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Il Partito Repubblicano diventa apertamente autoritario, di Paul Krugman (New York Times 10 dicembre 2018)

 

Dec. 10, 2018

The G.O.P. Goes Full Authoritarian

 By Paul Krugman

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Donald Trump, it turns out, may have been the best thing that could have happened to American democracy.

No, I haven’t lost my mind. Individual-1 is clearly a wannabe dictator who has contempt for the rule of law, not to mention being corrupt and probably in the pocket of foreign powers. But he’s also lazy, undisciplined, self-absorbed and inept. And since the threat to democracy is much broader and deeper than one man, we’re actually fortunate that the forces menacing America have such a ludicrous person as their public face.

Yet those forces may prevail all the same.

If you want to understand what’s happening to our country, the book you really need to read is “How Democracies Die,” by Steven Levitsky and Daniel Ziblatt. As the authors — professors of government at Harvard — point out, in recent decades a number of nominally democratic nations have become de facto authoritarian, one-party states. Yet none of them have had classic military coups, with tanks in the street.

What we’ve seen instead are coups of a subtler form: takeovers or intimidation of the news media, rigged elections that disenfranchise opposing voters, new rules of the game that give the ruling party overwhelming control even if it loses the popular vote, corrupted courts.

The classic example is Hungary, where Fidesz, the white nationalist governing party, has effectively taken over the bulk of the media; destroyed the independence of the judiciary; rigged voting to enfranchise supporters and disenfranchise opponents; gerrymandered electoral districts in its favor; and altered the rules so that a minority in the popular vote translates into a supermajority in the legislature.

Does a lot of this sound familiar? It should. You see, Republicans have been adopting similar tactics — not at the federal level (yet), but in states they control.

As Levitsky and Ziblatt say, the states, which Justice Louis Brandeis famously pronounced the laboratories of democracy, “are in danger of becoming laboratories of authoritarianism as those in power rewrite electoral rules, redraw constituencies and even rescind voting rights to ensure that they do not lose.”

Thus, voter purges and deliberate restriction of minority access to the polls have become standard practice in much of America. Would Brian Kemp, the governor-elect of Georgia — who oversaw his own election as secretary of state — have won without these tactics? Almost certainly not.

And the G.O.P. has engaged in extreme gerrymandering. Some people have been reassured by the fact that the Democratic landslide in the popular vote for the House did, in fact, translate into a comparable majority in seats held. But you get a lot less reassured if you look at what happened at the state level, where votes often weren’t reflected in terms of control of state legislatures.

Let’s talk, in particular, about what’s happening in Wisconsin.

There has been a fair amount of reporting on the power grab currently underway in Madison. Having lost every statewide office in Wisconsin last month, Republicans are using the lame-duck legislative session to drastically curtail these offices’ power, effectively keeping rule over the state in the hands of the G.O.P.-controlled Legislature.

What has gotten less emphasis is the fact that G.O.P. legislative control is also undemocratic. Last month Democratic candidates received 54 percent of the votes in State Assembly elections — but they ended up with only 37 percent of the seats.

In other words, Wisconsin is turning into Hungary on the Great Lakes, a state that may hold elections, but where elections don’t matter, because the ruling party retains control no matter what voters do.

And here’s the thing: As far as I can tell, not a single prominent Republican in Washington has condemned the power grab in Wisconsin, the similar grab in Michigan, or even what looks like outright electoral fraud in North Carolina. Elected Republicans don’t just increasingly share the values of white nationalist parties like Fidesz or Poland’s Law and Justice; they also share those parties’ contempt for democracy. The G.O.P. is an authoritarian party in waiting.

Which is why we should be grateful for Trump. If he weren’t so flamboyantly awful, Democrats might have won the House popular vote by only 4 or 5 points, not 8.6 points. And in that case, Republicans might have maintained control — and we’d be well along the path to permanent one-party rule. Instead, we’re heading for a period of divided government, in which the opposition party has both the power to block legislation and, perhaps even more important, the ability to conduct investigations backed by subpoena power into Trump administration malfeasance.

But this may be no more than a respite. For whatever may happen to Donald Trump, his party has turned its back on democracy. And that should terrify you.

The fact is that the G.O.P., as currently constituted, is willing to do whatever it takes to seize and hold power. And as long as that remains true, and Republicans remain politically competitive, we will be one election away from losing democracy in America.

 

Il Partito Repubblicano diventa apertamente autoritario,

di Paul Krugman

Si scopre che Donald Trump potrebbe essere la cosa migliore che poteva succedere alla democrazia americana.

No, non sono uscito di senno. Individual-1 [1] è chiaramente un aspirante dittatore che ha disprezzo per lo stato di diritto, per non dire che è corrotto e probabilmente in pugno di poteri stranieri. Ma è anche pigro, indisciplinato, concentrato su sé stesso e inetto. E dal momento che la minaccia alla democrazia è più vasta e profonda di un uomo singolo, in realtà siamo fortunati che le forze che minacciano l’America abbiano una tale persona ridicola come loro immagine pubblica.

Tuttavia, quelle forze possono averla vinta lo stesso.

Se volete capire cosa st accadendo al nostro paese, il libro che dovete leggere è “Come muoiono le democrazie”, di Steven Levitsky e Daniel Ziblatt. Come gli autori – professori di Scienze Politiche ad Harvard – mettono in evidenza, nei decenni recenti un certo numero di nazioni nominalmente democratiche sono di fatto diventate autoritarie, stati a partito unico. Tuttavia, nessuna di esse ha conosciuto classici colpi di stato militari, con i carri armati nelle strade.

Quello a cui stiamo assistendo, invece, sono rivolgimenti in una forma più sottile: acquisizione o intimidazione dei media dell’informazione, elezioni manipolate che privano del diritto di voto gli elettori dell’opposizione, nuove regole del gioco che danno al partito che governa un controllo schiacciante anche se perde nel voto popolare, tribunali corrotti.  

Il classico esempio è l’Ungheria, dove Fidesz, il partito del nazionalismo bianco al governo, si è effettivamente impossessato della maggior parte dei media; ha distrutto l’indipendenza del potere giudiziario; ha manipolato le votazioni dando il diritto di voto ai sostenitori e negandolo agli oppositori; ha disegnato distretti elettorali truffaldini [2] a suo uso e consumo; ha alterato le regole in modo tale che una minoranza nel voto popolare si trasforma in una super maggioranza nella assemblea parlamentare.

Molte di queste cose vi suonano familiari? Dovrebbero. Come potete osservare, i repubblicani adoperano tattiche simili – non (ancora) al livello federale, ma negli Stati che controllano.

Come Levitsky e Ziblatt dicono, gli Stati, che il Giudice Louis Brandeis notoriamente definiva i laboratori della democrazia, “corrono il rischio di diventare laboratori di autoritarismo quando coloro che sono al potere riscrivono le regole elettorali, ridisegnano i collegi elettorali e persino annullano i diritti elettorali per assicurarsi di non perdere”.

In tal modo le epurazioni di elettori e le deliberate restrizioni dell’accesso delle minoranze ai seggi sono diventate pratiche consuete in buona parte dell’America. Brian Kemp, il Governatore eletto della Georgia – che ha vigilato sulla sua stessa elezione nelle vesti di Segretario di Stato – avrebbe vinto senza queste tattiche? Quasi certamente, no.

E il partito Repubblicano si è impegnato al massimo nella configurazione truffaldina dei distretti elettorali. Alcuni sono stati confortati dal fatto lo smottamento a favore dei democratici nel voto elettorale alla Camera dei Rappresentanti si è, in sostanza, tradotto in una maggioranza dei seggi ottenuti [3]. Ma siete molto meno confortati se osservate quello che è successo al livello degli Stati, dove spesso i voti non si sono riflessi in termini di controllo dei parlamenti statali.

Parliamo in particolare di quello che sta accadendo nel Wisconsin.

C’è stata una discreta quantità di resoconti su questo aggrapparsi al potere attualmente in atto a Madison [4]. Avendo perso il mese scorso ogni carica al livello dello Stato nel Wisconsin, i repubblicani stanno usando la sessione legislativa ‘dell’anatra zoppa[5] per ridurre il modo drastico il potere di queste cariche, in sostanza conservando il potere sullo Stato nelle mani della assemblea legislativa controllata dal Partito Repubblicano.

Ciò che ha ricevuto minore attenzione è il fatto che il controllo della assemblea da parte del Partito Repubblicano è, inoltre, non democratico. Lo scorso mese i candidati democratici hanno ricevuto il 54 per cento dei voti alle elezioni della Assemblea dello Stato – ma quei voti si sono risolti soltanto in un 37 per cento dei seggi.

In altre parole, il Wisconsin si sta trasformando nella Ungheria dei Grandi Laghi, uno Stato che può celebrare le elezioni, ma dove le elezioni non contano, perché il partito al governo mantiene il controllo a prescindere da quello che fanno gli elettori.

E qua è il punto: da quello che posso dire, neanche un solo repubblicano a Washington ha condannato questa presa di potere nel Wisconsin, quella simile nel Michigan, né persino quella che sembra una completa frode elettorale nella Carolina del Nord. I repubblicani eletti non solo condividono sempre di più i valori dei partiti nazionalisti bianchi come Fidezs o il polacco Legge e Giustizia; condividono anche il disprezzo per la democrazia di quei partiti. Il Partito Repubblicano è un partito autoritario in attesa.

Che è la ragione per la quale dovremmo essere grati a Trump. Se egli non fosse così ostentatamente impresentabile, i democratici potrebbero aver vinto il voto popolare alla Camera per soli 4 o 5 punti, non per 8,6 punti. E in quel caso i repubblicani potrebbero aver mantenuto il controllo – e avremmo fatto un bel passo in avanti sul sentiero di un permanente governo di un partito solo. Invece, ci stiamo indirizzando verso un periodo di governo diviso, nel quale il partito di opposizione ha sia il potere di bloccare le leggi, che, forse ancora più importante, la capacità di condurre indagini sulle malefatte della Amministrazione Trump, sostenute dal potere di citazione in giudizio.

Ma questa può non essere altro che una pausa. Giacché qualsiasi cosa possa accadere a Trump, il suo partito ha voltato le spalle alla democrazia. E questo dovrebbe farci paura.

Il fatto è che il Partito Repubblicano, nelle sue caratteristiche odierne, è disposto a fare tutto ciò che serve per impadronirsi del potere e per tenerselo. E finché resta così, e i repubblicani restano politicamente competitivi, noi saremo distanti una elezione dal perdere la democrazia in America.

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] In questi giorni, in un tweet, Krugman ha scritto questa nota: “Da quello che capisco, noi chiamiamo il nostro capo dello Stato Presidente perché appariva una designazione modesta, qualcosa che non aveva i connotati della regalità. Ma nel corso degli anni, quel titolo ha ovviamente acquisito connotati imperiali. Forse, dunque, dovremmo rinominarlo Individual-1?”

Dalle cronache giudiziarie sul Russia Gate si apprende anche che Individual 1 è il termine usato da quei giudici per indicare pudicamente colui che dirigeva quegli affari, ovvero Trump stesso.

[2] Il termine “gerrymandering” deriva da colui che applicò per primo tale tecnica a partire dall’anno 1813 – Gerry Elbridge, repubblicano. “Mandering”, invece, non è il nome, sta per “salamandra” (salamander) e indica la contorsione geografica dei distretti elettorali fatta per favorire un Partito. È infatti una organizzazione dei distretti elettorali congegnata per favorire i repubblicani: vengono ritagliati distretti il cui risultato è che con gli stessi voti, e spesso con un numero di voti anche inferiore, ci sono più delegati repubblicani che non democratici. Spesso, con quel trattamento, i distretti finiscono con l’assomigliare ad aree contorte, che si allungano sino ad includere le parti di territorio più convenienti e dunque acquistano le sembianze di una salamandra attorcigliata. Ad esempio: le zone rurali hanno in proporzione più eletti delle grandi metropoli costiere multirazziali, come New York e le grandi città della California.

[3] Alla fine, nelle votazioni recenti per la Camera dei Rappresentanti, i democratici hanno ottenuto una maggioranza dell’8,6% nei voti effettivi (notizia che deve apparire curiosa ai partecipanti alle ‘maratone’ notturne televisive ed ai lettori dei quotidiani italiani, ai quali è stato raccontato che il risultato elettorale era stato quasi un pareggio). La vera notizia era che, essendo la vittoria dei democratici assai cospicua, essa si è tradotta in una maggioranza di seggi grosso modo dell’8%. Il fatto è che il “gerrymandering” non è stato sufficiente a rovesciare scandalosamente i risultati delle elezioni; se i democratici avessero vinto per due punti in meno, probabilmente non si sarebbero aggiudicati la maggioranza dei seggi.

Questo è Gerry Elbridge:

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[4] Madison è un comune (city) degli Stati Uniti d’America, capoluogo della contea di Dane, e capitale dello Stato del Wisconsin. La popolazione era di 233.209 persone al censimento del 2010, il che la rende la 2ª città più popolosa dello stato, dietro Milwaukee, e l’82ª città più popolosa della nazione. (Wikipedia)

[5] Viene definito ‘anatra zoppa’ negli Stati Uniti un uomo politico che, malgrado occupi ancora una carica istituzionale elettiva, non sia ritenuto del tutto in grado di esercitare il relativo potere politico, per motivi istituzionali: o perché il suo mandato è in scadenza (certe istituzioni prevedono che negli ultimi mesi la carica politica perda parte delle sue prerogative …); o perché il suo successore è stato già eletto. (Wikipedia)

 

 

 

 

 

 

 

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