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Che diavolo è successo al Brasile? (dal blog di Paul Krugman, 9 novembre 2018)

 

Nov. 12. 2018

What the Hell Happened to Brazil? (Wonkish)

By Paul Krugman

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I think I can now take some time off from the U.S. political crisis to talk about events elsewhere. So, as the headline says, what the hell happened to Brazil?

I’m actually not talking about the recent election, in which Brazil’s voters chose someone who appears to be an actual fascist. I’m as horrified as anyone else. However, I have no knowledge whatsoever of Brazilian politics. On the other hand, the backdrop to that election was Brazil’s extraordinary economic crisis of 2015-16: A nation that had been on an upward trajectory, that seemed to have shaken off the legacy of instability, suffered a terrible recession and is experiencing a very slow recovery. And macroeconomics is a subject I’m supposed to know something about.

So what happened? There has been surprisingly little international discussion of the Brazilian experience, even though it was very severe and Brazil is a pretty big economy (G.D.P. at purchasing power parity about 10 times as large as Greece.) Maybe we’re all too distracted by the political crisis in the West — Trump, Brexit, etc. Anyway, I’ve been trying to put together a story of the Brazilian crisis, well aware that I may well be missing important aspects.

Here’s what it looks like to me: Brazil appears to have been hit by a perfect storm of bad luck and bad policy, with three main aspects. First, the global environment deteriorated sharply, with plunging prices for the commodity exports still crucial to the Brazilian economy. Second, domestic private spending also plunged, maybe because of an excessive buildup of debt. Third, policy, instead of fighting the slump, exacerbated it, with fiscal austerity and monetary tightening even as the economy was headed down.

Maybe the first thing to say about Brazil’s crisis is what it wasn’t. Over the past few decades those who follow international macroeconomics have grown more or less accustomed to “sudden stop” crises in which investors abruptly turn on a country they’ve loved not wisely but too well. That was the story of the Mexican crisis of 1994-5, the Asian crises of 1997-9, and, in important ways, the crisis of southern Europe after 2009. It’s also what we seem to be seeing in Turkey and Argentina now.

We know how this story goes: the afflicted country sees its currency depreciate (or, in the case of the euro countries, its interest rates soar). Ordinarily currency depreciation boosts an economy, by making its products more competitive on world markets. But sudden-stop countries have large debts in foreign currency, so the currency depreciation savages balance sheets, causing a severe drop in domestic demand. And policymakers have few good options: raising interest rates to prop up the currency would just hit demand from another direction.

But while you might have assumed that Brazil was a similar case — its 9 percent decline in real G.D.P. per capita is comparable to that of sudden-stop crises of the past — it turns out that it isn’t. Brazil does not, it turns out, have a lot of debt in foreign currency, and currency effects on balance sheets don’t seem to be an important part of the story. What happened instead?

First of all, the global economic environment took a big turn for the worse. Brazil has diversified somewhat into manufactures, but it’s still heavily dependent on commodity exports, whose prices have plunged. As Figure 1 shows, Brazil’s terms of trade — the ratio of export to import prices — took a major hit.

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Figure 1 World Bank

This would have been nasty in any case. But it went along with a sharp fall in domestic consumer spending (Figure 2). Atif Mian and co-authors tell us that this was linked to a rise in household debt over the previous few years — that, Brazil experienced something more like the advanced-country debt deflation of 2008 than a traditional emerging-market crisis.

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Figure 2 FRED

What really did Brazil’s economy in, however, was the way it responded to these shocks: with fiscal and monetary policy that made things much worse.

On the fiscal side: Brazil has big long-term solvency problems. But these require long-term solutions. What happened instead was that the Roussef government decided to impose sharp spending cuts in the middle of a slump. What were they thinking? Incredibly, it seems that they bought into the doctrine of expansionary austerity.

And on top of that, monetary policy also turned sharply contractionary, with a big rise in interest rates (Figure 3). What was that about?

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Figure 3 FRED

As best I can figure out, what happened was that the real depreciated mainly because of that terms of trade shock, sending inflation temporarily higher (Figure 4). And the central bank panicked, fixating on the inflation issue at the expense of the real economy. Now that the currency-induced spike is over, inflation is actually low by historical standards, but the damage was done.

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Figure 4 FRED

It’s a remarkable and depressing story. And this combination of bad luck and bad policy surely played a role in the political disaster that followed.

 

Che diavolo è successo al Brasile?

Di Paul Krugman

Penso che adesso possiamo prenderci un po’ di tempo fuori dalla crisi politica degli Stati Uniti per parlare di qualche fatto altrove. Dunque, come è scritto nel titolo, che diavole è successo al Brasile?

In realtà non sto parlando delle recenti elezioni, nelle quali gli elettori hanno scelto qualcuno che sembra essere proprio un fascista. Ne sono turbato come chiunque altro. Tuttavia, non ho alcuna conoscenza della politica brasiliana. D’altra parte, il retroterra di quelle elezioni è stata la straordinaria crisi economica del Brasile del 2015-16; una nazione che è stata su una traiettoria di progresso, che sembrava essersi scrollata di dosso l’eredità della instabilità, ha patito una tremenda recessione e sta facendo i conti con una ripresa molto lenta. E la macroeconomia è un tema sul quale suppongo di sapere qualcosa.

Dunque, cosa è accaduto? Sorprendentemente c’è stato poco dibattito internazionale sulla esperienza brasiliana, anche se essa è stata molto grave e il Brasile è un’economia piuttosto grande (il PIL a parità del potere di acquisto è circa dieci volte quello della Grecia). Forse siamo troppo distratti dalla crisi politica in Occidente – Trump, la Brexit etc. In ogni modo ho cercato di mettere assieme un racconto della crisi brasiliana, ben consapevole che potrei benissimo essermi perso aspetti importanti.

Ecco secondo me a cosa essa assomiglia: il Brasile sembra essere stato colpito da una tempesta perfetta di sfortuna e di cattiva politica, con tre aspetti principali. Il primo: il contesto globale si è deteriorato bruscamente, con una caduta dei prezzi all’esportazione delle materie prime, ancora cruciali per l’economia brasiliana. Il secondo: anche la spesa privata è crollata, forse a causa di un eccessivo accumularsi del debito. Il terzo: la politica, anziché combattere la recessione, l’ha esacerbata, con l’austerità delle finanze pubbliche e la restrizione monetaria, anche quando l’economia stava cadendo in basso.

Forse la prima cosa da dire sulla crisi del Brasile è quello che non è stata. Nei pochi decenni passati, coloro che seguono la macroeconomia internazionale si erano più o meno abituati alle crisi da “blocchi improvvisi”, nelle quali gli investitori all’improvviso cambiano direzione rispetto ad un paese che avevano molto amato, seppure non saggiamente. Questa fu la storia della crisi messicana nel 1994-5, delle crisi asiatiche del 1997-9 e, in modi importanti, la crisi dell’Europa meridionale dopo il 2009. È anche quello che sembra di vedere adesso in Turchia e Argentina.

Sappiamo come procedono queste storie: il paese colpito vede la propria valuta deprezzarsi (oppure, nel caso dei paesi euro, i propri tassi di interesse schizzare in alto). Ordinariamente il deprezzamento di una valuta incoraggia un’economia, rendendo i suoi prodotti più competitivi sui mercati mondiali. Ma i paesi con blocchi improvvisi hanno ampi debiti in valute straniere, dunque la svalutazione della moneta attacca gli equilibri patrimoniali, provocando una grave caduta nella domanda interna. E le autorità hanno poche buone possibilità: elevare i tassi di interesse per sostenere la valuta darebbe soltanto un colpo alla domanda da un’altra direzione.

Ma se potreste aver pensato che il Brasile fosse un caso simile – la sua caduta del 9 per cento nel PIL reale procapite è confrontabile con quelle delle crisi da blocchi improvvisi dl passato – si scopre che non si è trattato di questo. Si scopre che il Brasile non ha una gran quantità di debito in valute straniere, e gli effetti valutari sugli equilibri patrimoniali non sembrano essere un aspetto rilevante della storia. Cosa è successo, invece?

Prima di tutto, il contesto economico globale ha avuto una grande svolta, in negativo. Il Brasile ha diversificato qualcosa nelle sue manifatture, ma è ancora pesantemente dipendente dalle esportazioni di materie prime, i prezzi delle quali sono crollati. Come mostra la Figura 1, le ragioni di scambio del Brasile – il rapporto tra i prezzi delle esportazioni e quelli delle importazioni – hanno subito un colpo importante.

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Figura 1 Banca Mondiale  

 

Questo sarebbe stato grave in ogni caso. Ma è intervenuto assieme ad una brusca caduta nella spesa per i consumi interni (Figura 2). Atif Mian e altri coautori ci raccontano che essa era collegata ad una crescita nel debito delle famiglie nel corso degli anni precedenti – ovvero, che il Brasile ha conosciuto qualcosa di più simile alla deflazione da debito di un paese avanzato che una crisi tradizionale di un mercato emergente.

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Figura 2. Dati economici della Federal Reserve.

 

Quello che è stato realmente determinante per l’economia del Brasile, tuttavia, è stato il modo in cui esso ha risposto a questi shock: con una politica della finanza pubblica e monetaria che ha reso le cose molto peggiori.

Sul lato della finanza pubblica: il Brasile ha grandi problemi di solvibilità nel lungo termine. Ma questi richiedono soluzioni di lungo termine. Quello che invece è accaduto è stato che il Governo Roussef ha deciso di imporre bruschi tagli alla spesa nel mezzo di una recessione. Che cosa stavano pensando? Incredibilmente, sembra che avessero aderito alla dottrina dell’austerità espansiva [1].

E, soprattutto, anche la politica monetaria ha conosciuto una brusca svolta restrittiva, con una forte crescita dei tassi di interesse (Figura 3). Da cosa è dipesa?

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Figura 3. Dati economici della Federal Reserve.

 

Per quanto posso immaginare, quello che è accaduto è stato che il real si è svalutato per lo shock nelle ragioni di scambio, spedendo provvisoriamente più in alto l’inflazione. E la Banca Centrale è stata presa dal panico, fissandosi sul tema dell’inflazione a danno dell’economia reale. Ora che il picco è superato, l’inflazione è effettivamente bassa per le sue serie storiche, ma il danno era stato fatto.

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Figura 4. Dati economici della Federal Reserve.

 

Si tratta di una storia rilevante e deprimente. E questa combinazione di sfortuna e di cattiva politica certamente ha giocato un ruolo nel disastro politico che è seguito.   

 

 

 

 

 

 

 

[1] Il giudizio è desunto da un articolo apparso su The Conversation del 27 gennaio 2017, che riferisce di tagli draconiani alla spesa particolarmente nella sanità e nel sistema previdenziale, che hanno particolarmente colpito la popolazione più povera.

 

 

 

 

 

 

 

 

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