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Gli spazi vuoti della politica Americana, di Paul Krugman (New York Times, 4 febbraio 2019)

 

Feb.4,2019

The Empty Quarters of U.S. Politics

By Paul Krugman

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Howard Schultz, the coffee billionaire, who imagined that he could attract broad support as a “centrist,” turns out to have an approval rating of 4 percent, versus 40 percent disapproval.

Ralph Northam, a Democrat who won the governorship of Virginia in a landslide, is facing a firestorm of denunciation from his own party over racist images on his medical school yearbook page.

Donald Trump, who ran on promises to expand health care and raise taxes on the rich, began betraying his working-class supporters the moment he took office, pushing through big tax cuts for the rich while trying to take health coverage away from millions.

These are, it turns out, related stories, all of them tied to the two great absences in American political life.

One is the absence of socially liberal, economically conservative voters. These were the people Schultz thought he could appeal to; but basically they don’t exist, accounting for only around, yes, 4 percent of the electorate.

The other is the absence of economically liberal, socially conservative politicians — let’s be blunt and just say “racist populists.” There are plenty of voters who would like that mix, and Trump pretended to be their man; but he wasn’t, and neither is anyone else.

Understanding these empty quarters is, I’d argue, the key to understanding U.S. politics.

Once upon a time there were racist populists in Congress: The New Deal coalition relied on a large contingent of segregationist Dixiecrats. But this was always unstable. In practice, advocating economic inclusion seems to spill over into advocacy of racial and social inclusion, too. By the 1940s, Northern Democrats were already more pro-civil rights than Northern Republicans, and as the Northam affair shows, the party now has very little tolerance for even the appearance of racism.

Meanwhile, the modern Republican Party is all about cutting taxes on the rich and benefits for the poor and the middle class. And Trump, despite his campaign posturing, has turned out to be no different.

Hence the failure of our political system to serve socially conservative/racist voters who also want to tax the rich and preserve Social Security. Democrats won’t ratify their racism; Republicans, who have no such compunctions, will — remember, the party establishment solidly backed Roy Moore’s Senate bid — but won’t protect the programs they depend on.

But why are there so few voters holding the reverse position, combining social/racial liberalism and economic conservatism? The answer, I’d argue, lies in just how far to the right the G.O.P. has gone.

Polling is unambiguous here. If you define the “center” as a position somewhere between those of the two parties, when it comes to economic issues the public is overwhelmingly left of center; if anything, it’s to the left of the Democrats. Tax cuts for the rich are the G.O.P.’s defining policy, but two-thirds of voters believe that taxes on the rich are actually too low, while only 7 percent believe that they’re too high. Voters support Elizabeth Warren’s proposed tax on large fortunes by a three-to-one majority. Only a small minority want to see cuts in Medicaid, even though such cuts have been central to every G.O.P. health care proposal in recent years.

Why did Republicans stake out a position so far from voters’ preferences? Because they could. As Democrats became the party of civil rights, the G.O.P. could attract working-class whites by catering to their social and racial illiberalism, even while pursuing policies that hurt ordinary workers.

The result is that to be an economic conservative in America means advocating policies that, on their merits, only appeal to a small elite. Basically nobody wants these policies on their own; they only sell if they’re packaged with racial hostility.

So what do the empty quarters of U.S. politics mean for the future? First, of course, that Schultz is a fool — and so are those who dream of a reformed G.O.P. that remains conservative but drops its association with racists. There’s hardly anyone who wants that mix of positions.

Second, fears that Democrats are putting their electoral prospects in danger by moving too far left, for example by proposing higher taxes on the rich and Medicare expansion, are grossly exaggerated. Voters want an economic move to the left — it’s just that some of them dislike Democratic support for civil rights, which the party can’t drop without losing its soul.

What’s less clear is whether there’s room for politicians willing to be true racist populists, unlike Trump, who was faking the second part. There’s a substantial bloc of racist-populist voters, and you might think that someone would try to serve them. But maybe the gravitational attraction of big money — which has completely captured the G.O.P., and has arguably kept Democrats from moving as far left as the electorate really wants — is too great.

In any case, if there’s a real opening for an independent, that candidate will look more like George Wallace than like Howard Schultz. Billionaires who despise the conventional parties should beware of what they wish for.

 

Gli spazi vuoti della politica Americana,

di Paul Krugman

Si scopre che Howard Schultz, il miliardario del caffè che si immaginava di poter attrarre ampi sostegni come “centrista”, ha un indice di consensi del 4 per cento, contro un 40 per cento di dissensi.

Ralph Northam, un democratico che si era aggiudicato con una vittoria schiacciante il posto di Governatore della Virginia, è di fronte ad un fuoco di fila da parte del suo stesso partito per immagini razziste sulla sua pagina nell’almanacco della facoltà di medicina.

Donald Trump, che si era basato sulla promessa di espandere l’assistenza sanitaria e di aumentare le tasse sui ricchi, ha cominciato a tradire i suoi sostenitori nella classe lavoratrice al momento in cui è entrato in carica, spingendo per grandi tagli fiscali sui ricchi nel mentre cercava di togliere l’assicurazione sanitaria a milioni di persone.

Si scopre che queste sono storie collegate, tutte legate a due grandi assenze nella vita politica americana.

Da una parte c’è l’assenza degli elettori socialmente progressisti ed economicamente conservatori. Erano queste le persone che Schultz pensava di poter attrarre; ma fondamentalmente non esistono, contando soltanto su circa, proprio così, un 4 per cento dell’elettorato.

L’altra è l’assenza di politici economicamente progressisti e socialmente conservatori – senza peli sulla lingua, diciamo semplicemente “populisti razzisti”. C’era una gran quantità di elettori che avrebbero gradito quella combinazione, e Trump pretendeva di essere il loro uomo; ma non era lui, e non c’è neanche nessun altro.

Direi che la comprensione di questi spazi vuoti è la chiave per intendere la politica americana.

Un tempo nel Congresso c’erano populisti razzisti: la coalizione del New Deal si basava su un elevato contingente di segregazionisti, i cosiddetti Dixiecrats [1]. Ma esso è sempre stato instabile. In pratica, sostenere l’inclusione economica pare che si riversi anche nel sostegno alla inclusione razziale e sociale. Dagli anni ’40, i democratici del settentrione erano già maggiormente favorevoli ai diritti civili dei repubblicani del settentrione, e come mostra la vicenda di Northam, oggi il partito ha una tolleranza davvero minima persino con ogni apparenza di razzismo.

Nel frattempo, il Partito Repubblicano contemporaneo è tutto impegnato a tagliare le tasse sui ricchi ed a tagliare i sussidi per i poveri e per le classi medie. E Trump, nonostante i suoi atteggiamenti elettorali, ha dimostrato di non essere diverso.

Di qua l’incapacità del nostro sistema politico a soddisfare gli elettori conservatori da un punto di vista sociale, razzisti, che anche propendono per tassare i ricchi e difendere la Previdenza Sociale. I democratici non intendono ratificare il loro razzismo; i repubblicani, che non hanno tali fisime, lo farebbero – si ricordi, il gruppo dirigente del Partito sostenne compattamente il tentativo di Roy Moore al Senato [2] – ma questo non proteggerà i programmi dai quali essi dipendono.

Ma perché ci sono così pochi elettori che sostengono la posizione opposta, che combina in progressismo sociale e razziale con il conservatorismo economico? Direi che la risposta consiste in quanto si è spinto a destra il Partito Repubblicano.

In questo caso, i sondaggi sono chiari. Se si definisce il “centro” come una posizione in qualche modo intermedia tra quelle dei due partiti, quando si passa ai temi dell’economia l’opinione pubblica è in modo schiacciante alla sinistra del centro; è addirittura a sinistra dei democratici. I tagli alle tasse sono la politica distintiva del Partito Repubblicano, ma due terzi degli elettori credono che le tasse sui ricchi siano in realtà troppo basse, mentre solo il 7 per cento crede che esse siano troppo alte. Gli elettori sostengono la tassa proposta da Elizabeth Warren con una maggioranza di tre a uno. Solo una piccola minoranza è d’accordo con i tagli su Medicaid, anche se tali tagli sono stati centrali in ogni proposta di assistenza sanitaria del Partito Repubblicano negli anni recenti.

Perché i repubblicani hanno rivendicato una posizione così lontana dalle preferenze degli elettori? Perché potevano farlo. Come i democratici divennero il partito dei diritti civili, il Partito Repubblicano poté attrarre lavoratori bianchi soddisfacendo la loro intolleranza sociale e razziale, pur perseguendo politiche che danneggiano i lavoratori comuni.

Il risultato è che essere un conservatore in economia in America significa sostenere politiche che, di per sé, sono attraenti solo per una piccola elite. Fondamentalmente nessuno desidera queste politiche per suo conto; esse possono essere rivendute sole se confezionate con l’ostilità razziale.

Dunque, che cosa significano quegli spazi vuoti della politica americana per il futuro? Prima di tutto, che Schultz è uno sciocco – e che tali sono tutti coloro che fantasticano di un Partito Repubblicano riformato che lasci cadere il suo collegamento con i razzisti. Difficilmente c’è qualcuno che voglia quella combinazione di punti di vista.

In secondo luogo, i timori che i democratici mettano in pericolo le loro prospettive elettorali spostandosi troppo a sinistra, ad esempio proponendo tasse più alte per i ricchi ed una espansione di Medicare, sono grandemente esagerati. Gli elettori vogliono uno spostamento economico a sinistra – il punto è solo che alcuni di loro non gradiscono il sostegno democratico ai diritti civili, che il partito non può lasciar cadere senza perdere l’anima.

Quello che è meno chiaro è se c’è spazio per politici che vogliano essere autentici populisti [3] razzisti, diversamente da Trump, che quanto a populismo è un falso. C’è un blocco effettivo di elettori razzisti e populisti, e potreste pensare che qualcuno potrebbe cercare di mettersi al suo servizio. Ma forse l’attrazione gravitazionale del grande capitale – che ha completamente catturato il Partito Repubblicano, e probabilmente ha impedito ai democratici di spostarsi a sinistra come in realtà vorrebbe l’elettorato – è troppo grande.

In ogni caso, se ci fosse una effettiva apertura per un indipendente, quel candidato assomiglierebbe di più a George Wallace [4] che a Howard Schultz. I miliardari che detestano i partiti convenzionali dovrebbero fare attenzione a quello che desiderano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Il termine “Dixiecrats” indica i membri di un partito che proveniva dal Partito Democratico e se ne staccò alle elezioni del 1948, per poi tornare all’ovile in quelle successive. Il nome del Partito era “Partito Democratico dei diritti degli Stati”: in apparenza il suo tessuto connettivo era la volontà di una relativa indipendenza dallo Stato federale, in realtà proveniva da una storia assai più lunga ed era sostanzialmente il razzismo, ovvero il proposito di mantenere negli stati meridionali legislazioni segregazioniste. Durante il New Deal di Franklin Delano Roosevelt, in sostanza, si determinò un compromesso: il Partito Democratico rinunciò ad operare sui temi della segregazione razziale, e i democratici del Sud si allinearono alla politica nazionale economicamente progressista. Ma nel 1948, quando il candidato Democratico Truman riaprì il tema di una politica sui diritti civili, i Dixiecrats si staccarono dal Partito Democratico. Non ottennero un particolare successo nazionale, ma negli Stati dell’Alabama, del Mississippi, della Louisiana e della Carolina del Sud raccolsero sufficienti consensi per far passare i loro candidati (in sostanza, vinsero di misura sui candidati del Partito Democratico federale). Per chi ha visto il recente film “Green Book”, si tratta degli stessi territori nei quali i due protagonisti – il pianista afroamericano e l’italiano che lo accompagna – si avventurano, ancora nei primi anni ’60, in un’America tenacemente razzista. Nel 1948, il danno della scissione non compromise la vittoria di Truman al livello nazionale e venne ricomposto nelle elezioni successive. Il Partito Democratico arrivò ad amputare la sua componente razzista solo negli anni ’60, con il kennedismo (John e Bob Kennedy) e con la politica dei diritti civili attuata da Johnson.

Come si vede dalla cartina qua sotto, che mostra col colore rosso scuro gli Stati ‘dixiecrats’ e con il colore rosso le aree aggiuntive del Texas Orientale, del Tennessee Occidentale e della Florida del Nord, si tratta sostanzialmente degli stessi territori che combatterono la Guerra Civile americana sotto la bandiera degli Stati Confederati d’America.

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[2] Roy Moore è un repubblicano dell’Alabama, campione della destra estrema in tutte le battaglie immaginabili contro i diritti degli omosessuali, gli islamici, il diritto di Obama alla cittadinanza americana, nonché accusato di insidie sessuali contro minorenni. Nonostante il sostegno di Trump e del gruppo dirigente repubblicano, fu sconfitto nelle elezioni per il seggio senatoriale in Alabama.

[3] Si noti che, come confermato in varie occasioni, Krugman non utilizza il termine “populista” come un equivalente di “reazionario”. Populista è chi si atteggia a difensore di politiche che mirano ad ottenere un seguito popolare: Trump, ad esempio, si è rivelato un falso populista, giacché le sue effettive politiche non possono alla lunga avere un seguito popolare. Si è atteggiato a populista in campagna elettorale, ma si è rivelato l’opposto.

[4] George Wallace fu un epigono di quei Dixiecrats di cui alla nota 1. Candidato a quattro elezioni presidenziali (1964, 1968, 1972, 1976) – per tre di esse si presentò senza successo alle primarie del Partito Democratico, mentre per quella del 1968 partecipò come indipendente – era, sin dai primi anni come Governatore dell’Alabama, un campione delle politiche razziste. Alle elezioni del 1968, sotto la sigla del Partito Indipendente Americano, ottenne la maggioranza in cinque stati del Sud, ma ciò non fu sufficiente ad impedire la maggioranza assoluta per il repubblicano Richard Nixon.

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