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Cile: il ragazzo prodigio del neoliberismo che è caduto in disgrazia, di Barnko Milanovic (dal blog di Milanovic, 26 ottobre 2019)

 

Saturday, October 26, 2019

Chile: The poster boy of neoliberalism who fell from grace

By Branko Milanovic

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It is not common for an OECD county to shoot and kill 16 people in two days of socially motivated riots. (Perhaps only Turkey, in its unending wars against the Kurdish guerilla, comes close to that level of violence.) This is however what Chilean government, the poster child of neoliberalism and transition to democracy, did last week in the beginning of protests that do not show the signs of subsiding despite cosmetic reforms proposed by President Sebastian Piñera.

The fall from grace of Chile is symptomatic of worldwide trends that reveal the damages causes by neoliberal policies over the past thirty years, from privatizations in Eastern Europe and Russia to the global financial crisis to the Euro-related austerity. Chile was held, not the least thanks to favorable press that it enjoyed, as an exemplar of success. Harsh policies introduced after the overthrow of Salvador Allende in 1973, and the murderous spree that ensued afterwards, have been softened by the transition to democracy but their essential features were preserved. Chile indeed had a remarkably good record of growth, and while in the 1960-70s it was in the middle of the Latin American league by GDP per capita, it is now the richest Latin American country. It was of course helped too by high prices for its main export commodity, copper, but the success in growth is incontestable. Chile was “rewarded” by the membership in the OECD, a club of the rich nations, the first South American country to accede to it.

Where the country failed is in its social policies which somewhat bizarrely were considered by many to have been successful too. In the 1980s-90s, the World Bank hailed Chilean “flexible” labor market policies which consisted of breaking up the unions and imposing a model of branch-level negotiations between employers and workers rather than allowing an overall umbrella union organization to negotiate for all workers. It was even more bizarrely used by the World Bank as a model of transparency and good governance, something that the transition countries in Eastern Europe should have presumably copied from Chile. The brother of the current Chilean president, scions of one of the richest families in Chile, became famous for introducing, as Minister of Labor and Social Security under Pinochet, a funded system of pensions where employees make compulsory contributions from their wages into one of several pension funds, and after retirement receive pensions based on investment performance of such funds. Old-age pensions thus became a part of  roulette capitalism. But In the process, the pension funds, charging often exorbitant fees, and their managers became rich. José Piñera had tried to “sell” this model to Yeltsin’s Russia and to George Bush’s United States, but, despite the strong (and quite understandable) support of the financial communities in both countries, he failed. Nowadays, most Chilean pensioners receive $200-$300 per month in a country whose price level (according to International Comparison Project, a worldwide UN- and World Bank-led project to compare price levels around the world) is about 80% of that of the United States.

While Chile leads Latin America in GDP per capita, it also leads it terms of inequality. In 2015, its level of income inequality was higher than in any other Latin American country except for Colombia and Honduras. It exceeded even Brazil’s proverbially high inequality. The bottom 5% of the Chilean population have an income level that is about the same as that of the bottom 5% in Mongolia. The top 2% enjoy the income level equivalent to that of the top 2% in Germany. Dortmund and poor suburbs of Ulan Bataar were thus brought together.

Chilean income distribution is extremely unequal. But even more so is its wealth distribution. There, Chile is an outlier even compared to the rest of Latin America. According to the Forbes’ 2014 data on world billionaires, the combined wealth of Chilean billionaires’ (there were twelve of them) was equal to 25% of Chilean GDP. The next Latin American countries with highest wealth concentrations are  Mexico and Peru where the wealth share of billionaires is about half (13 percent of GDP) of Chile’s. But even better: Chile is the country where billionaires’ share, in terms of GDP, is the highest in the world (if we exclude countries like Lebanon and Cyprus where many foreign billionaires simply “park” their wealth for tax reasons). The wealth of Chile’s billionaires, compared to their country’s GDP, exceeds even that of Russians.

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Such extraordinary inequality of wealth and income, combined with full marketization of many social services (water, electricity etc.), and pensions that depend on the vagaries of the stock market have long been “hidden” from foreign observers by Chile’s success in raising its GDP per capita.  But the recent protests show that the latter is not enough. Growth is indispensable for economic success and reduction in poverty. But if there Is no social justice and minimum of social cohesion, the effects of growth will dissolve in grief, demonstrations, and yes, in the shooting of people.

 

Cile: il ragazzo prodigio del neoliberismo che è caduto in disgrazia,

di Barnko Milanovic

 

Non è comune per un paese dell’OCSE che, in due giorni di disordini motivati dalle condizioni sociali, si spari e si ammazzino 16 persone (forse solo la Turchia, nelle sue guerre infinite contro la guerriglia dei curdi, si avvicina a quel livello di violenza). Questo è quello che tuttavia, la scorsa settimana, ha fatto il Governo cileno, il ragazzo prodigio del neoliberismo e della transizione alla democrazia, agli inizi di proteste che non accennano a diminuire nonostante le riforme cosmetiche proposte dal Presidente Sebastian Piñera.

La caduta in disgrazia del Cile è sintomatica delle tendenze globali che rivelano i danni provocati dalle politiche neoliberiste nei trent’anni passati, dalle privatizzazioni nell’Europa dell’Est e in Russia, alla crisi finanziaria globale ed alla austerità derivata dall’euro. Il Cile era considerato, non da ultimo grazie alla stampa favorevole di cui ha goduto, come un esempio di successo. Le dure politiche introdotte dopo il rovesciamento di Salvador Allende nel 1973, e l’orgia omicida che ne seguì nel periodo successivo, sono state attenuate dalla transizione alla democrazia, ma i loro fondamentali ingredienti vennero conservati. Il Cile in effetti ha avuto un record di crescita considerevolmente positivo, e mentre negli anni ’60 e ’70 era a metà della classifica latino-americana del PIL pro capite, oggi è il paese più ricco dell’America Latina. Ovviamente è stato aiutato dagli alti prezzi della sua principale materia prima di esportazione, il rame, ma il successo nella crescita è incontestabile. Il Cile è stato “premiato” dalla sua partecipazione all’OCSE, un club delle nazioni ricche, il primo paese del Sud America ad accederci.

Dove il paese ha fallito è stato nelle sue politiche sociali, che in qualche modo bizzarramente vennero anch’esse considerate da molti come un successo. Negli anni ’80 e ’90, la Banca Mondiale salutò positivamente le politiche di un mercato del lavoro “flessibile”, che consistettero nella rottura dei sindacati e nell’imposizione di un modello di contrattazione tra datori di lavoro e lavoratori al livello settoriale, anziché consentire una copertura complessiva da parte di una organizzazione sindacale che negoziasse per tutti i lavoratori. Essa venne anche più bizzarramente utilizzata come un modello di trasparenza e di buona gestione, qualcosa che la transizione nell’Europa dell’Est avrebbe presumibilmente dovuto copiare dal Cile. Il fratello dell’attuale Presidente cileno, rampolli di una delle famiglie più ricche del Cile, come Ministro del Lavoro e della Sicurezza Sociale sotto Pinochet, divenne famoso per l’introduzione di un sistema di finanziamento delle pensioni nel quale gli occupati facevano versamenti obbligatori dai loro salari verso uno dei vari fondi pensionistici, e dopo il ritiro dal lavoro ricevevano pensioni basate sull’andamento degli investimenti in tali fondi. Le pensioni degli anziani divennero quindi una componente di un capitalismo formato “roulette”. Ma per quella strada, i fondi pensionistici e i loro gestori, imponendo spesso parcelle esorbitanti, divennero ricchi. José Piñera aveva provato a “rivendere” questo modello alla Russia di Eltsin ed agli Stati Uniti di George Bush, ma, nonostante il forte (e abbastanza comprensibile) sostegno delle comunità finanziarie in entrambi i paesi, non ci riuscì. Ai giorni d’oggi, la maggioranza dei pensionati cileni riceve 200-300 dollari al mese, in un paese il cui livello dei prezzi (secondo il Progetto Internazionale di Confronti, un progetto che confronta i livelli dei prezzi in tutto il mondo, guidato su scala mondiale dagli Stati Uniti e dalla Banca Mondiale) è circa l’80% di quello degli Stati Uniti.

Se il Cile è in testa all’America Latina come PIL procapite, la guida anche in termini di ineguaglianza.  Nel 2015, il suo livello di ineguaglianza del reddito era il più alto di ogni altro paese latino americano, ad eccezione della Colombia e dell’Honduras. Superava persino l’ineguaglianza proverbialmente elevata del Brasile. Il 5% della popolazione cilena con il reddito più basso aveva un livello di reddito che è circa lo stesso del 5% della popolazione più povera della Mongolia. Il 2% dei più ricchi godeva un livello di reddito pari a quello del 2% dei più ricchi in Germania. Dortmund e le periferie di Ulan Bataar erano quindi riunite.

La distribuzione cilena del reddito è estremamente ineguale. Ma ancora di più lo è la distribuzione della ricchezza. In quel caso il Cile è una eccezione anche confrontato al resto dell’America Latina. Secondo i dati di Forbes sui miliardari del mondo del 2014, la ricchezza complessiva dei miliardari cileni (ce n’erano una dozzina) era pari al 25% del PIL cileno. I paesi latino americani più prossimi per concentrazioni di ricchezza più elevate sono il Messico e il Perù, dove la quota di ricchezza dei miliardari è circa la metà (13 per cento del PIL) di quella del Cile. Ma c’è di più: il Cile è il paese dove la quota dei miliardari, in termini di PIL, è la più alta al mondo (se si escludono paesi come il Libano e Cipro, dove molti miliardari stranieri semplicemente “parcheggiano” la loro ricchezza per ragioni fiscali). La ricchezza dei miliardari cileni, confrontata con il PIL del loro paese, supera persino quella dei russi.

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Tale straordinaria ineguaglianza della ricchezza e dei redditi, assieme alla completa privatizzazione di molti servizi sociali acqua, elettricità etc.) e alle pensioni che dipendono dai capricci del mercato azionario, hanno per lungo tempo “nascosto” agli osservatori stranieri il successo del Cile nella crescita del suo PIL pro capite. Ma le recenti proteste mostrano che quest’ultima non è sufficiente. La crescita è indispensabile per il successo economico e la riduzione della povertà. Ma se non c’è giustizia sociale e un minimo di coesione sociale, gli effetti della crescita si dissolveranno in dolori, in dimostrazioni e, perché no, nella uccisione della gente.

 

 

 

 

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