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L’uomo delle tariffe è diventato l’uomo del deficit, di Paul Krugman (New York Times, 7 marzo 2019)

 

Mar.7, 2019

Tariff Man Has Become Deficit Man

By Paul Krugman

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Republicans hate deficits. Or at least that’s what they claim.

Republicans in Congress spent the entire Obama administration inveighing against budget deficits, warning incessantly that we were going to have a Greek-style fiscal crisis any day now. Donald Trump, on the other hand, focused his ire mainly on trade deficits, insisting that “our jobs and wealth are being given to other countries that have taken advantage of us.”

But over two years of unified G.O.P. control of government, a funny thing happened: Both deficits surged. The budget deficit has hit a level unprecedented except during wars and in the immediate aftermath of major economic crises; the trade deficit in goods has set a record.

What’s the significance of this tide of red ink?

Let’s be clear: Neither the budget deficit nor the trade deficit poses a clear and present danger to the U.S. economy. Advanced countries that borrow in their own currencies can and often do run up large debts without drastic consequences — which is why the debt panic of a few years ago was always nonsense.

Yet Trump’s twin deficits tell us a lot about both the tweeter in chief and his party — namely, that they’re both dishonest and ignorant.

About the dishonesty: Is there anyone left who believes that Republicans ever really cared about debt and deficits? The truth is that the phoniness of their fiscal posturing should have been obvious all along.

In any case, at this point it’s undeniable that their fire-and-brimstone debt rhetoric was nothing but a pose, an attempt to weaponize the deficit as a way to block and undermine President Barack Obama’s agenda.

The moment they had a chance, the very politicians who grandstanded about the need for fiscal responsibility rammed through a huge tax cut for corporations and the wealthy — a tax cut that is the main reason for the exploding budget deficit.

Oh, and the tax cut has utterly failed to deliver the promised investment boom. Companies didn’t use their giant windfall to build new plants and raise productivity, they used it to buy back a lot of stock, passing the gains on to wealthy investors.

What about the ignorance? As many people have pointed out to no avail, Trump is all wrong about what trade deficits do. True, at times of high unemployment deficits can cost us jobs. But in normal times they don’t reduce overall employment, nor do they make us poorer.

On the contrary, other countries are sending us valuable goods and services, which we’re paying for with pieces of paper — paper that pays very low interest rates. Who’s winning, again?

Beyond that, however, Trump is completely wrong about what causes trade deficits in the first place. In fact, his own policies have provided an object lesson in the falsity of his vision.

In the Trumpian universe, trade deficits happen because we made bad deals — we let foreigners sell their stuff here, but they won’t let us sell our stuff there. So the solution is to throw up barriers to foreign products. “I am a Tariff Man,” he proudly proclaimed.

The reality, however, is that trade deficits have almost nothing to do with tariffs or other restrictions on trade. The overall trade deficit is always equal to the difference between domestic investment spending and domestic saving (both private and public). That’s just accounting.

The reason America runs persistent trade deficits isn’t that we’ve given away too much in trade deals, it’s that we have low savings compared with other countries.

Tariffs can, of course, reduce imports of the goods subject to the tariff, and hence reduce the trade deficit in that particular industry. But it’s like pushing on a balloon: You can squeeze it in one place, but it will just inflate by the same amount somewhere else. The process through which this conservation of deficits takes place can vary, although a stronger dollar, which hurts exports, is usually one major channel. But the basic result, that tariffs don’t actually reduce the overall trade deficit, is clear.

Sure enough, the Trump tariffs of 2018 did, in fact, lead to a sharp fall in imports of the goods subjected to tariffs. But imports of other goods rose, while exports performed poorly. And the overall trade deficit went up substantially, which is exactly what you should have expected. After all, that big tax cut for the wealthy reduced national savings.

And the supposed cause of the deficit isn’t the only thing Trump gets wrong about trade policy. He also keeps insisting that foreigners are paying his tariffs. In reality, prices received by foreign exporters haven’t gone down. Prices paid by U.S. consumers have gone up, instead.

Again, the swelling trade deficit doesn’t pose any immediate threat to the U.S. economy. And even the Trumpian trade war has probably done only limited economic harm; the main damage is to U.S. credibility.

But Trump’s twin deficits show that his party has been lying about its policy priorities, and that he is completely clueless about his signature policy issue. Luckily, a great nation like America can survive a lot, including dishonesty and ignorance at the top.

 

 

L’uomo delle tariffe è diventato l’uomo del deficit,

di Paul Krugman

I repubblicani odiano i deficit. O almeno è quello che sostengono.

I repubblicani del Congresso hanno speso l’intero mandato della Amministrazione Obama scagliandosi contro i deficit di bilancio, mettendo in guardia incessantemente che potevamo finire in qualsiasi momento in una crisi della finanza pubblica sul modello della Grecia. Per proprio conto, Donald Trump ha concentrato la sua collera principalmente sui deficit commerciali, ostinandosi a dire che “i nostri posti di lavoro e la nostra ricchezza vengono dati ad altri paesi che si avvantaggiano su di noi”.

Ma in due anni di controllo completo delle funzioni di governo da parte del Partito Repubblicano, è accaduta una cosa curiosa: entrambi quei deficit hanno avuto un’impennata. Il deficit di bilancio ha toccato un livello senza precedenti con l’eccezione degli anni di guerra e all’immediato indomani di importanti crisi economiche; il deficit commerciale nei beni ha stabilito un record.

Qual è il significato di questa marea di risultati in rosso?

Per esser chiari: né il deficit di bilancio né il deficit commerciale costituiscono un chiaro e attuale pericolo per l’economia degli Stati Uniti. I paesi che si indebitano nella loro valuta possono farlo, e spesso effettivamente si indebitano in gran misura, senza conseguenze estreme – e quella è la ragione per la quale il panico per il debito di pochi anni fa è sempre stato un nonsenso.

Tuttavia i deficit gemelli di Trump ci dicono molto sul twittatore in capo e sul suo partito – in particolare, che sono sia disonesti che ignoranti.

Quanto alla disonestà: c’è rimasto nessuno che crede che i repubblicani si siano mai realmente preoccupati del debito e dei deficit? La verità è che la falsità dei loro atteggiamenti in materia di finanza pubblica avrebbe dovuto essere evidente da sempre.

In ogni caso, a questo punto è innegabile che la loro retorica da fuoco eterno sul debito non era altro che una posa, un tentativo per usare il deficit come un’arma per bloccare e mettere in crisi l’agenda del Presidente Barack Obama.

Al momento che hanno avuto una possibilità, proprio i politici che si erano messi in mostra sulla necessità di responsabilità in materia di finanza pubblica hanno fatto approvare un grande taglio delle tasse alle società ed ai ricchi – taglio fiscale che è la principale ragione dell’esplosione del deficit di bilancio.

Inoltre, il taglio delle tasse ha fatto completo fallimento nel generare il promesso boom degli investimenti. Le società non hanno utilizzato quella manna gigantesca per costruire nuovi stabilimenti ed elevare la produttività, l’hanno usata per riacquistare una grande quantità di azioni, trasferendo i profitti sugli investitori ricchi.

Che dire dell’ignoranza? Come molti hanno invano messo in evidenza, Trump ha torto marcio sulle conseguenze dei deficit commerciali. È vero, in tempi di alta disoccupazione i deficit ci possono costare posti di lavoro. Ma in tempi normali, essi non riducono l’occupazione complessiva, né ci rendono più poveri.

Al contrario, altri paesi ci spediscono beni e servizi di valore, che noi stiamo pagando con pezzi di carta – carta che paga tassi di interesse molto bassi. Di nuovo, chi ci guadagna?

Oltre a ciò, tuttavia, Trump ha prima di tutto completamente torto su quale sia la causa di quei deficit commerciali. Di fatto, le sue stesse politiche hanno fornito una dimostrazione pratica della falsità della sua visione.

Nell’universo trumpiano, i deficit commerciali avvengono perché facciamo cattivi accordi – consentiamo agli stranieri di vendere qua la loro merce, mentre loro non ci permettono di vendere la nostra a casa loro. Dunque la soluzione è erigere barriere ai prodotti stranieri. “Io sono l’Uomo delle Tariffe”, proclamò orgogliosamente.

La verità, tuttavia, è che i deficit commerciali non hanno quasi niente a che fare con le tariffe o altre restrizioni al commercio. Il deficit commerciale complessivo è sempre eguale alla differenza tra la spesa nazionale per investimenti e i risparmi interni (sia privati che pubblici). Si tratta solo di contabilità.

La ragione per la quale l’America realizza persistenti deficit commerciali non è che noi regaliamo troppo con gli accordi commerciali, è che a confronto con gli altri paesi noi risparmiamo poco.

Naturalmente, le tariffe possono ridurre le importazioni dei beni soggetti a tariffa, e di conseguenza ridurre il deficit commerciale in quella determinata industria. Ma è come fare pressione su un pallone: si può comprimerlo da una parte, ma lo si rigonfia della stessa quantità da qualche altra parte. Il processo attraverso il quale questa conservazione del deficit prende forma può variare, sebbene un dollaro più forte, che danneggia le esportazioni, sia normalmente un importante canale. Ma il risultato di base, secondo il quale le tariffe in realtà non riducono il deficit commerciale complessivo, è chiaro [1].

Certamente, le tariffe di Trump del 2018, nei fatti, hanno portato ad una brusca caduta delle importazioni dei beni sottoposti a tali tariffe. Ma le importazioni sono cresciute su altri beni, mentre le esportazioni hanno avuto prestazioni modeste. E il deficit commerciale complessivo è sostanzialmente salito, il che è esattamente quello che ci si sarebbe dovuto aspettare. Dopo tutto, quel grande taglio delle tasse sui ricchi ha ridotto i risparmi nazionali.

E la causa presunta del deficit non è la solo cosa su cui Trump ha torto nella politica commerciale. Egli continua anche ad insistere che sono gli stranieri a pagare per le sue tariffe. In realtà, i prezzi che si ricevono dagli esportatori stranieri non sono scesi. Invece, sono saliti i prezzi pagati dai consumatori americani.

Di nuovo, la crescita del deficit commerciale non costituisce alcuna immediata minaccia per l’economia degli Stati Uniti. E persino la guerra commerciale trumpiana ha prodotto un danno economico solo limitato; il danno principale è stato alla credibilità degli Stati Uniti.

Ma i deficit gemelli di Trump dimostrano che il suo partito ha mentito sulle sue priorità politiche, e che lui non ha la minima idea a proposito del tema che doveva essere il segno distintivo della sua politica. Fortunatamente, una grande nazione come l’America può sopravvivere a molte cose, compresa la disonestà e l’ignoranza al vertice.

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Nel post del 3 marzo dal titolo “Come va la guerra commerciale” – qua tradotto dal suo blog – Krugman spiega in modo più dettagliato questo processo. Riportiamo qua il suo ragionamento centrale:

“Si consideri l’esempio seguente: prima delle tariffe, gli Stati Uniti acquistavano un qualche prodotto dalla Cina al costo di 100 dollari. Poi l’Amministrazione Trump ha imposto una tariffa del 25%, elevando il prezzo al consumo a 125 dollari. Se avessimo solo continuato ad importare quel prodotto dalla Cina, i consumatori avrebbero perso 25 dollari per unità di prodotto acquistata – ma il Governo avrebbe raccolto 25 dollari aggiuntivi in tasse, lasciando il reddito nazionale complessivo immutato.

Supponiamo, tuttavia, che gli importatori si spostino verso una fonte più costosa che non è soggetta alla tariffa; supponiamo, ad esempio, che possano acquistare il prodotto dal Vietnam per 115 dollari. Allora i consumatori potranno perdere solo 15 dollari – ma non ci sarebbe alcuna entrata tariffaria, cosicché 15 dollari sarebbe la perdita per la nazione nel suo complesso.

Ma cosa accade se essi si spostano verso un offerente nazionale – ad esempio, una società statunitense che vende quel prodotto a 120 dollari? Cosa cambia nel racconto?

Il quel caso l’aspetto cruciale è che la produzione nazionale di un bene ha un “costo di opportunità” [2]. Gli Stati Uniti sono vicini alla piena occupazione, dunque 120 dollari di risorse usate per produrre quel prodotto avrebbero potuto essere occupate producendo qualcos’altro in assenza della tariffa. Distrarli per produrre quello che si era soliti importare comporta una perdita metta di 20 dollari, senza alcun bilanciamento nelle entrate.

Per inciso, in pratica ogni posto di lavoro manifatturiero aggiunto dalle tariffe di Trump è probabilmente bilanciato da perdite di altri posti di lavoro manifatturieri. In parte questo dipende dl fatto che la maggioranza delle tariffe operano su beni intermedi – gli input nella produzione, per i quali si guadagnano posti di lavoro, ad esempio, nell’acciaio, sono bilanciati da perdite nelle automobili o in altri settori a valle. Oltre a ciò, le tariffe hanno probabilmente contribuito a far crescere il valore del dollaro, il che rende le esportazioni degli Stati Uniti meno competitive.

Mettendo tutto assieme, le tariffe di Trump hanno accresciuto i prezzi al consumo, anziché deprimere i profitti stranieri.”

 

 

 

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