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Trump, le tariffe, il Tofu e i tagli alle tasse, di Paul Krugman (New York Times, 9 luglio 2018)

July 9, 2018

Trump, Tariffs, Tofu and Tax Cuts

By Paul Krugman

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According to early indications, recent U.S. economic growth was full of beans.

No, seriously. More than half of America’s soybean exports typically go to China, but Chinese tariffs will shift much of that demand to Brazil, and countries that normally get their soybeans from Brazil have raced to replace them with U.S. beans. The perverse result is that the prospect of tariffs has temporarily led to a remarkably large surge in U.S. exports, which independent estimates suggest will add around 0.6 percentage points to the U.S. economy’s growth rate in the second quarter.

Unfortunately, we’ll give all that growth back and more in the months ahead. Thanks to the looming trade war, U.S. soybean prices have plummeted, and the farmers of Iowa are facing a rude awakening.

Why am I telling you this story? Partly as a reminder of the unintended consequences of Donald Trump’s trade war, which is going to hurt a lot of people, like Iowa farmers, who supported him in 2016. In fact, it looks as if the trade war is in general going to hurt Trump’s supporters more than his opponents.

Meanwhile, Trump’s trade war will benefit some unexpected parties. Was making Brazil great again part of his agenda?

But mainly I offer the parable of the soybeans as a warning against what’s going to happen later this month, when the advance estimate of second-quarter G.D.P. comes in. The headline number is probably going to look good, possibly over 4 percent growth. If so, Trump will trumpet the news as proof that his economic policies are working — and some gullible journalists may go along with his claim.

So what you need to know is that (a) quarterly fluctuations in growth are mainly noise, telling you very little about long-term economic prospects, and (b) more fundamental indicators show that Trump’s main policy achievement to date, last year’s tax cut, is basically delivering none of what its backers promised.

About those quarterly growth rates: By historical standards, the economic recovery since the end of the global financial crisis has been remarkably consistent. If you look at job growth you see a steady upward trend, seemingly unaffected by political events. Quarterly G.D.P. growth has, however, fluctuated wildly, with a couple of negative quarters and a high of 5.2 percent in the third quarter of 2014.

The moral is clear: Pay little or no attention to short-term growth wobbles, which can be driven by transitory stuff like the reshuffling of world soybean trade.

But in that case, how can we evaluate Trump’s economic policies? The answer is, by looking at how those policies were supposed to work, and comparing that with what’s actually happening.

Let me damn the 2017 tax cut with some faint praise: While the logic of the Trump trade war is completely muddled — never mind how it’s supposed to work, it’s not even clear what it’s supposed to achieve — the drafters of the tax bill did have a theory of the case. The story went like this: Lower taxes on corporations would lead to a huge surge of investment, which would raise productivity, which would eventually be passed on to workers in higher wages.

By the way, the idea that workers would see an immediate benefit was always obvious nonsense, and sure enough, they didn’t. In fact, adjusted for inflation, the hourly wages of ordinary workers were slightly lower in May than they were a year earlier.

Anyway, when I say a huge surge in investment, I mean huge. Last year I looked at estimates from the Tax Foundation, the only independent institution (well, supposedly independent, anyway) willing to endorse highly optimistic assessments of the tax cut. Those estimates, it turned out, implied a boost in business investment of around $600 billion a year, or 3 percent of G.D.P.

Nothing like that is happening, and leading indicators of business investment, like orders of capital goods, show no sign of an investment boom ahead. Corporations have gotten a really big tax cut: The tax take on corporate profits has fallen off a cliff since the tax cut was enacted. But they’re using the extra money for stock buybacks and higher dividends, not investment.

As a result, there’s no reason to believe that the U.S. economy’s potential growth — the rate of growth it can achieve on a sustained basis — will rise from the 2 percent or less expected by most analysts. The tax cut has been good for stockholders — about a third of whom are foreigners, by the way. Working Americans, not so much.

So how is the Trump economic policy doing? The tax cut is utterly failing to deliver on its advocates’ promises. It’s early days in the trade war, but the administration’s strategy seems designed to inflict maximum self-harm, and first reports suggest that trade conflict is leading to reduced, not increased, investment.

Against that background, how much should we care about whatever headlines are generated by the next set of growth numbers? Very little, if at all. (To be clear, this statement also applies if the quarterly numbers come in worse than expected.) Short-term growth is noise, signifying nothing.

 

Trump, le tariffe, il Tofu e i tagli alle tasse, di Paul Krugman

New York Times, 9 luglio 2018

Secondo le prime indicazioni, la recente crescita economica degli Stati Uniti era piena di soia.

Lo dico sul serio. Più della metà delle esportazioni di soia dell’America vanno di solito in Cina, ma le tariffe cinesi sposteranno molta di quella domanda al Brasile, e i paesi che normalmente ottengono i loro semi di soia dal Brasile si sono precipitati a sostituirli con soia statunitense. Il risultato perverso è che la prospettiva delle tariffe ha temporaneamente portato a una considerevole ampia impennata nelle esportazioni statunitensi, che secondo stime indipendenti aumenterà di circa 0,6 punti percentuali il tasso di crescita dell’economia statunitense nel secondo trimestre.

Sfortunatamente, restituiremo tutta quella crescita ed anche di più nei mesi a venire. Grazie all’incombente guerra commerciale, i prezzi della soia americana sono precipitati, e gli agricoltori dell’Iowa sono di fronte a un ruvido risveglio.

Perché vi sto raccontando questa storia? In parte come promemoria delle conseguenze inattese della guerra commerciale di Donald Trump, che è destinata a danneggiare una gran quantità di persone, come gli agricoltori dell’Iowa, che lo sostennero nel 2016. Di fatto, in generale è come se la guerra commerciale stesse andando a far danni ai sostenitori di Trump, molto di più che ai suoi avversari.

Nel frattempo, dalla guerra commerciale di Trump trarranno vantaggio alcune componenti inaspettate. Far grande il Brasile era anch’esso parte della sua agenda?

Ma principalmente offro la parabola dei semi di soia come una messa in guardia contro quello che è destinato ad accadere alla fine di questo mese, quando arriverà la stima del secondo trimestre del PIL. Il numero nei titoli dei giornali probabilmente sarà buono, forse una crescita superiore al 4 per cento. Trump strombazzerà le notizie come una prova che le sue politiche economiche stanno funzionando – e qualche giornalista credulone potrebbe acconsentire a questa pretesa.

Quello che dunque avete bisogno di sapere è: a) che le fluttuazioni trimestrali della crescita sono principalmente un rumorio che vi dice pochissimo delle prospettive economiche lungo termine; e b), che i principali indicatori economici mostrano che sino ad oggi la principale realizzazione politica, il taglio delle tasse dell’anno passato, non sta fondamentalmente portando niente di quello che i suoi sostenitori avevano promesso.

A proposito dei tassi di crescita trimestrali: nella serie storica, la ripresa economica dalla fine della crisi finanziaria globale è stata considerevolmente coerente. Se guardate alla crescita dei posti di lavoro notate una tendenza regolare verso l’alto, apparentemente non influenzata dagli eventi politici. Tuttavia, la crescita per trimestre del PIL è fluttuata fortemente, con un paio di trimestri negativi ed una punta del 5,2 per cento di rialzo nel terzo trimestre del 2014.

Il senso è chiaro: si faccia poca o nessuna attenzione alle oscillazioni a breve termine, che possono essere guidate da cose transitorie come la riorganizzazione del commercio internazionale di soia.

Ma allora come possiamo valutare le politiche economiche di Trump? La risposta è: osservando come si pensava che quelle politiche funzionassero, e confrontandole con quello che sta effettivamente avvenendo.

Fatemi condannare il taglio delle tasse del 2017 con un finto elogio: mentre la logica della guerra commerciale di Trump è del tutto confusa – non è importante come si pensava che funzionasse, non è neppure chiaro quello che si pensava realizzasse – gli estensori della proposta di legge avevano effettivamente una teoria per tale ipotesi. Il racconto era il seguente: tasse più basse sulle società avrebbero portato a una forte crescita degli investimenti, che avrebbe elevato la produttività, che alla fine si sarebbe trasferita in salari più alti ai lavoratori.

Per inciso, l’idea che i lavoratori avrebbero goduto di un vantaggio immediato è sempre stata una evidente insensatezza, e di certo non è successo. Di fatto, corretti per l’inflazione, i salari orari dei lavoratori comuni erano leggermente più bassi in maggio di quanto non fossero un anno prima.

In ogni modo, quando parlo di una forte crescita degli investimenti, intendo un vasto incremento. L’anno scorso, osservavo le stime provenienti da Tax Foundation, il solo istituto indipendente (ebbene, in ogni caso supposto indipendente) disponibile ad appoggiare giudizi altamente ottimistici sul taglio delle tasse. Emerse che quelle stime comportavano un impulso agli investimenti delle imprese di circa 600 miliardi all’anno, ovvero del 3 per cento del PIL.

Niente di simile a ciò che sta avvenendo, e gli indicatori principali degli investimenti delle imprese, come gli ordini dei beni capitali, non mostrano alcun segno di un boom degli investimenti per il futuro. Le società hanno ricevuto un taglio delle tasse realmente cospicuo: dal momento in cui il taglio delle tasse è stato approvato, la riscossione delle tasse sui profitti di impresa è precipitata in basso. Ma i soldi aggiuntivi vengono utilizzati per riacquistare le azioni e per dividendi più elevati, non per investimenti.

Di conseguenza, non c’è alcuna ragione per credere che la crescita potenziale dell’economia degli Stati Uniti – il tasso di crescita che essa può realizzare su basi prolungate – secondo la maggioranza degli economisti crescerà rispetto al 2 per cento o meno atteso. Il taglio alle tasse è stato buono per gli azionisti – circa un terzo dei quali, per inciso, sono stranieri. Non proprio americani che lavorano.

Dunque, cosa sta producendo la politica economica di Trump? Il taglio alle tasse sta completamente fallendo le realizzazioni promesse dai suoi sostenitori. Siamo agli inizi della guerra commerciale, ma la strategia della Amministrazione sembra destinata a provocare il massimo danno su di noi, e i primi resoconti indicano che il conflitto commerciale sta portando ad una riduzione, non a un incremento, degli investimenti.

Su questo sfondo, quanto dovremmo preoccuparci per qualsiasi titolo di giornale che sarà generato dalla prossima serie di dati sulla crescita? Poco o niente (per chiarezza, questo giudizio varrà anche se arriveranno dati trimestrali peggiori di quanto atteso). La crescita a breve termine è un rumorio, non significa niente.

 

 

 

 

 

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