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Centristi, progressisti ed eurofobia, di Paul Krugman (New York Times, 7 novembre 2019)

 

 

Centrists, Progressives and Europhobia

By Paul Krugman

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Will the Democratic presidential nomination go to a centrist or a progressive? Which choice would give the party the best chance in next year’s election? Honestly, I have no idea.

One thing I can say, however, is that neither centrism nor progressivism is what it used to be.

There was a time when arguments between centrists and progressives were framed as debates between realism and idealism. These days, however, it often seems as if the centrists, not the progressives, are out of touch with reality. Indeed, sometimes it feels as if centrists are Rip Van Winkles who spent the last 20 years in a cave and missed everything that has happened to America and the world since the 1990s.

You can see this in politics, where Joe Biden has repeatedly declared that Republicans will have an “epiphany” once Donald Trump is gone, and once again become reasonable people Democrats can deal with. Given the G.O.P.’s scorched-earth politics during the Obama years, that’s a bizarre claim.

You can also see it in economics. There are many reasonable criticisms you could offer of Elizabeth Warren’s economic proposals. But the one I keep seeing is that Warren would turn America into (cue scary music) Europe, maybe even (cue even scarier music) France. And you have to wonder whether people who say such things have paid any attention to either Europe or America over the past few decades.

Just to be clear, Europe does have big economic problems. But they’re not the ones such people seem to imagine.

When people say such things, they seem to have in mind a picture of the U.S.-Europe comparison that did seem to have some validity in the 1990s. In that picture, nations with large social spending and extensive government regulation of markets suffered from “Eurosclerosis,” persistent lack of jobs.

Employers, the story went, were reluctant to expand both because of high taxes and because they feared not being able to fire workers once hired. At the same time, workers had little incentive to accept jobs because they could live off generous social programs.

Europe also seemed to be lagging in the adoption of new technology: For a while, the U.S. surged ahead in making use of the internet and information technology in general, leading to arguments that Europe’s high taxes and regulation were discouraging innovation.

But all of that was a long time ago. The jobs gap has largely vanished; adults in their prime working years are actually more likely to be employed in Europe, France included, than they are in America.

Any gap in the adoption of information technology has also long since vanished; households in much of Europe are as or more likely to have broadband than their U.S. counterparts, partly because the U.S. failure to limit providers’ monopoly power has led to much higher prices for internet access.

It’s true that European nations have lower G.D.P. per capita than we do, but that’s largely because, unlike most Americans, most Europeans actually have significant vacation time and hence work fewer hours per year. This sounds like a choice about work-life balance, not an economic problem.

And on that most fundamental of indicators, life expectancy, the U.S. has fallen far behind: French residents can expect, on average, to live more than four years longer than Americans. Why? Universal health care and policies that mitigate extreme inequality are the most likely explanations.

Now, I don’t want this to sound like praise of all things European. The nations on the euro remain terribly vulnerable to financial crises, because they’ve adopted a shared currency without a shared banking safety net; only the heroic leadership of Mario Draghi, the former president of the European Central Bank, avoided a catastrophic collapse of the euro in 2012.

Europe also suffers from persistent weakness in demand because key players, Germany in particular, have an obsessive fear of deficits, even when the European economy desperately needs stimulus.

These are big problems, severe enough that I wouldn’t be surprised if Europe is the epicenter of the next global crisis. But the problem with Europe is not that its social programs are too generous and its governments too intrusive. If anything, it’s almost the opposite: Europe’s economy is vulnerable because a combination of political fragmentation and ideological rigidity has left its politicians unwilling to be Keynesian enough.

The point is that centrists who point to Europe as an illustration of the bad things that happen when you’re too enthusiastic about pursuing social justice are stuck decades in the past. Modern European experience actually vindicates progressive claims that we can do a lot to make America fairer without destroying incentives. And even Europe’s problems make the case for more government intervention, not less.

By all means, let’s talk about whether “Medicare for all,” wealth taxes and other progressive proposals are actually good ideas. But trying to shoot them down by going on about how terrible things are in France is a sure sign that you have no idea what you’re talking about.

 

Centristi, progressisti ed eurofobia,

di Paul Krugman

 

La candidatura presidenziale dei democratici andrà a un centrista o a un progressista? Quale scelta darebbe al partito la migliore possibilità alle elezioni del prossimo anno? Onestamente, non ne ho idea.

Una cosa che posso dire, tuttavia, è che né il centrismo né il progressismo sono quelli che erano un tempo.

Ci fu un’epoca nella quale le discussioni tra centristi e progressisti venivano inquadrate come dibattiti tra realismo e idealismo. Di questi tempi, tuttavia, spesso sembra che i centristi, non i progressisti, non abbiano contatti con la realtà. In effetti, sembra talvolta che i centristi siano dei Rip Van Winkle che hanno passato gli ultimi 20 anni in una caverna e si sono persi tutto quello che è accaduto all’America e al mondo a partire dagli anni ‘90 [1].

Potete accorgervene nella politica, laddove Joe Biden ha dichiarato in continuazione che i repubblicani avranno una “epifania” una volta che Trump se ne sarà andato e diventeranno nuovamente persone ragionevoli, con le quali i democratici potranno trattare. Considerata la politica da terra bruciata del Partito Repubblicano durante gli anni di Obama, si tratta di una tesi bizzarra.

Lo potete anche constatare in economia. Ci sono molte critiche ragionevoli che si possono avanzare sulle proposte economiche della Warren. Ma quella che continuo a sentire è che la Warren trasformerebbe l’America nell’Europa (sfondo di una musica spaventosa), forse addirittura nella Francia (sfondo di una musica ancora più spaventosa). E viene da chiedersi se le persone che dicono cose del genere abbiano prestato qualche attenzione, nei passati decenni, sia all’Europa che all’America.

Solo per chiarezza, l’Europa ha grandi problemi economici. Ma non sono quelli che quelle persone sembrano immaginare.

Quando le persone dicono tali cose, sembrano avere in mente un quadro dei confronti tra Stati Uniti ed Europa che poteva avere un qualche significato negli anni ’90. Secondo quel quadro, le nazioni con ampia spesa sociale e vasta regolamentazione pubblica dei mercati soffrivano di “eurosclerosi”, di persistente deficienza di posti di lavoro.

I datori di lavoro, il racconto era questo, erano riluttanti ad espandersi a causa delle tasse elevate e per il timore di non essere capaci di licenziare i lavoratori una volta assunti. Contemporaneamente, i lavoratori avevano uno scarso incentivo ad accettare posti di lavoro perché potevano campare con programmi sociali generosi.

L’Europa poteva anche sembrare di restare indietro nella adozione di nuove tecnologie: per un certo periodo, gli Stati Uniti balzarono avanti nell’uso di Internet e delle tecnologie dell’informazione in generale, il che portò alle tesi secondo le quali le tasse elevate e le regolamentazioni dell’Europa stavano scoraggiando l’innovazione.

Ma questo accadeva molto tempo fa. Il divario nei posti di lavoro è in gran parte svanito; gli adulti nella principale età lavorativa è attualmente più probabile che siano occupati in Europa, Francia inclusa, di quanto non lo siano in America.

Anche il divario nella adozione delle tecnologie dell’informazione è da molto tempo svanito: in gran parte dell’Europa, le famiglie è più probabile che abbiano la banda larga delle loro omologhe statunitensi, in parte perché l’incapacità degli Stati Uniti a limitare il potere di monopolio dei fornitori ha portato a prezzi molto più alti nell’accesso a Internet.

È vero che le nazioni europee hanno un PIL procapite più basso del nostro, ma questo in gran parte dipende dal fatto che la maggioranza degli europei, diversamente dalla maggioranza degli americani, hanno effettivamente un periodo di vacanze significativo e quindi minori ore di lavoro per anno. Questa assomiglia ad una scelta sull’equilibrio tra vita e lavoro, non ad un problema economico.

E quanto al più fondamentale degli indicatori, l’aspettativa di vita, gli Stati Uniti sono caduti assai indietro: i residenti francesi possono aspettarsi di vivere, in media, più di quattro anni più a lungo degli americani. Perché? L’assistenza sanitaria universalistica e le politiche per mitigare l’estrema ineguaglianza sono le spiegazioni più probabili.

Ora, non è mia intenzione che questo suoni come un elogio di ogni cosa in Europa. Le nazioni che aderiscono all’euro restano terribilmente vulnerabili alle crisi finanziarie, perché hanno adottato una moneta condivisa senza una rete di sicurezza bancaria condivisa; solo la leadership eroica di Mario Draghi, il passato Presidente della Banca Centrale Europea, evitò un disastroso collasso nel 2012.

L’Europa soffre inoltre di una persistente debolezza della domanda perché i protagonisti principali, la Germania in particolare, hanno un timore ossessivo dei deficit, anche quando l’economia europea ha un bisogno disperato di stimoli.

Si tratta di grandi problemi, gravi abbastanza che non sarei sorpreso se l’Europa fosse l’epicentro della prossima crisi globale. Ma il problema dell’Europa non sono i suoi progrmmi sociali troppo generosi e i suoi Governi troppo intrusivi. Semmai, è quasi l’opposto: l’economia europea è vulnerabile a causa di una combinazione di frammentazione politica e di rigidità ideologica che ha reso i suoi politici indisponibili ad essere a sufficienza keynesiani.

Il punto è che i centristi che indicano l’Europa come una rappresentazione delle cose negative che accadono quando si perseguono i programmi sociali con troppo entusiasmo, sono impantanati nei decenni del passato. L’esperienza dell’Europa moderna in realtà risarcisce gli argomenti progressisti secondo i quali si può fare molto per rendere l’America più giusta senza distruggere gli incentivi. E persino i problemi dell’Europa possono essere argomento per un maggiore intervento pubblico, non per ridurlo.

In ogni modo, discutiamo pure se Medicare-per-tutti, le tasse sui ricchi e altre proposte progressiste siano davvero buone idee. Ma cercare di scartarle con l’argomento di quanto la situazione in Francia sia terribile è un segno sicuro che non si ha idea di cosa si sta parlando.

 

 

 

 

 

 

 

[1] Rip Van Wingle è il protagonista di un racconto scritto da Washington Irving nel 1819.

La storia di Rip van Winkle è ambientata immediatamente prima (intorno al 1770) e dopo la rivoluzione americana (intorno al 1790). Rip van Winkle, un abitante di origine olandese, vive in un bel villaggio ai piedi delle Catskill Mountains di New York. Essendo affabile, è amato da tutti tranne che dalla moglie. Infatti, oltre ad essere affabile, è anche pigro e così trascura la sua casa e la sua fattoria. Un giorno d’autunno, scappa dai continui rimproveri della moglie, fuggendo sulle montagne. Dopo aver incontrato degli uomini vestiti in maniera strana e, dopo aver bevuto dei loro superalcolici, si siede a terra sotto un albero ombroso, addormentandosi profondamente.

Dopo vent’anni, Rip si sveglia e ritorna nel suo villaggio, inconsapevole di quanto abbia dormito. Giunto a casa, scopre che la moglie è morta e che i suoi amici più vicini sono morti in guerra o partiti via dal paese. Subito si mette nei guai dichiarandosi un fedele suddito di Re George III: non sa che, nel frattempo, la Rivoluzione Americana ha reso l’America indipendente dall’Inghilterra. Viene però riconosciuto da un vecchio del posto. La figlia di Rip, ormai adulta, lo ospita a casa sua. Rip riprende le sue abitudini pigre. E, nel villaggio, visto che la sua storia viene ritenuta vera dai vecchi coloni olandesi, alcuni mariti scontenti del trattamento ricevuto dalle proprie mogli iniziano a desiderare di avere la sua stessa sorte. (Wikipedia)

 

 

 

 

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