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Siamo pronti o no per la prossima recessione? Di Barry Eichengreen (da Project Syndicate, 10 gennaio 2018)

 

Ready or not for the next recession?

BARRY EICHENGREEN

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COPENHAGEN – A sunny day is the best time to check whether the roof is watertight. For economic policymakers, the proverbial sunny day has arrived: with experts forecasting strong growth, now is the best time to check whether we are prepared for the next recession.1

The answer, for the United States in particular, is a resounding no. Policymakers normally respond to recessions by cutting interest rates, reducing taxes, and boosting transfers to the unemployed and other casualties of the downturn. But the US is singularly ill-prepared, for a combination of economic and political reasons, to respond normally.

Most obviously, the US Federal Reserve’s target for the federal funds rate is still only 1.25%-1.5%. If no recession is imminent, the Fed may succeed in raising rates three times by the end of the year, to around 2%. But that would still leave little room for monetary easing in response to recessionary trends before the policy rate hits zero again.

In the last three recessions, the Fed’s cumulative interest-rate cuts have been close to five full percentage points. This time, because slow recovery has permitted only gradual normalization of interest rates, and because there appears to have been a tendency for interest rates to trend downward more generally, the Fed lacks room to react.

In principle, the Fed could launch another round of quantitative easing. In addition, at least one of US President Donald Trump’s nominees to the Federal Reserve Board has mooted the idea of negative interest rates. That said, this Fed board, with its three Trump appointees, is likely to be less activist and innovative than its predecessor. And criticism by the US Congress of any further expansion of the Fed’s balance sheet would be certain and intense.

Fiscal policy is the obvious alternative, but Congress has cut taxes at the worst possible time, leaving no room for stimulus when it is needed. Adding $1.5 trillion more to the federal debt will create an understandable reluctance to respond to a downturn with further tax cuts. As my Berkeley colleagues Christina and David Romer have shown, fiscal policy is less effective in countering recessions, and less likely to be used, when a country has already incurred a high public debt.

Instead of stimulating the economy in the next downturn, the Republicans in Congress are likely to respond perversely. As revenues fall and the deficit widens even faster, they will insist on spending cuts to return the debt trajectory to its previous path.

Congressional Republicans will most likely start with the Supplemental Nutrition Assistance Program, which provides food to low-income households. SNAP is already in their sights. They will then proceed to cut Medicare, Medicaid, and Social Security. The burden of these spending cuts will fall on hand-to-mouth consumers, who will reduce their own spending dollar for dollar, denting aggregate demand.

For their part, state governments, forced by new limits on the deductibility of state and local taxes to pare their budgets, are likely to move further in the direction of limiting the duration of unemployment benefits and the extent of their own food and nutrition assistance.

Nor will global conditions favor the US. Foreign central banks, from Europe to Japan, have similarly scant room to cut interest rates. Even after a government in Germany is finally formed, policymakers there will continue to display their characteristic reluctance to use fiscal policy. And if Germany doesn’t use its fiscal space, there will be little room for its eurozone partners to do so.

More than that, scope for the kind of international cooperation that helped to halt the 2008-2009 contraction has been destroyed by Trump’s “America First” agenda, which paints one-time allies as enemies. Other countries will work with the US government to counter the next recession only if they trust its judgment and intentions. And trust in the US may be the quantity in shortest supply.

In 2008-2009, the Fed extended dollar swap lines to foreign central banks, but came under congressional fire for “giving away” Americans’ hard-earned money. Then, at the London G20 summit in early 2009, President Barack Obama’s administration made a commitment to coordinate its fiscal stimulus with that of other governments. Today, almost a decade later, it is hard to imagine the Trump administration even showing up at an analogous meeting.

The length of an economic expansion is not a reliable predictor of when the next downturn will come. And the depth and shape of that recession will depend on the event triggering it, which is similarly uncertain. The one thing we know for sure, though, is that expansions don’t last forever. A storm will surely come, and when it does, we will be poorly prepared for the deluge.

 

Siamo pronti o no per la prossima recessione?

Di Barry Eichengreen

COPENHAGEN – Un giorno di sole è il momento migliore per verificare se il tetto e a prova di infiltrazioni d’acqua. Per gli operatori della politica economica, il proverbiale giorno di sole è arrivato: con gli esperti che prevedono una forte crescita, questo è il periodo migliore per verificare se siamo preparati alla prossima recessione.

La risposta, per gli Stati Uniti in particolare, è un fragoroso no. Gli operatori della politica economica di solito rispondono alle recessioni tagliando i tassi di interesse, riducendo le tasse e promuovendo i trasferimenti ai disoccupati e e ad altre vittime della crisi. Ma gli Stati Uniti sono singolarmente impreparati, per un complesso di ragioni economiche e politiche, a dare una risposta normale.

L’aspetto più evidente è il tasso dei finanziamenti federali, l’obbiettivo della Federal Reserve degli Stati Uniti è ancora soltanto tra l’1,25% e l’1,5%. Dato che nessuna recessione è imminente, la Fed può aver successo nell’elevare i tassi per tre volte entro la fine dell’anno prossimo, sino al 2% circa. Ma questo lascerebbe poco spazio per la facilitazione monetaria in risposta a tendenze recessive, prima che il tasso di riferimento tocchi ancora lo zero.

Nelle ultime tre recessioni, i tagli complessivi al tasso di interesse sono stati vicini a cinque punti pieni di percentuale. Questa volta, poiché la ripresa lenta ha consentito una normalizzazione soltanto graduale dei tassi di interesse, e poiché sembra esserci stata più in generale una tendenza dei tassi di interesse ad orientarsi verso il basso, la Fed non ha spazio sufficiente per reagire.

In linea di principio, la Fed potrebbe lanciare un altro giro di facilitazioni quantitative. In aggiunta, almeno uno dei nominati al Consiglio della Federal Reserve dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha suggerito l’idea di tassi di interesse negativi. Ciò detto, questo Consiglio della Fed, con i suoi tre nominati da Trump, è probabile sia meno attivistico e innovativo dei suoi predecessori. E le critiche da parte del Congresso per ogni ulteriore espansione degli equilibri patrimoniali della Fed, saranno sicure e vigorose.

L’alternativa ovvia sarebbe la politica della spesa pubblica, ma il Congresso ha tagliato le tasse nel peggior momento possibile, non lasciando spazio per iniziative di stimolo quando saranno necessarie. L’aggiunta di 1.500 miliardi al debito federale creerà una comprensibile riluttanza a rispondere ad una recessione con ulteriori tagli alle tasse. Come hanno dimostrato i miei colleghi di Berkeley Christina e David Romer, la politica della finanza pubblica è meno efficace nel contrastare le recessioni, e meno probabile che sia utilizzata, quando un paese è già caratterizzato da un elevato debito pubblico.

Anziché stimolare l’economia nella prossima recessione, è probabile che i repubblicani nel Congresso risponderanno in modo perverso. Quando le entrate si ridurranno e il deficit si allargherà persino più velocemente, essi insisteranno sui tagli alla spesa per far tornare la traiettoria del debito al suo precedente indirizzo.

I repubblicani al Congresso con tutta probabilità cominceranno con il Programma di Assistenza Alimentare Supplementare, che fornisce alimenti alle famiglie a basso reddito. Poi procederanno a tagliare Medicare, Medicaid e la Previdenza Sociale. Il gravame di questi tagli alla spesa ricadranno sulla vita quotidiana dei consumatori, che ridurranno le loro spese dollaro dopo dollaro, intaccando la domanda aggregata.

Per loro conto, i Governi degli Stati, costretti dai nuovi limiti sulla deducibilità delle tasse ai livelli degli Stati e delle comunità locali a ridurre i loro bilanci, è probabile che si muoveranno ulteriormente nella direzione di limitare la durata dei sussidi di disoccupazione e dei loro specifici programmi di assistenza alimentare e nutrizionistica.

Neanche le condizioni globali aiuteranno gli Stati Uniti. Le banche centrali straniere, dall’Europa al Giappone, hanno anch’esse spazio esiguo per tagliare i tassi di interesse. Anche dopo che un Governo in Germania si sarà finalmente costituito, gli operatori della politica economica di quel paese continueranno ad esibire la loro caratteristica riluttanza ad utilizzare la politica della spesa pubblica. E se la Germania non userà il suo spazio di finanza pubblica, resterà poco spazio per farlo da parte dei suoi partner dell’eurozona.

Oltre a ciò, la portata per quel genere di cooperazione internazionale che contribuì ad arrestare la contrazione del 2008-2009 è stata distrutta dall’agenda “Anzitutto l’America” di Trump, che tratta nello stesso modo alleati e avversari. Gli altri paesi lavoraranno assieme al Governo degli Stati Uniti per contrastare la prossima recessione alla condizione di poter credere sui suoi giudizi e sulle sue intenzioni. E la fiducia negli Stati Uniti potrebbe scarseggiare.

Nel 2008-2009 la Fed estese le linee di scambio dei dollari alle banche centrali straniere, ma finì sotto il fuoco del Congresso per aver “mandato all’estero” i soldi guadagnati con fatica dagli americani. Allora, al Summit del G20 di Londra agli inizi del 2009, la Amministrazione del Presidente Barack Obama prese un impegno a coordinare il suo stimolo di finanza pubblica con quello degli altri paesi. Oggi, alla distanza di quasi un decennio, è difficile immaginare che l’Amministrazione di Trump anche soltanto si presenti ad un incontro del genere.

La durata di una espansione economica non è un fattore previsionale affidabile per l’arrivo di un prossimo declino. E la profondità e la forma di quella recessione dipenderà dagli eventi che la innescano, che sono egualmente incerti. Quello che sappiamo di sicuro, tuttavia, è che le espansioni non durano per sempre. Una tempesta arriverà certamente e, quando accadrà, saremo ben poco preparati al diluvio.

 

 

 

 

 

 

 

 

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