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Non fate dell’assistenza sanitaria un test di purezza, di Paul Krugman (New York Times, 21 marzo 2019)

 

March 21, 2019

Don’t Make Health Care a Purity Test 

By Paul Krugman

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We’re now in the silly season of the Democratic primary — a season that, I worry, may last all the way to the nomination. There are many honorable exceptions, but an awful lot of reporting seems to be third order — not about the candidates, let alone their policy proposals, but about pundits’ views about voters’ views of candidates’ electability. It’s a discussion in which essentially nobody has any idea what he or she is talking about.

Meanwhile, however, there are some real continuing policy debates. They’re not mainly about goals: Whoever the Democrats nominate will profess allegiance to a progressive agenda aimed at reducing inequality, strengthening the social safety net and taking action on climate change. But there are some big differences about how to achieve those goals.

And the starkest divide involves health care. Almost surely, the eventual platform will advocate “Medicare for TK.” But what word is eventually chosen to replace the placeholder “TK,” and more important, what that means in terms of actual policy, will be crucial both for the general election and for what comes after if Democrats win.

On one side, there’s “Medicare for All,” which has come to mean the Bernie Sanders position: replacing the entire existing U.S. health insurance system with a Medicare-type program in which the government pays most medical bills directly.

On the other side, there’s “Medicare for America,” originally a proposal from the Center for American Progress, now embodied in legislation. While none of the announced Democratic candidates has endorsed this proposal yet, it’s a good guess that most of them will come around to something similar.

The big difference from a Sanders-type plan is that people would be allowed to keep private coverage if they chose — but they or their employers would also have the option of buying into an enhanced version of Medicare, with substantial subsidies for lower- and middle-income families.

The most important thing you need to know about these rival plans is that both of them would do the job.

Many people realize, I think, that we’re the only advanced country that doesn’t guarantee essential health care to its legal residents. My guess is that fewer realize that nations achieve that goal in a variety of ways — and they all work.

Every two years the Commonwealth Fund provides an invaluable survey of major nations’ health care systems. America always comes in last; in the latest edition, the three leaders are Britain, Australia and the Netherlands.

What’s remarkable about those top three is that they have radically different systems. Britain has true socialized medicine — direct government provision of health care. Australia has single-payer — it’s basically Bernie down under. But the Dutch rely on private insurance companies — heavily regulated, with lots of subsidies, but looking more like a better-funded version of Obamacare than like Medicare for All. And the Netherlands actually tops the Commonwealth Fund rankings.

So which system should Democrats advocate? The answer, I’d argue, is the system we’re most likely actually to create — the one that will play best in the general election, and is then most likely to pass Congress if the Democrat wins.

And there’s one big fact on the ground that any realistic health strategy has to deal with: 156 million Americans — almost half the population — currently receive health insurance through their employers. And most of these people are fairly satisfied with their coverage.

A Medicare for All plan would in effect say to these people, “We’re going to take away your current plan, but trust us, the replacement will be better. And we’re going to impose a bunch of new taxes to pay for all this, but trust us, it will be less than you and your employer currently pay in premiums.”

The thing is, both of these claims might well be true! A simple, single-payer system would probably have lower overall costs than a hybrid system that preserves some forms of private coverage.

But even if optimistic claims about Medicare for All are true, will people believe them? And even if most people do, if a significant minority of voters doesn’t trust the promises of single-payer advocates, that could easily either doom Democrats in the general election or at least make it impossible to get their plan through Congress.

To me, then, Medicare for America — which lets people keep employment-based insurance — looks like a much better bet for actually getting universal coverage than Medicare for All. But I could be wrong! And it’s fine to spend the next few months arguing the issue.

What won’t be fine will be if activists make a no-private-insurance position a litmus test, declaring that anyone advocating a more incrementalist approach is no true progressive, or maybe a corrupt shill for the medical/industrial complex. As you might guess, my concerns aren’t drawn out of thin air; they’re things I’m already hearing.

So Democrats should try to make this a real debate, one about the best strategy for achieving a shared goal. Can they manage that? I guess we’ll find out.

 

 

Non fate dell’assistenza sanitaria un test di purezza,

di Paul Krugman

Siamo adesso nella sciocca stagione delle primarie democratiche – una stagione che, temo, possa durare fino alla finale candidatura. Ci sono molte ragguardevoli eccezioni, ma una terribile quantità di resoconti sembrano di terz’ordine – non sui candidati, per non dire sulle loro proposte politiche, ma sulle opinioni dei commentatori a proposito delle opinioni degli elettori sulla eleggibilità dei candidati. È un dibattito nel quale in sostanza nessuno ha un’idea di cosa sta parlando.

Nel frattempo, tuttavia, ci sono alcuni veri dibattiti politici che proseguono. Non riguardano principalmente gli obbiettivi: chiunque i democratici nominino sarà fedele ad una agenda progressista con l’obbiettivo di ridurre l’ineguaglianza, di rafforzare la rete della sicurezza sociale e di assumere l’iniziativa sul cambiamento climatico. Ma ci sono alcune grandi differenze su come realizzare queste obbiettivi.

E le divisioni più crude riguardano l’assistenza sanitaria. Quasi certamente la piattaforma finale sosterrà “Medicare per TK [1]“. Ma la parola che alla fine si sceglierà per sostituire il codice “TK” e, ancora più importante, il suo significato in termini di effettiva politica, sarà cruciale sia per le elezioni generali che per quello che verrà dopo, se i democratici vincono.

Da una parte, c’è il “Medicare per tutti”, che ha finito con l’identificare la posizione d Bernie Sanders: sostituire l’intero sistema della assicurazione sanitaria statunitense con un programma del genere di Medicare, nel quale il Governo paga direttamente la maggior parte dei conti della sanità.

Dall’altra parte c’è il “Medicare per l’America”, originariamente una proposta del Centro per il Progresso Americano, adesso contenuto in una proposta legislativa. Mentre sinora nessuno tra i candidati annunciati ha fatto propria questa proposta, si può supporre che molti di loro si ritroveranno su qualcosa di simile.

La grande differenza rispetto ad un programma del genere di quello di Sanders è che alla gente verrebbe consentito di mantenere, se lo scelgono, una assicurazione privata – ma essi, o i loro datori di lavoro, avrebbero anche la possibilità di acquistare una versione potenziata di Medicare, con sostanziali sussidi per le famiglie con redditi più bassi o medi.

La cosa più importante che si deve sapere su questi piani in competizione è che entrambi servirebbero allo scopo.

Penso che in molti comprendano che siamo l’unico paese avanzato che non garantisce una assistenza sanitaria di base ai suoi residenti legali.  Ma suppongo che un numero inferiore di persone sappia che le nazioni realizzano quell’obbiettivo in una varietà di modi, che funzionano tutti.

Ogni due anni il Commonwealth Fund fornisce una indagine preziosa sui sistemi di assistenza sanitaria delle principali nazioni. L’America si piazza sempre all’ultimo posto; nella edizione più recente i tre paesi guida erano l’Inghilterra, l’Australia e l’Olanda.

Quello che è rilevante in queste tre nazioni di testa è che hanno sistemi radicalmente diversi. L’Inghilterra ha una sanità effettivamente socializzata – il Governo fornisce direttamente l’assistenza sanitaria. L’Australia ha un sistema di pagamenti centralizzato – fondamentalmente una versione australiana di Bernie. Ma gli olandesi si basano su società di assicurazione private – pesantemente regolate, con una gran quantità di sussidi, ma che assomigliano più ad una versione meglio finanziata della riforma di Obama che non a Medicare per tutti. E l’Olanda effettivamente è in testa alle graduatorie del Commonwealth Fund.

Dunque, quale sistema dovrebbero sostenere i democratici? La risposta suppongo sia il sistema che più probabilmente siamo in effetti nelle condizioni di determinare – quello che avrebbe i migliori risultati nelle elezioni generali e che abbia la maggiore probabilità di essere approvato dal Congresso se vincono i democratici.

E c’è un importante dato di fatto sul terreno con il quale ogni realistica strategia sanitaria si deve misurare: 156 milioni di americani – quasi la metà della popolazione – attualmente riceve l’assicurazione sanitaria attraverso i propri datori di lavoro. E la maggioranza delle persone sono abbastanza soddisfatte di questa copertura.

In sostanza, un piano del tipo Medicare per tutti direbbe a queste persone: “Siamo intenzionati a togliervi il vostro attuale programma ma, credeteci, la sostituzione sarà migliore. E siamo intenzionati a imporre un mucchio di nuove tasse ma, credeteci, saranno inferiori a quello che voi e i vostri datori di lavoro attualmente pagano con le polizze”.

Il punto è che entrambi questi argomenti potrebbero ben essere veritieri! Un semplice sistema con pagamenti centralizzati probabilmente avrebbe costi generali più bassi che non un sistema ibrido che mantiene forme di assicurazione privata.

Ma anche se gli argomenti ottimistici del Medicare per tutti sono veri, la gente ci crederà? E persino se la maggioranza delle persone lo facesse, se una significativa minoranza di elettori non crede alle promesse dei sostenitori del pagamento centralizzato, ciò potrebbe facilmente condannare i democratici alle elezioni generali oppure almeno render loro impossibile il far approvare il loro piano dal Congresso.

Secondo me, dunque, Medicare per l’America – che consente alle persone di mantenere una assicurazione basata sul posto di lavoro [2] – sembra una scommessa assai migliore allo scopo di ottenere una copertura universalistica, che non Medicare per tutti. Ma potrei sbagliare! Ed è bene spendere i prossimi mesi per discutere quel tema.

Quello che non sarebbe positivo è se gli attivisti trasformano la posizione contraria ad ogni assicurazione privata in una specie di cartina di tornasole, dichiarando che chiunque sostenga un approccio più gradualistico non è un vero progressista, o magari è un imbonitore corrotto del sistema sanitario/industriale. Come vi potete immaginare, le mie preoccupazioni non sono campate in aria; sono cose che già sento dire.

Dunque, i democratici dovrebbero provare a fare di questo un vero dibattito, un dibattito sulla migliore strategia per realizzare un obbiettivo condiviso. Ce la faranno? Suppongo che lo scopriremo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Come si spiega nel link successivo, TK è un acronimo che sta a significare “qualcosa che si preciserà in seguito”. Sostituisce il verbo “to come”, o meglio la sua versione fonetica “tu kum”, un modo rapido per esprimere nella grafica il concetto di un promemoria, di qualcosa che è ancora indefinito.

[2] Ovvero, pagata dai datori di lavoro. Si deve tenere a mente che un sistema di pagamenti centralizzato – che per definizione eliminerebbe le assicurazioni private – deve per forza sostituire i pagamenti da parte dei datori di lavoro con le tasse. Se il ‘pagatore singolo’ è lo Stato, l’attuale contribuzione diretta dei datori di lavoro alle assicurazioni deve essere sostituita con una contribuzione allo Stato nella forma di tasse.

 

 

 

 

 

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