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Perché il manifatturiero non diventa di nuovo grande, di Paul Krugman (New York Times, 31 ottobre 2019)

 

Oct. 31, 2019

Manufacturing Ain’t Great Again. Why?

By Paul Krugman

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When Donald Trump promised to Make America Great Again, his slogan meant different things to different people.

For many supporters it meant restoring the political and social dominance of white people, white men in particular.

For others, however, it meant restoring the kind of economy we had a generation or two ago, which offered lots of manly jobs for manly men: farmers, coal miners, manufacturing workers. So it may matter a lot, politically, that Trump has utterly failed to deliver on that front — and that workers are noticing.

Now, many of Trump’s economic promises were obvious nonsense. The hollowing out of coal country reflected new technologies, like mountaintop removal, which require few workers, plus competition from other energy sources, especially natural gas but increasingly wind and solar power. Coal jobs aren’t coming back, no matter how dirty Trump lets the air get.

And farmers, who export a large fraction of what they grow, should have realized that Trump’s protectionism and the inevitable retaliation from other countries would have a devastating effect on their incomes. Somewhat ironically, Trumponomics has effectively turned rural Americans, who are far more conservative than the nation at large, into wards of the state: This year almost 40 percent of farm income will come from trade assistance, disaster assistance, the farm bill and insurance indemnities.

However, Trump’s promise to bring back manufacturing wasn’t, on the face of it, completely absurd. America runs a large trade deficit in manufactured goods; surging imports did play a significant role in displacing industrial jobs after 2000. So it wasn’t crazy to imagine that protectionism would bring some of those jobs back, even if it made America as a whole poorer.

Furthermore, while the overall U.S. economy did very well during Barack Obama’s second term, there was a 2015-16 dip in manufacturing — what The Times’s Neil Irwin has called a mini-recession. This dip had nothing to do with Obama’s policies; it was mainly about a slump in energy investment caused by a global plunge in oil prices. Still, it probably contributed to Trump’s win. And again, it didn’t seem impossible that Trump could provide some boost to the manufacturing heartland.

Instead, however, we’re experiencing another mini-recession. Over the past year, manufacturing employment has fallen significantly in Wisconsin, Michigan and Pennsylvania — precisely the states Trump unexpectedly won by tiny margins in 2016, putting him over the top.

So why has Trump failed to make manufacturing great again? There are, I’d argue, multiple reasons.

First, while Trump’s enthusiastic embrace of protectionism — “trade wars are good, and easy to win” — is a break with generations of U.S. policy, his domestic economic agenda has been pure, orthodox Republican voodoo. That is, it was all based on the belief that cutting taxes on rich people and corporations would have a magical effect on the economy.

But the magic failed, as it always does. The Trump administration repeatedly promised that the 2017 tax cut would produce a huge boom, with long-term growth above 3 percent; nothing like that is happening.

And to the extent that we are seeing growth, it’s being driven by consumer spending. Business investment, which the tax cut was supposed to promote — and which is a key source of demand for U.S. manufacturers — is actually falling.

What’s holding back investment? Many analysts blame Trump’s trade war. His tariffs have the direct effect of disrupting global supply chains on which U.S. producers have come to depend. What’s probably even more important, however, is the uncertainty created by Trump’s erratic actions, which gives both businesses that depend on imports and businesses that compete with imports a strong incentive to put any plans they might have for expansion on hold.

I’d add that Trump’s trade war isn’t the only source of destructive uncertainty. He’s a promoter of crony capitalism across the board, constantly threatening to punish businesses he sees as political enemies while rewarding businesses that do him political or personal favors. So even businesses that aren’t much affected by his trade actions have to wonder whether they’re going to get Christmas presents or a lump of coal, which has to discourage them from making investments that might be devalued by a presidential tweet.

Finally, in many cases Trump’s tariffs on China haven’t benefited U.S. producers; instead, they’ve just shifted the source of imports to other countries, like Vietnam.

Could Trump have been more successful at boosting manufacturing? Well, things might look very different if he had actually followed through on his campaign promises to make big investments in infrastructure, which would have created a lot of sales for U.S. manufacturing.

As it is, however, Trump is presiding over an economy that, despite low unemployment, doesn’t feel like a boom to most Americans. And he has utterly failed in his politically crucial promise to make manufacturing in key swing states great again.

 

Perché il manifatturiero non diventa di nuovo grande,

di Paul Krugman

 

Quando Donald Trump promise di “rendere l’America di nuovo grande”, il suo slogan significava cose diverse in ragione della diversità delle persone.

Per molti sostenitori significava ripristinare il dominio sociale degli individui bianchi, maschi in particolare.

Per altri, tuttavia, significava ripristinare il tipo di economia che avevamo una o due generazioni orsono, che offriva una gran quantità di posti di lavoro maschili per uomini veri: agricoltori, minatori, lavoratori delle manifatture. Dunque, politicamente può avere molta importanza che Trump abbia completamente fallito, su quel fronte, nel portare a compimento quell’obbiettivo – e che i lavoratori se ne stiano accorgendo.

Ora, molte delle promesse economiche di Trump erano evidentemente prive di senso. Lo svuotamento delle regioni del carbone era un riflesso delle nuove tecnologie, come la rimozione delle cime dei monti, che richiedono pochi lavoratori, in aggiunta alla competizione di altre fonti naturali, particolarmente il gas naturale ma sempre di più l’energia eolica e solare. I posti di lavoro nel carbone non stanno tornando indietro, indipendentemente da quanto Trump fa diventare sporca l’aria.

E gli agricoltori, che esportano una quota elevata di quello che coltivano, dovrebbero aver compreso che il protezionismo di Trump e le inevitabili ritorsioni da parte degli altri paesi avrebbero avuto un effetto devastante sui loro redditi. In un certo senso ironicamente, l’economia di Trump ha effettivamente trasformato gli americani di campagna, che in generale sono assai più conservatori dell’intera nazione, in coloro che sono sotto tutela dello Stato: quest’anno quasi il 40 per cento del reddito dell’agricoltura verrà dalla assistenza commerciale, dalla assistenza per le calamità, dalla legge agricola e dalle indennità assicurative.

Ciononostante, la promessa di Trump di riportare in auge il manifatturiero, in apparenza, non era completamente assurda. L’America gestisce un ampio deficit commerciale nei prodotti manifatturieri; la crescita delle importazioni ha giocato un ruolo significativo nel delocalizzare posti di lavoro industriali dopo il 2000. Dunque, non era folle immaginare che il protezionismo avrebbe riportato indietro alcuni di quei posti di lavoro, anche se avrebbe reso l’America nel suo complesso più povera.

Inoltre, mentre l’economia statunitense si comportò in generale molto bene durante il secondo mandato di Barack Obama, ci fu una flessione nel 2015-2016 nel settore manifatturiero – quella che Neil Irwin del Times ha definito una mini-recessione. La flessione non aveva niente a che fare con le politiche di Obama: essa riguardò principalmente un calo negli investimenti energetici provocato da un crollo dei prezzi del petrolio. Comunque, essa probabilmente contribuì alla vittoria di Trump. Per di più, non sembrava impossibile che Trump potesse fornire qualche incoraggiamento al cuore manifatturiero del paese.

Tuttavia, stiamo invece facendo esperienza di un’altra mini-recessione. Nello scorso anno l’occupazione manifatturiera è caduta in modo significativo nel Wisconsin, nel Michigan e in Pennsylvania – esattamente gli Stati nei quali Trump inaspettatamente vinse di misura nel 2016, che lo collocarono in cima alla graduatoria.

Perché, dunque, Trump non è riuscito a rendere il manifatturiero nuovamente grande? Direi che ci sono varie ragioni.

La prima: mentre l’abbraccio entusiastico da parte di Trump del protezionismo – “le guerre commerciali sono positive e facili da vincere” – è una rottura con generazioni della politica statunitense, la sua agenda economica nazionale è stata un puro ortodosso vudù repubblicano. Ovvero, essa si è basata sulla fiducia che il taglio delle tasse sulle persone ricche e sulle società avrebbe avuto un effetto magico sull’economia.

Ma la magia non c’è stata, come succede sempre. L’Amministrazione Trump aveva promesso che il taglio delle tasse del 2017 avrebbe prodotto una enorme espansione, con una crescita nel lungo termine superiore al 3 per cento; non sta accadendo niente del genere.

E nella misura in cui stiamo assistendo ad una crescita, essa viene guidata dalla spesa dei consumatori. Gli investimenti delle imprese, che il taglio delle tasse si supponeva promuovesse – e che sono una fonte fondamentale della domanda per le manifatture americane – stanno in realtà calando.

Cosa sta trattenendo gli investimenti? Molti analisti danno la colpa alla guerra commerciale di Trump. Le sue tariffe hanno l’effetto diretto di disarticolare le catene globali dell’offerta dalle quali i produttori statunitensi sono arrivati a dipendere. Quello che probabilmente è ancora più importante, tuttavia, è l’incertezza creata dalle iniziative inaffidabili di Trump, che danno, sia alle imprese che dipendono dalle importazioni che alle imprese in competizione con le importazioni, un forte incentivo a mettere da parte i progetti che potevano avere per l’espansione.

Aggiungerei che la guerra commerciale di Trump non è l’unica fonte di incertezza distruttiva. Egli è un promotore a tutto campo del capitalismo clientelare, che minaccia di punire le imprese che considera suoi nemici politici mentre premia quelle che gli fanno favori politici o personali. Dunque, persino le imprese che non sono molti influenzate dalle sue iniziative commerciali devono chiedersi se sono destinate ad avere i regali di Natale oppure pezzi di carbone, la qual cosa le scoraggia dal fare investimenti che potrebbero essere svalutati da un tweet presidenziale.

Infine, in molti casi le tariffe di Trump sulla Cina non hanno provocato vantaggi ai produttori statunitensi; piuttosto, hanno solo spostato la fonte delle importazioni verso altri paesi, come il Vietnam.

Poteva Trump aver avuto maggiore successo nell’incoraggiare il settore manifatturiero? Ebbene, le cose potrebbero apparire molte diverse se egli avesse effettivamente seguito le sue promesse elettorali per fare grandi investimenti nelle infrastrutture, la qual cosa avrebbe provocato una grande quantità di vendite nel settore manifatturiero statunitense.

Tuttavia, per come vanno le cose, Trump sta governando su un’economia che, nonostante la bassa disoccupazione, non dà la sensazione di una forte espansione alla maggioranza degli americani. Ed egli ha fatto completo fallimento nella sua promessa politicamente cruciale di far tornare il settore manifatturiero di nuovo grande nei fondamentali Stati elettoralmente oscillanti.

 

 

 

 

 

 

 

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