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Trump e i mercanti della carcerazione, di Paul Krugman (New York Times, 8 luglio 2019)

 

July 8, 2019

Trump and the Merchants of Detention

By Paul Krugman

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Is it cruelty, or is it corruption? That’s a question that comes up whenever we learn about some new, extraordinary abuse by the Trump administration — something that seems to happen just about every week. And the answer, usually, is “both.”

For example, why is the administration providing cover for Saudi Arabia’s crown prince, who almost surely ordered the murder of The Washington Post’s Jamal Khashoggi? Part of the answer, probably, is that Donald Trump basically approves of the idea of killing critical journalists. But the money the Saudi monarchy spends at Trump properties is relevant, too.

And the same goes for the atrocities the U.S. is committing against migrants from Central America. Oh, and save the fake outrage. Yes, they are atrocities, and yes, the detention centers meet the historical definition of concentration camps.

One reason for these atrocities is that the Trump administration sees cruelty both as a policy tool and as a political strategy: Vicious treatment of refugees might deter future asylum-seekers, and in any case it helps rev up the racist base. But there’s also money to be made, because a majority of detained migrants are being held in camps run by corporations with close ties to the Republican Party.

And when I say close ties, we’re talking about personal rewards as well as campaign contributions. A couple of months ago John Kelly, Trump’s former chief of staff, joined the board of Caliburn International, which runs the infamous Homestead detention center for migrant children.

Which brings us to the issue of private prisons, and privatization in general.

Privatization of public services — having them delivered by contractors rather than government employees — took off during the 1980s. It has often been justified using the rhetoric of free markets, the supposed superiority of private enterprise to government bureaucracy.

This was always, however, a case of bait-and-switch. Free markets, in which private businesses compete for customers, can accomplish great things, and are indeed the best way to organize most of the economy. But the case for free markets isn’t a case for private business where there is no market: There’s no reason to presume that private firms will do a better job when there isn’t any competition, because the government itself is the sole customer. In fact, studies of privatization often find that it ends up costing more than having government employees do the work.

Nor is that an accident. Between campaign contributions and the revolving door, plus more outright bribery than we’d like to think, private contractors can engineer overpayment on a scale beyond the wildest dreams of public-sector unions.

And what about the quality of the work? In some cases that’s easy to monitor: If a town hires a private company to provide garbage collection, voters can tell whether the trash is, in fact, being picked up. But if you hire a private company to provide services in a situation where the public can’t see what it’s doing, crony capitalism can lead to poor performance as well as high costs.

Many people have, I think, forgotten about the disastrous Bush administration occupation of Iraq, but the incompetence and abuses of politically connected private contractors, like Erik Prince’s security company Blackwater, played a major role in the debacle. Did I mention that Betsy DeVos, Trump’s secretary of education and a key defender of for-profit education, is Prince’s sister?

And running a prison, which is literally walled off from public view, is almost a perfect example of the kind of government function that should not be privatized. After all, if a private prison operator bulks up its bottom line by underpaying personnel and failing to train them adequately, if it stints on food and medical care, who in the outside world will notice? Sure enough, privately run prisons have a far worse security record than public prisons.

Yet the number of inmates in private prisons has grown by leaps and bounds — especially in the area of immigrant detention. The Obama administration finally tried to begin a phaseout of federal use of private prisons, and a number of Democratic presidential candidates have called for an end to their use. (Prison operator stocks fell sharply last month, when Elizabeth Warren laid out a plan to eliminate the industry.)

But Trump, of course, reversed the Obama moves. And the surge in immigrant detention has been a major new source of private-prison-industry profits.

How much of a role has this played in policy? It would, I think, be going too far to claim that the private-prison industry — merchants of detention? — has been a driving force behind the viciousness of Trump’s border policy. But the fact that crony capitalists close to the administration profit from the viciousness surely greases the path.

And this fits the general pattern. As I suggested at the beginning, cruelty and corruption are intertwined in Trump administration policy. Every betrayal of American principles also seems, somehow, to produce financial benefits for Trump and his friends.

 

 

Trump e i mercanti della carcerazione,

di Paul Krugman

 

È crudeltà o è corruzione? È questa la domanda che cresce nel mentre veniamo messi al corrente di qualche nuovo, straordinario abuso da parte della Amministrazione Trump –  qualcosa che sembra accadere con una frequenza all’incirca settimanale. E la risposta, al solito, è “entrambe”.

Ad esempio, perché la Amministrazione sta dando copertura al Principe ereditario dell’Arabia Saudita, che quasi sicuramente ordinò l’assassinio di Jamal Khashoggi, del Washington Post? In parte la risposta è probabilmente che Donald Trump fondamentalmente approva l’idea di ammazzare i giornalisti critici. Ma anche i soldi che la monarchia saudita spende sulle proprietà di Trump sono rilevanti.

Lo stesso viene dalle atrocità che gli Stati Uniti stanno commettendo contro gli emigranti dell’America Centrale. E risparmiatevi la falsa indignazione. Si tratta proprio di atrocità, e i centri di detenzione corrispondono alla definizione storica dei campi di concentramento.

Una ragione di quelle atrocità è che la Amministrazione Trump considera la crudeltà sia come uno strumento di governo che come una strategia politica: il trattamento feroce dei rifugiati potrebbe scoraggiare i futuri richiedenti asilo, e in ogni caso contribuisce a mandare su di giri la base razzista. Ma si possono anche fare soldi, giacché una maggioranza di emigranti vengono detenuti in campi gestiti da società con stretti legami con il Partito Repubblicano.

E quando parlo di stretti legami, mi riferisco sia a compensi personali che a contributi elettorali. Un paio di mesi fa John Kelly, il passato capo dello staff di Trump, è approdato nel consiglio di amministrazione di Caliburn International, la società che gestisce il famigerato centro di detenzione per i bambini emigranti dato in concessione.

La qual cosa mi porta al tema delle prigioni private, e della privatizzazione in generale.

La privatizzazione dei servizi pubblici – che vengono eseguiti da ditte in appalto anziché da impiegati del Governo – si avviò nel corso degli anni ’80. È sempre stata giustificata con la retorica del libero mercato, la supposta superiorità dell’impresa privata rispetto alla burocrazia pubblica.

Questa è sempre stata, tuttavia, una truffa bella e buona. I mercati liberi, nei quali le imprese private sono in competizione per la clientela, possono compiere cose importanti, e sono in effetti il modo migliore per organizzare la maggior parte dell’economia. Ma l’argomento del libero mercato non vale dove non c’è alcun mercato: non c’è ragione per presumere che imprese private facciano un lavoro migliore quando non c’è alcuna competizione, giacché il Governo è l’unico cliente. Di fatto, gli studi sulla privatizzazione spesso scoprono che essa finisce col costare di più che avere impiegati pubblici che fanno il lavoro.

Né è un caso. Tra i contributi elettorali e il cosiddetto sistema delle ‘porte girevoli’ [1], in aggiunta a vere e proprie corruttele maggiori di quello che ci piace pensare, gli appaltatori privati possono rendere possibili pagamenti in eccesso in una dimensione che va oltre i sogni più sfrenati dei sindacati del settore pubblico.

E cosa dire della qualità del lavoro? In alcuni casi questa è facile da monitorare: se una cittadina assume una società privata per realizzare la raccolta dei rifiuti, gli elettori possono constatare se l’immondizia viene effettivamente raccolta. Ma se si assume una società privata per fornire servizi dove l’opinione pubblica non può vedere cosa essa stia facendo, il capitalismo clientelare può condurre a prestazioni modeste, così come ad alti costi.

Penso che in molti abbiano dimenticato la disastrosa amministrazione della occupazione di Bush in Iraq, ma l’incompetenza e gli abusi degli appaltatori privati ammanigliati politicamente, come la società di sicurezza Blackwater di Erik Prince, giocarono un ruolo importante in quel disastro. È il caso di ricordare che Betsy DeVos, la Segretaria all’Istruzione di Trump e sostenitrice fondamentale dell’istruzione a scopo di lucro, è la sorella di Prince?

E gestire una prigione, che è per definizione separata da un muro dalla vista dell’opinione pubblica, è un esempio quasi perfetto del tipo di funzione pubblica che non dovrebbe essere privatizzata. Dopo tutto, se un conduttore di una prigione privata rimpingua il suo bilancio sottopagando il personale e mancando di formarlo adeguatamente, se risparmia sugli alimenti e sulle cure mediche, chi se ne accorgerà nel mondo esterno? Di sicuro, le prigioni gestite privatamente hanno prestazioni di sicurezza di gran lunga peggiori delle prigioni pubbliche [2].

Tuttavia il numero dei detenuti nelle prigioni private è cresciuto a passi da gigante – particolarmente nell’area della detenzione degli immigrati. Alla fine l’Amministrazione Obama cercò di avviare una eliminazione progressiva dell’uso federale delle prigioni private e un certo numero di candidati presidenziali democratici si sono pronunciati per porre fine al loro uso (le azioni delle imprese che gestiscono le prigioni sono cadute bruscamente il mese scorso, quando Elizabeth Warren ha esposto un programma per eliminare tale attività).

Ma Trump, ovviamente, ha rovesciato le iniziative di Obama. E la crescita della detenzione degli immigranti è stata una nuova importante fonte dei profitti delle attività delle prigioni private.

Quanto ruolo la politica ha giocato in tutto questo? Mi immagino che si andrebbe troppo oltre nel sostenere che le attività delle prigioni private – i mercanti della detenzione? – sia un fattore decisivo che sta dietro la brutalità della politica sui confini di Trump. Ma il fatto che le clientele affaristiche vicine alla Amministrazione traggano profitto dalla brutalità certamente unge quel sentiero.

E questo calza a pennello nello schema generale. Come ho suggerito all’inizio, la crudeltà e la corruzione si intrecciano nella politica della Amministrazione Trump. Ogni tradimento dei principi americani sembra anche, in qualche modo, produrre benefici finanziari per Trump ed i suoi amici.

 

 

 

 

 

 

 

[1] Ovvero, del sistematico passaggio di dirigenti del settore pubblico ai settori privati, appena esauriscono i loro mandati elettivi.

[2] Nella connessione nel testo inglese compare un accuratissimo studio sul fenomeno degli istituti di pena privati negli Stati Uniti dell’agosto del 2018, a cura di Kara Gotsch e Vinay Basti.

 

 

 

 

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