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Trump, il commercio e il vantaggio degli autocrati, di Paul Krugman (New York Times, 25 febbraio 2019)

 

Feb. 25, 2019

Trump, Trade and the Advantage of Autocrats

By Paul Krugman

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There’s been some good news on global trade lately: A full-scale U.S.-China trade war appears to be on hold, and may be avoided altogether.

The bad news is that if we do make a trade deal with China, it will basically be because the Chinese are offering Donald Trump a personal political payoff. At the same time, a much more dangerous trade conflict with Europe is looming. And the Europeans, who still have this peculiar thing called rule of law, can’t bribe their way to trade peace.

The background: Last year the Trump administration imposed tariffs on a wide range of Chinese products, covering more than half of China’s exports to the United States. But that might have been only the beginning: Trump had threatened to impose much higher tariffs on $200 billion of Chinese exports starting this Friday.

What was the motivation for these tariffs? Remarkably, there doesn’t seem to be any strong constituency demanding protectionism; if anything, major industries have been lobbying against Trump’s trade moves, and the stock market clearly dislikes trade conflict, going down when tensions rise and recovering when they ease.

So trade conflict is essentially Trump’s personal vendetta — one that he is able to pursue because U.S. international trade law gives the president enormous discretion to impose tariffs on a variety of grounds. Predicting trade policy is therefore about figuring out what’s going on in one man’s mind.

Now, there are real reasons for the U.S. to be angry at China, and demand policy changes. Above all, China notoriously violates the spirit of international trade rules, de facto restricting foreign companies’ access to its market unless they hand over valuable technology. So you could make a case for U.S. pressure on China — coordinated with other advanced economies! — to stop that practice.

But there has been little evidence that Trump is interested in dealing with the real China problem. I was at a trade policy conference over the weekend where experts were asked what Trump really wants; the most popular answer was “tweetable deliveries.”

Sure enough, Trump has been crowing about what he portrays as big Chinese concessions, which all seem to involve China’s government ordering companies to buy U.S. agricultural products. In particular, the postponement of the trade war came after a Chinese pledge to buy 10 million tons of soybeans. This will please farmers, although it’s far from clear that it will even make up for the losses they’ve suffered from previous Trump actions.

The point, however, is that what China is offering doesn’t at all get at the real U.S. national interests at stake. All it does is give Trump something to tweet about.

Oh, and by the way: China’s biggest bank, which happens to be majority-owned by the Chinese government, currently occupies three whole floors in the Trump Tower in Manhattan. It has been planning to reduce its space; it will be interesting to see what happens to that plan now.

Meanwhile, the U.S. Commerce Department has prepared a report on imports of European automobiles that, according to the German press, concludes that these imports pose a threat to national security.

If this sounds ridiculous, that’s because it is. Indeed, while the Europeans aren’t angels, they do abide by global rules, and it’s hard to accuse them of any major trade sins. Yes, they do have 10 percent tariffs on U.S. cars — but we impose 25 percent tariffs on their light trucks, which makes us more than even.

But a department headed by perhaps the most corrupt commerce secretary in history will, of course, conclude whatever Trump wants it to conclude. And this report gives the president the legal authority to get us into a trade war with the European Union.

If it happens, this trade war will be immensely damaging. The E.U. is America’s biggest export market, directly accounting for around 2.6 million jobs. Moreover, our economies are very much intermeshed — which is why even the U.S. auto industry is horrified at the possibility that Trump will impose tariffs on cars.

But here’s the thing: Unlike the Chinese government, the E.U. can’t order private companies to make splashy purchases of U.S. goods. And it certainly can’t steer business to Trump Organization properties. As a result, the chances of spiraling trade conflict remain high.

The point is that when it comes to dealing with Trump and his team, autocracies have an advantage over democracies that follow the rule of law. And trade disputes are arguably the least of it.

Think about the push by financially conflicted Trump advisers to sell nuclear technology to the Bone Saw Kingdom, otherwise known as Saudi Arabia. Or think of the influence golf-playing expats seem to be having over Venezuela policy.

So while stock markets are happy about the prospects for trade peace with China, the broader picture is deeply disturbing. If we do manage to limit the damage from this confrontation, it will be for the wrong reasons. And the warped motivations governing U.S. foreign policy may yet have deeply destructive consequences, with a trade war far from being the scariest possibility.

 

Trump, il commercio e il vantaggio degli autocrati,

di Paul Krugman

Ci sono state alcune buone notizie di recente sul commercio globale: sembra essere in sospeso una guerra commerciale su vasta scala tra Stati Uniti e Cina, e potrebbe essere completamente messa da parte.

La cattiva notizia è che se faremo un accordo commerciale con la Cina, fondamentalmente dipenderà dal fatto che i cinesi stanno offrendo a Donald Trump un compenso politico personale. Nello stesso tempo, incombe un conflitto commerciale molto più pericoloso con l’Europa. E gli europei, che hanno ancora quella cosa particolare chiamata stato di diritto, non possono a loro volta corrompere per avere la pace commerciale.

I precedenti: l’anno passato l’Amministrazione Trump impose tariffe su una vasta gamma di prodotti cinesi, che coprono più di metà delle esportazioni cinesi negli Stati Uniti. Ma si trattava solo dell’inizio: Trump aveva minacciato di imporre tariffe molto più alte su 200 miliardi di esportazioni cinesi, a partire da questo venerdì.

Quali erano le ragioni di queste tariffe? È rilevante il fatto che non sembra sussistere alcuna consistente base di consenso per chiedere il protezionismo; semmai, importanti industrie stanno facendo attività di lobbying contro le iniziative commerciali di Trump, e i mercati azionari chiaramente non gradiscono il conflitto commerciale, sono in calo quando le tensioni crescono e si riprendono quando si attenuano.

Dunque il conflitto commerciale è essenzialmente una faida personale di Trump – che egli è nelle condizioni di perseguire perché la legge statunitense sul commercio internazionale dà al Presidente una enorme discrezione nell’imporre tariffe su una varietà di terreni. Prevedere la politica commerciale diventa di conseguenza come immaginarsi cosa può accadere nella mente di una persona.

Ora, ci sono ragioni vere per le quali gli Stati Uniti sono arrabbiati con la Cina e chiedono cambiamenti politici. Sopra tutte, è noto che la Cina viola lo spirito delle regole internazionali del commercio, di fatto restringendo l’accesso delle società straniere al suo mercato se esse non trasferiscono tecnologia di valore. Si potrebbe dunque ipotizzare che gli Stati Uniti facciano pressioni sulla Cina – coordinate con le altre economie avanzate! – per interrompere quelle pratiche.

Ma ci sono ben poche prove che Trump sia interessato a trattare sui reali problemi della Cina. Mi trovavo ad una conferenza sulla politica commerciale nel corso del fine settimana, nella quale veniva chiesto agli esperti che cosa Trump effettivamente voglia; la risposta più popolare era “che gli vengano forniti risultati pubblicabili su Twitter”.

Di sicuro, Trump si è vantato di quelle che ha descritto come grandi concessioni cinesi, che sembrano tutte riguardare gli ordini del Governo cinese alle società perché acquistino prodotti agricoli statunitensi. In particolare, la dilazione della guerra commerciale è intervenuta dopo la promessa cinese di acquistare 10 milioni di tonnellate di soia. Questo farà piacere agli agricoltori, per quanto sia tutt’altro che chiaro se essa neppure compensi le perdite che hanno patito per le precedenti iniziative di Trump.

Il punto, tuttavia, è che quello che la Cina sta offrendo non attiene affatto ai reali interessi nazionali in gioco da parte degli Stati Uniti. Tutto quello che essa fa è dare a Trump qualcosa su cui twittare.

Inoltre, per inciso: la più grande banca cinese, che si dà il caso sia in maggioranza posseduta dal Governo cinese, attualmente occupa tre interi piani della Trump Tower a Manhattan. Essa stava programmando di ridurre il suo spazio; sarà interessante osservare cosa accadrà adesso a quel programma.

Nel frattempo, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha preparato un rapporto sulle importazioni di automobili europee che, secondo la stampa tedesca, arriva alla conclusione che queste importazioni costituiscono una minaccia alla sicurezza nazionale.

Se questo appare comico, è perché lo è. In effetti, se gli europei non sono angeli, essi si attengono a regole globali, ed è difficile accusarli di qualsiasi importante peccato commerciale. È vero, essi hanno tariffe del 10 per cento sulle macchine degli Stati Uniti – ma noi imponiamo tariffe del 25 per cento sui loro autocarri leggeri, il che ci rende anche peggiori.

Ma un Dipartimento guidato dal forse più corrotto Segretario al Commercio della storia, ovviamente, porterà a termine qualunque cosa Trump voglia che porti a termine. E questo rapporto dà al Presidente l’autorità legale di portarci ad una guerra commerciale con l’Unione Europea.

Se ciò accadesse, questa guerra commerciale sarebbe immensamente dannosa. L’Unione Europea è il più grande mercato delle esportazioni dell’America, pesando direttamente 2,6 milioni di posti di lavoro. Inoltre le nostre economie sono molto strettamente collegate – che è la ragione per la quale l’industria statunitense dell’auto è terrorizzata dalla possibilità che Trump imponga tariffe sulle automobili.

Ma quello è il punto: diversamente dal Governo cinese, l’UE non può costringere società private a fare sensazionali acquisti di prodotti statunitensi. E certamente non può indirizzare imprese verso gli immobili della Organizzazione Trump.  Di conseguenza, le possibilità che un conflitto commerciale cresca a dismisura restano alte.

Il punto è che quando si arriva a fare accordi con Trump e la sua squadra, le autocrazie hanno un vantaggio sulle democrazie che seguono lo stato di diritto. E le dispute commerciali sono probabilmente l’aspetto meno rilevante.

Si pensi alla spinta da parte di consiglieri finanziariamente in conflitto a vendere tecnologia nucleare al Regno Sega Ossa [1], anche noto come Arabia Saudita. Oppure si pensi all’influenza che gli espatriati giocatori di golf sembrano avere nella politica sul Venezuela [2].

Dunque, mentre i mercati azionari sono lieti delle prospettive di pace commerciale con la Cina, il quadro più generale è profondamente inquietante. Se cercheremo di limitare il danno di questo scontro, sarà per le ragioni sbagliate. E le perverse motivazioni che governano la politica estera americana possono ancora avere conseguenze profondamente distruttive, con una guerra commerciale che appare tutt’altro che la possibilità più preoccupante.

 

 

 

 

 

 

 

[1] Il termine deriva dalla estrema efferratezza con la quale è stato ammazzato (torturato, tagliato a pezzi e quindi portato fuori dal Consolato saudita) il giornalista Khashoggi, su chiaro mandato del Principe Mohammed Bin Salman.

[2] Il riferimento è ad un articolo (dal blog Axios) che spiega vari retroscena del crescente interessamento americano, e di Trump personalmente, alla crisi venezuelana. In una conferenza stampa dello scorso settembre, affermò di conoscere molti venezuelani, che sono un grande popolo. La conoscenza era stata fatta in virtù del fatto che essi frequentavano il suo campo di golf a Doral, nei pressi di Miami.

 

 

 

 

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