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Ma che guerra commerciale alla Trump! Di Paul Krugman (New York Times 8 marzo 2018)

 

Oh, What a Trumpy Trade War!

Paul Krugman MARCH 8, 2018

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There’s near-universal consensus among both economists and business leaders that Donald Trump’s tariffs on steel and aluminum are a bad idea, and that the wider trade war those tariffs could trigger would be very destructive. But the chances of heading off this policy disaster are small, because this is a quintessential example of Trump being Trump.

In fact, the tariffs are arguably the Trumpiest thing Trump has done so far.

After all, trade (like racism) is an issue on which Trump has been utterly consistent over the years. He has spent decades railing at other countries that, he claims, hurt America by taking advantage of our relatively open markets. And if his views are based on zero understanding of the issues or even of basic facts, well, Trumpism is all about belligerent ignorance, across the board.

But wait, there’s more. There’s a reason we have international trade agreements, and it’s not to protect us from unfair practices by other countries. The real goal, instead, is to protect us from ourselves: to limit the special-interest politics and outright corruption that used to reign in trade policy.

Trumpocrats, however, don’t see corruption and rule by special interests as problems. You could say that the world trading system is, in large part, specifically designed to prevent people like Trump from having too much influence. Of course he wants to wreck it.

Some background: Contrary to what some seem to believe, textbook economics doesn’t say that free trade is win-win for everyone. Instead, trade policy involves very real conflicts of interest. But these conflicts of interest are overwhelmingly between groups within each country, rather than between countries. For example, a trade war against the European Union would make America as a whole poorer, even if the E.U. didn’t retaliate (which it would). It would, however, benefit some industries that happen to face stiff European competition.

And here’s the thing: The small groups that benefit from protectionism often have more political influence than the much larger groups that are hurt. That’s why Congress used to routinely pass destructive trade bills, culminating in the infamous Smoot-Hawley Tariff Act of 1930: Enough members of Congress were bought off, one way or another, to enact legislation that almost everyone knew was bad for the nation as a whole.

In 1934, however, F.D.R. introduced a new approach to trade policy: reciprocal agreements with other countries, in which we exchanged reduced tariffs on their exports for reduced tariffs on ours. This approach introduced a new set of special interests, exporters, who could offer countervailing power against the influence of special interests seeking protection.

F.D.R.’s reciprocal agreement approach led to a rapid unwinding of Smoot-Hawley, and after the war it evolved into a series of global trade deals, creating a world trading system that these days is overseen by the World Trade Organization. In effect, the U.S. remade world trade policy in its own image. And it worked: The global deals that evolved from the reciprocal tariff approach greatly reduced tariff rates around the world, while setting up rules that constrain countries from backtracking on their commitments.

The overall effect of the evolution of the world trading system has been very salutary. Tariff policy, which used to be one of the dirtiest, most corrupt aspects of politics both in the U.S. and elsewhere, has become remarkably (though not perfectly) clean.

And I’d add that global trade agreements are a striking and encouraging example of effective international cooperation. In that sense they make a real if hard to measure contribution to democratic governance and world peace.

But then came Trump.

Under U.S. trade law, which is written to be consonant with our international agreements, the president can impose tariffs under certain narrowly defined conditions. But the steel and aluminum tariffs, justified with an obviously bogus appeal to national security, clearly don’t pass the test.

So Trump is in effect both violating U.S. law and throwing the world trading system under the bus. And if this escalates into a full-scale trade war, we’ll be back to the bad old days. Tariff policy will once again be driven by influence-peddling and bribery, never mind the national interest.

But that won’t bother Trump. After all, we now basically have an Environmental Protection Agency run on behalf of polluters, an Interior Department run by people who want to loot federal land, an Education Department run by the for-profit schools industry, and so on. Why should trade policy be different?

It’s true that many big businesses and free-market ideologues, who thought they had Trump in their corner, are horrified by his moves on trade. But what did they expect? There was never any good reason to think that trade policy was safe from Trump’s depredations.

 

Ma che guerra commerciale alla Trump! Di Paul Krugman

New York Times 8 marzo 2018

C’è un consenso quasi universale sia tra gli economisti che tra i dirigenti di impresa che le tariffe di Donald Trump sull’acciaio e l’alluminio siano una cattiva idea e che la più ampia guerra commerciale che tali tariffe potrebbero innescare sarebbe assolutamente distruttiva. Ma le possibilità di evitare questo disastro politico sono piccole, perché questo è un esempio per antonomasia del trumpismo di Trump.

In sostanza, le tariffe sono probabilmente la cosa più trumpiana che Trump abbia fatto sino ad oggi.

Dopo tutto, il commercio (come il razzismo) è un tema sul quale Trump è stato completamente coerente nel corso degli anni. Ha speso decenni ad imprecare contro altri paesi che a suo giudizio danneggiano l’America, avvantaggiandosi dei nostri mercati relativamente aperti. E se questi suoi punti di vista sono basati su una comprensione pari a zero dei temi e persino dei fatti fondamentali, ebbene, il trumpismo non è niente altro che ignoranza aggressiva, a tutto campo.

Ma aspettate, c’è dell’altro. C’è una ragione per la quale abbiamo gli accordi commerciali internazionali, ed essa non consiste nel proteggerci da pratiche ingiuste di altri paesi. Il vero obbiettivo, piuttosto, è proteggerci da noi stessi: contenere la politica degli interessi speciali e la corruzione assoluta che un tempo regnava nella politica commerciale.

Tuttavia, gli uomini di Trump non considerano la corruzione e il governare sulla base di interessi speciali come problemi. Si potrebbe dire che il sistema commerciale mondiale è, in larga parte, precipuamente rivolto ad impedire che individui come Trump abbiano troppa influenza. È naturale che lui voglia distruggerlo.

Un po’ di contesto: diversamente da quello che alcuni sembrano credere, i libri di testo di economia non dicono che il libero commercio è vantaggioso per tutti. Piuttosto, la politica commerciale riguarda conflitti di interesse molto reali. Ma questi conflitti di interesse sono in modo assolutamente prevalente interni ai gruppi di ciascun paese, piuttosto che tra i paesi. Ad esempio, una guerra commerciale contro l’Unione Europea renderebbe l’America nel suo complesso più povera, anche se l’UE non passasse a ritorsioni (cosa che farebbe). Però ne trarrebbero beneficio alcune industrie che, guarda caso, affrontano una agguerrita competizione europea.

E qua è il punto: i piccoli gruppi che traggono beneficio dal protezionismo spesso hanno una influenza politica molto maggiore dei più ampi gruppi che sono danneggiati. E questa è la ragione per la quale il Congresso era solito approvare di tanto in tanto proposte di legge sul commercio distruttive, che culminarono nella famigerata Legge sulle Tariffe Smoot-Hawley del 1930: un numero sufficiente di membri del Congresso, in un modo o nell’altro, furono comprati per approvare una legislazione che quasi tutti sapevano sarebbe stata negativa per la Nazione nel suo complesso.

Tuttavia, nel 1934, Franklin Delano Roosevelt stabilì un nuovo approccio alla politica commerciale: accordi di reciprocità con gli altri paesi, nei quali noi scambiavamo tariffe ridotte sulle loro esportazioni in cambio di tariffe ridotte sulle nostre. Questo approccio introdusse un nuovo complesso di interessi speciali, gli esportatori, che poté offrire un potere di compensazione contro l’influenza di interessi speciali in cerca di protezione.

L’approccio degli accordi di reciprocità di Roosevelt portò ad un rapido rilassamento della Smoot-Hawley, e dopo la guerra maturò in una serie di accordi commerciali globali, creando un sistema commerciale mondiale che di questi tempi è sorvegliato dalla Organizzazione Mondiale per il Commercio. In effetti, gli Stati Uniti rifecero la politica commerciale mondiale a loro immagine e somiglianza. E funzionò: gli accordi globali che si svilupparono dall’approccio di reciprocità sulle tariffe, ridussero grandemente in tutto il mondo le aliquote tariffarie, mentre si istituirono regole che impediscono che i paesi tornino indietro sui loro impegni.

L’effetto complessivo della evoluzione del sistema commerciale mondiale è stato molto salutare. La gestione delle tariffe, che era di solito uno degli aspetti più sporchi e più corrotti della politica sia negli Stati Uniti che altrove, è diventata considerevolmente (sebbene non perfettamente) pulita.

E aggiungerei che gli accordi commerciali globali sono un sorprendente e incoraggiante esempio di efficace cooperazione internazionale. In quel senso, essi danno un reale contributo, per quanto arduo da misurare, alla governance democratica e alla pace mondiale.

Ma poi entrò in scena Trump.

Con la legislazione commerciale degli Stati Uniti, che è scritta per essere in armonia con i nostri accordi internazionali, il Presidente, in certe condizioni definite in senso stretto, può imporre determinate tariffe. Ma le tariffe sull’acciaio e l’alluminio, giustificate con un appello alla sicurezza nazionale evidentemente fasullo, chiaramente non rispettano quelle condizioni.

Dunque, Trump sta in effetti sia violando la legge statunitense che spingendo contro un treno il sistema commerciale mondiale. E se tutto questo degenera in una guerra commerciale su vasta scala, ritorneremo ai guai dei tempi andati. La politica tariffaria sarà ancora una volta guidata da pratiche clientelari e da mazzette, che niente hanno a che fare con gli interessi nazionali.

Ma ciò non darà fastidio a Trump. Dopo tutto, adesso abbiamo fondamentalmente una Agenzia di Protezione dell’Ambiente governata nell’interesse degli inquinatori, un Dipartimento degli Interni gestito da persone che vogliono saccheggiare il territorio federale, un Dipartimento dell’Istruzione gestito dal settore delle scuole con fini di lucro, e via dicendo. Perché la politica commerciale dovrebbe essere diversa?

È vero che molti impresari ed ideologi del libero mercato, che pensavano di avere Trump dalla loro parte, sono terrorizzati da queste mosse sul commercio. Ma cosa si aspettavano? Non c’è mai stata alcuna buona ragione per pensare che la politica commerciale fosse al sicuro dai saccheggi di Trump.

 

 

 

 

 

 

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