, sebbene non ortodosse, erano solo un inganno come le sue promesse sulla assistenza sanitaria. In questo campo, come per la verità in ogni settore, egli non ha idea di quello di cui sta parlando. E la sua politica basata sull’ignoranza non andrà a buon fine.

 

 

 

 

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