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Elizabeth Warren come Teddy Roosevelt, di Paul Krugman (New York Times, 28 gennaio 2019)

 

Jan. 28, 2019

Elizabeth Warren Does Teddy Roosevelt

By Paul Krugman

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America invented progressive taxation. And there was a time when leading American politicians were proud to proclaim their willingness to tax the wealthy, not just to raise revenue, but to limit excessive concentration of economic power.

“It is important,” said Theodore Roosevelt in 1906, “to grapple with the problems connected with the amassing of enormous fortunes” — some of them, he declared, “swollen beyond all healthy limits.”

Today we are once again living in an era of extraordinary wealth concentrated in the hands of a few people, with the net worth of the wealthiest 0.1 percent of Americans almost equal to that of the bottom 90 percent combined. And this concentration of wealth is growing; as Thomas Piketty famously argued in his book “Capital in the 21st Century,” we seem to be heading toward a society dominated by vast, often inherited fortunes.

So can today’s politicians rise to the challenge? Well, Elizabeth Warren has released an impressive proposal for taxing extreme wealth. And whether or not she herself becomes the Democratic nominee for president, it says good things about her party that something this smart and daring is even part of the discussion.

The Warren proposal would impose a 2 percent annual tax on an individual household’s net worth in excess of $50 million, and an additional 1 percent on wealth in excess of $1 billion. The proposal was released along with an analysis by Emmanuel Saez and Gabriel Zucman of Berkeley, two of the world’s leading experts on inequality.

Saez and Zucman found that this tax would affect only a small number of very wealthy people — around 75,000 households. But because these households are so wealthy, it would raise a lot of revenue, around $2.75 trillion over the next decade.

Make no mistake: This is a pretty radical plan.

I asked Saez how much it would raise the share of income (as opposed to wealth) that the economic elite pays in taxes. His estimate was that it would raise the average tax rate on the top 0.1 percent to 48 percent from 36 percent, and bring the average tax on the top 0.01 percent up to 57 percent. Those are high numbers, although they’re roughly comparable to average tax rates in the 1950s.

Would such a plan be feasible? Wouldn’t the rich just find ways around it? Saez and Zucman argue, based on evidence from Denmark and Sweden, both of which used to have significant wealth taxes, that it wouldn’t lead to large-scale evasion if the tax applied to all assets and was adequately enforced.

Wouldn’t it hurt incentives? Probably not much. Think about it: How much would entrepreneurs be deterred by the prospect that, if their big ideas pan out, they’d have to pay additional taxes on their second $50 million?

It’s true that the Warren plan would limit the ability of the already incredibly wealthy to make their fortunes even bigger, and pass them on to their heirs. But slowing or reversing our drift toward a society ruled by oligarchic dynasties is a feature, not a bug.

And I’ve been struck by the reactions of tax experts like Lily Batchelder and David Kamin; while they don’t necessarily endorse the Warren plan, they clearly see it as serious and worthy of consideration. It is, writes Kamin, “addressed at a real problem” and “goes big as it should.” Warren, says The Times, has been “nerding out”; well, the nerds are impressed.

But do ideas this bold stand a chance in 21st-century American politics? The usual suspects are, of course, already comparing Warren to Nicolás Maduro or even Joseph Stalin, despite her actually being more like Teddy Roosevelt or, for that matter, Dwight Eisenhower. More important, my sense is that a lot of conventional political wisdom still assumes that proposals to sharply raise taxes on the wealthy are too left-wing for American voters.

But public opinion surveys show overwhelming support for raising taxes on the rich. One recent poll even found that 45 percent of self-identified Republicans support Alexandria Ocasio-Cortez’s suggestion of a top rate of 70 percent.

By the way, polls also show overwhelming public support for increasing, not cutting, spending on Medicare and Social Security. Strange to say, however, we rarely hear politicians who demand “entitlement reform” dismissed as too right-wing to be taken seriously.

And it’s not just polls suggesting that a bold assault on economic inequality might be politically viable. Political scientists studying the behavior of billionaires find that while many of them push for lower taxes, they do so more or less in secret, presumably because they realize just how unpopular their position really is. This “stealth politics” is, by the way, one reason billionaires can seem much more liberal than they actually are — only the handful of liberals among them speak out in public.

The bottom line is that there may be far more scope for a bold progressive agenda than is dreamed of in most political punditry. And Elizabeth Warren has just taken an important step on that agenda, pushing her party to go big. Let’s hope her rivals — some of whom are also quite impressive — follow her lead.

 

 

Elizabeth Warren come Teddy Roosevelt [1],

di Paul Krugman

La tassazione progressiva venne inventata in America. E ci fu un’epoca nella quale i politici americani erano orgogliosi di proclamare la loro volontà di tassare i ricchi, non solo per aumentare le entrate, ma per limitare l’eccessiva concentrazione del potere economico.

“È importante”, disse Theodore Roosevelt nel 1906, “scontrarsi con i problemi connessi con la concentrazione di enormi fortune” – alcune delle quali, dichiarò, “aumentate oltre ogni sano limite”.

Oggi stiamo vivendo ancora una volta in un’epoca di straordinaria ricchezza concentrata nelle mani di poche persone, con il reddito netto dello 0,1 per cento degli americani più ricchi quasi pari a quello del 90 per cento degli americani meno ricchi messi assieme. E questa concentrazione di ricchezza sta crescendo; come Thomas Piketty ha notoriamente sostenuto nel suo libro “Il Capitale nel 21° Secolo”, sembriamo dirigerci verso una società dominata da vaste fortune, spesso ereditate.

Possono dunque i politici odierni essere all’altezza della sfida? Ebbene, Elizabeth Warren ha rilasciato una notevole proposta per tassare le enormi ricchezze. E, che divenga o meno la candidata democratica alla Presidenza, è un segnale buono per il suo partito, il segnale che qualcosa di intelligente e di coraggioso fa ancora parte del dibattito.

La proposta della Warren imporrebbe una tassa annuale del 2 per cento sul patrimonio netto di una singola famiglia che ecceda i 50 milioni di dollari, e un ulteriore 1 per cento sulla ricchezza che eccede 1 miliardo di dollari. La proposta è stata pubblicata assieme ad un’analisi di Emmanuel Saez e Gabriel Zucman di Berkeley, due dei principali esperti mondiali di ineguaglianza.

Saez e Zucman hanno scoperto che questa tassa influenzerebbe soltanto un piccolo numero di persone ricchissime – circa 75.000 famiglie. Ma poiché queste famiglie sono talmente ricche, essa raccoglierebbe una grande quantità di entrate, circa 2.750 miliardi di dollari nel prossimo decennio.

Non fate errori: si tratta di un piano abbastanza radicale.

Ho chiesto a Saez quanto questo aumenterebbe la quota di reddito (diversa dalla ricchezza) che l’elite economica paga in tasse. La sua stima è che essa aumenterebbe l’aliquota fiscale media dello 0,1 per cento dei più ricchi dal 36 al 48 per cento, e porterebbe la tassazione media dello 0,01 per cento dei più ricchi al 57 per cento. Sono numeri elevati, sebbene siano grosso modo paragonabili alle aliquote fiscali medie degli anni ’50.

Un piano del genere sarebbe fattibile? I ricchi non troverebbero precisamente dei modi per aggirarlo? Saez e Zucman sostengono, basandosi su prove della Danimarca e della Svezia, che hanno entrambe tasse significative sulla ricchezza, che esso non porterebbe ad una evasione su grande scala se la tassa fosse applicata su tutti gli asset e fosse adeguatamente fatta rispettare.

Non danneggerebbe le motivazioni? Probabilmente non molto. Pensateci: quanto gli imprenditori sarebbero scoraggiati dalla prospettiva che, se le loro grandi idee hanno successo, avrebbero da pagare tasse aggiuntive sui loro secondi 50 milioni di dollari?

È vero che il piano della Warren limiterebbe la possibilità per i già incredibilmente ricchi di far crescere ancora di più le loro fortune, e trasmetterle ai loro eredi. Ma rallentare o invertire la nostra deriva verso una società dominata da dinastie oligarchiche è una qualità, non un difetto.

Sono stato colpito dalle reazioni di esperti di tasse come Lily Batchelder e David Kamin; mentre essi non appoggiano necessariamente il piano della Warren, chiaramente lo considerano serio e meritevole di considerazione. Esso, scrive Kamin, “si misura con un problema vero” ed “è impegnativo come è giusto che sia”. La Warren, dice il Times, “ha dato sfoggio della sua competenza” [2]; a tal punto, che ha impressionato i ‘competenti’.

Ma le idee di questa audace presa di posizione si confanno alla politica americana del 21° Secolo? Ovviamente, i soliti noti già paragonano la Warren a Nicolas Maduro o persino a Giuseppe Stalin, nonostante che lei assomigli di più a Teddy Roosevelt oppure, per dirla tutta, a Dwight Eisenhower. Ancora più importante, la mia sensazione è che una gran parte della consueta sapienza politica consideri ancora che le proposte per elevare drasticamente le tasse sui ricchi siano troppo di sinistra per gli elettori americani.

Ma i sondaggi sull’opinione pubblica mostrano uno schiacciante sostegno all’aumento delle tasse sui ricchi. Un sondaggio recente ha scoperto che il 45 per cento persino di coloro che si dichiarano repubblicani sostengono l’idea di Alexandria Ocasio-Cortez di una aliquota sui più ricchi del 70 per cento.

Per inciso, i sondaggi mostrano anche uno schiacciante sostegno ad un aumento, non a tagli, sulla spesa per Medicare e per la Previdenza Sociale. Strano a dirsi, tuttavia, raramente percepiamo un rigetto dei politici che chiedono la “riforma dei diritti sociali”, in quanto troppo di destra per essere presi sul serio.

E non sono soltanto i sondaggi ad indicare che un attacco coraggioso all’ineguaglianza economica potrebbe essere politicamente fattibile. Gli scienziati della politica che studiano il comportamento dei miliardari scoprono che mentre molti di loro spingono per tasse più basse, lo fanno più o meno in segreto, probabilmente perché si rendono conto di quanto quella posizione sia impopolare. Questa “politica furtiva”, per inciso, spiega perché i miliardari possono sembrare molto più progressisti di quanto realmente siano – tra di essi soltanto una manciata di progressisti veri si dichiarano in pubblico.

Alla fine della storia, ci può essere molta maggiore ragione per una agenda politica progressista di quanto non si sono immaginati la maggioranza dei commentatori politici. Ed Elizabeth Warren ha fatto proprio un passo importante in quella agenda, spingendo il suo partito a ragionare in grande. Speriamo che i suoi rivali – alcuni dei quali sono anch’essi abbastanza notevoli –  seguano il suo esempio.

 

 

 

 

 

 

 

[1] Theodore Roosevelt Jr., detto Teddy o TR, (New York27 ottobre 1858 – Oyster Bay6 gennaio 1919), è stato un politico statunitense. È stato il 26º presidente degli Stati Uniti e ha ricevuto il Premio Nobel per la pace. Il suo volto è uno dei quattro scolpiti sul monte Rushmore, assieme a quelli di George WashingtonThomas Jefferson e Abraham Lincoln. Divenne Presidente, in seguito all’assassinio di William McKinley, all’età di 42 anni ed ancora oggi è la persona più giovane ad aver ricoperto la carica di presidente degli Stati Uniti. (Wikipedia)

 

http://hdl.loc.gov/loc.pnp/ppmsca.35645

 

[2] Suppongo sia una traduzione ammissibile: “Nerd” è un ‘fissato’, un ‘secchione’ di computer. “Nerd out” è qualcosa che assomiglia ad ‘indulgere’ con tale passione, magari per qualcosa che apparirebbe un po’ improprio.

 

 

 

 

 

 

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