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Gli intellettuali, la politica e la malafede, di Paul Krugman (New York Times 4 giugno 2018)

 

June 4, 2018

Intellectuals, Politics and Bad Faith

By Paul Krugman

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Last week The Stanford Daily reported a curious story concerning Niall Ferguson, a conservative historian who is a fellow at Stanford’s Hoover Institution. The story itself, although ugly, isn’t that important. But it offers a window into a reality few people, certainly in the news media, are willing to acknowledge: the bad faith that pervades conservative discourse.

And yes, I do mean “conservative.” There are dishonest individuals of every political persuasion, but if you’re looking for systematic gaslighting, insistence that up is down and black is white, you’ll find it disproportionately on one side of the political spectrum. And the trouble many have in accepting that asymmetry is an important reason for the mess we’re in.

But how can I say that the media refuses to acknowledge conservative bad faith? While some journalists remain squeamish about actually using the word “lie,” and there’s still a tendency for headlines to repeat false talking points (which are only revealed to be false in the body of the article), readers do get a generally accurate picture of the extent to which dishonesty prevails within the Trump administration.

It seems to me, however, that the media makes Donald Trump’s lies seem more exceptional — and more of a break with previous practice — than they really are. Trump’s seven-lies-a-day habit and his constant claims of being victimized by people who accurately report the facts are only a continuation of something that has been going on in the conservative movement for years.

At a fundamental level, after all, how different is Trump from Fox News, which has spent decades misinforming viewers while denouncing the liberal bias of mainstream media? How different is he from Republicans who accused Democrats of fiscal irresponsibility and now denounce the Congressional Budget Office when it points out how their tax cuts will increase the deficit?

And the same kind of bad faith can be seen in other arenas — very much including college campuses. Which brings me back to the Stanford story.

Ferguson is, as it happens, one of those conservative intellectuals who hyperventilate about the supposed threat campus activists pose to free speech — indeed, calling the campus left the “biggest threat” to free speech in Trump’s America. At Stanford, he was one of the faculty leaders of a program called Cardinal Conversations, which was supposed to invite speakers who would “air contested issues.”

Among the invited speakers was Charles Murray, famous for a much-debunked book claiming that black-white differences in I.Q. are genetic in nature. Not surprisingly, the invitation provoked student protests. This was the context in which Ferguson engaged in a series of email communications with right-wing student activists in which he urged them to “unite against the S.J.W.s” (social justice warriors), “grinding them down.” And he suggested “opposition research” against one left-wing student. A student!

Ferguson later sort of apologized, but it was more of an “I’m sorry that you feel that way” than a true apology, and he began by decrying the fact that these days few academic historians are registered Republicans, which he takes as ipso facto evidence of biased hiring and a hostile environment.

So what’s really going on here? It’s true that self-proclaimed conservatives are pretty scarce among U.S. historians. But then, so are self-proclaimed conservatives in the “hard,” physical and biological sciences.

Why are there so few conservative scientists? It might be because academics, as a career, appeals more to liberals than to conservatives. (There aren’t a lot of liberals in police departments — or, contra Trump, the F.B.I.) Alternatively, scientists may be reluctant to call themselves conservatives because in modern America being a conservative means aligning yourself with a faction that by and large rejects climate science and the theory of evolution. Might not similar considerations apply to historians?

But more to the point, conservative claims to be defending free speech and open discussion aren’t sincere. Conservatives don’t want to see ideas evaluated on their merits, regardless of politics; they want ideas convenient to their side to receive (at least) equal time regardless of their intellectual quality.

Indeed, conservative groups are engaged in a systematic effort to impose political standards on higher education. For example, we now know that the Koch brothers have used donations to gain power over academic appointments at least two universities.

So what does all this mean for the rest of us? Mainly, it means that if you’re in any role that involves informing people — whether it’s in education or in journalism — you shouldn’t let right-wingers, as Ferguson would put it, grind you down.

These days, both universities and news organizations are under constant pressure not just to be nicer to Trump but to respect right-wing views across the board. The people making these demands claim to want fairness.

So you need to remember that this claim is made in bad faith. It has nothing to do with fairness; it’s all about power.

 

Gli intellettuali, la politica e la malafede, di Paul Krugman

New York Times 4 giugno 2018

 

La scorsa settimana The Stanford Daily ha pubblicato una storia curiosa riguardante Niall Ferguson, uno storico conservatore che è un collega all’Istituto Hoover di Stanford. La storia in sé, per quanto sgradevole, non è così importante. Ma apre una finestra su una realtà che certamente in pochi, nei media dell’informazione, sono disponibili a riconoscere: la malafede che pervade le posizioni conservatrici.

Ed è così, intendo davvero “conservatrici”. Ci sono individui disonesti di ogni orientamento politico, ma se siete in presenza di una manipolazione sistematica, della insistenza che il sopra è il sotto e il nero è il bianco, lo troverete sproporzionatamente su un lato dello schieramento politico. E il problema che hanno in molti a riconoscere tale asimmetria è una ragione importante del disastro nel quale siamo finiti.

Ma come arrivo alla conclusione che i media rifiutano di riconoscere la malafede conservatrice? Mentre alcuni giornalisti restano schizzinosi nell’utilizzo franco della parola “bugia”, e c’è ancora una tendenza nei titoli a ripetere falsi argomenti cruciali (che si rivelano nella loro falsità solo nel corpo dell’articolo), in generale i lettori ottengono una descrizione accurata della misura in cui la disonestà prevale all’interno della Amministrazione Trump.

Mi sembra, tuttavia, che i media facciano apparire le bugie di Donald Trump più eccezionali – e più dirompenti rispetto ad una abitudine precedente – di quanto non siano realmente. L’abitudine delle ‘sette-bugie-al-giorno’ di Trump e le sue continue lamentele di essere una vittima di persone che fanno in modo accurato il resoconto dei fatti, semplicemente continuano qualcosa che è andato avanti per anni nelle posizioni del movimento conservatore.

Dopo tutto, in un senso profondo, che differenza c’è tra Trump e Fox News, che ha passato decenni nel disinformare i telespettatori denunciando le tendenze progressiste dei media principali? Che differenza c’è tra lui e i repubblicani che accusavano i democratici di essere irresponsabili in materia di finanza pubblica e oggi denunciano l’Ufficio Congressuale del Bilancio quando mette in evidenza come i loro tagli alle tasse aumenteranno il deficit?

E lo stesso genere di malafede può essere osservato in altri campi –  includendo in buona misura i campus universitari. Il che mi riporta alla storia di Stanford.

Si dà il caso che Ferguson sia uno degli intellettuali conservatori che hanno strumentalizzato a man bassa la presunta minaccia che gli attivisti dei campus costituirebbero per la libertà di parola – definendo, in effetti, la sinistra dei campus come “la minaccia più grande” alla libertà di parola nell’America di Trump. A Stanford egli è stato uno dei dirigenti della facoltà di un programma definito Conversazioni Basilari, che si supponeva destinato ad invitare oratori che avrebbero “dato voce a tematiche controverse”.

Tra gli oratori invitati c’era Charles Murray, noto per un libro assai contestato che sostiene che le differenze d quoziente intellettuale tra neri e bianchi sono genetiche, esistono in natura. Non è stata una sorpresa che l’invito abbia provocato le proteste degli studenti. Questo era il contesto nel quale Ferguson si è impegnato in una serie di comunicazioni email con studenti attivisti della destra con le quali ha fatto pressioni su di loro perché “si unissero contro i SJW (i combattenti per la giustizia sociale), facendo piazza pulita di loro”. Ed ha suggerito una “ricerca di opposizione” contro uno studente di sinistra. Uno studente!

Successivamente Ferguson si è in qualche modo scusato, ma più che vere scuse sono state una sorta di “mi dispiace che l’abbiate presa in quel modo”, ed ha cominciato a denunciare il fatto che di questi tempi ci siano pochi storici universitari registrati come repubblicani, che egli considera di per sé una testimonianza di assunzioni ideologiche e di un ambiente ostile.

Cosa sta accadendo, dunque? É vero che I sedicenti conservatori sono abbastanza scarsi tra gli storici statunitensi. Ma lo stesso si può dire dei sedicenti conservatori nelle scienze ‘dure’ della fisica e della biologia.

Perché ci sono così pochi scienziati conservatori? Potrebbe dipendere dal fatto che il lavoro universitario, come carriera, attrae maggiormente i progressisti che i conservatori (non c’è un gran numero di progressisti nei Dipartimenti della Polizia – oppure nell’FBI, anche tra coloro che sono ostili a Trump). In alternativa, gli scienziati potrebbero essere riluttanti a definirsi conservatori perché nell’America odierna essere un conservatore significa allinearsi con una fazione che in generale respinge il cambiamento climatico e la teoria dell’evoluzione. Non potrebbero applicarsi considerazioni simili agli storici?

Ma, soprattutto, gli argomenti dei conservatori di star difendendo la libertà di parola e i dibattiti aperti non sono sincere. I conservatori non vogliono vedere le idee valutate sulla base dei loro meriti, a prescindere dalla politica; vogliono idee che siano convenienti al loro schieramento al fine di ricevere (almeno) un tempo uguale, a prescindere dalla loro qualità intellettuale.

In effetti, i gruppi conservatori sono impegnati in uno sforzo sistematico per imporre criteri politici nell’educazione superiore. Ad esempio, adesso sappiamo che i Fratelli Koch hanno utilizzato donazioni per avere maggior potere nelle nomine accademiche almeno in due Università.

Cosa comporta, dunque, questo per tutti gli altri? Fondamentalmente significa che, se si è in una funzione che attiene all’informazione delle persone – che si tratti di educazione o di giornalismo – non dovreste consentire agli estremisti della destra, come si esprime Ferguson, di togliervi di mezzo.

Di questi tempi, sia le Università che le agenzie dell’informazione sono sotto una pressione costante non solo per essere più graziose verso Trump ma per rispettare i punti di vista della destra in modo indiscriminato. Le persone che avanzano queste richieste sostengono di volere giustizia.

Dunque voi dovete ricordare che questo argomento è avanzato in mala fede. La giustizia non c’entra niente; tutto questo riguarda il potere.

 

 

 

 

 

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