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Perché Trump è un uomo delle tariffe? Di Paul Krugman (New York Times, 5 dicembre 2019)

 

Dec. 5, 2019

Why Is Trump a Tariff Man?

By Paul Krugman

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Almost exactly one year has passed since Donald Trump declared, “I am a Tariff Man.” Uncharacteristically, he was telling the truth.

At this point I’ve lost count of how many times markets have rallied in the belief that Trump was winding down his trade war, only to face announcements that a much-anticipated deal wasn’t happening or that tariffs were being slapped on a new set of products or countries. Over the past week it happened again: Markets bet on an outbreak of trade peace between the U.S. and China, only to get body slammed by Trump’s declaration that there might be no deal before the election and by his new tariffs on Brazil and Argentina.

So Trump really is a Tariff Man. But why? After all, the results of his trade war have been consistently bad, both economically and politically.

I’ll offer an answer shortly. First, however, let’s talk about what the Trump trade war has actually accomplished.

A peculiar aspect of the Trump economy is that while overall growth has been solid, the areas of weakness have come precisely in those things Trump tried to stimulate.

Remember, Trump’s only major legislative accomplishment was a huge tax cut for corporations that was supposed to lead to a surge in investment. Instead, corporations pocketed the money, and business investment has been falling.

At the same time, his trade war was supposed to shrink the trade deficit and revive U.S. manufacturing. But the trade deficit has widened, and manufacturing output is shrinking.

The truth is that even economists who opposed Trump’s tax cuts and tariffs are surprised by how badly they’re working out. The most commonly given explanation for these bad results is that Trumpian tariff policy is creating a lot of uncertainty, which is giving businesses a strong incentive to postpone any plans they might have for building new factories and adding jobs.

It’s important to realize that Trumpian protectionism wasn’t a response to a groundswell of public opinion. As best as I can tell from the endless series of interviews with white guys in diners — who are, we all know, the only Americans who matter — these voters are driven more by animosity toward immigrants and the sense that snooty liberals look down on them than by trade policy.

And public opinion seems to have become far less protectionist even as Trump has raised tariffs, with the percentage of Americans saying that free trade agreements are a good thing as high as it’s ever been.

So Trump’s trade war is losing, not gaining, support. And one recent analysis finds that it was a factor hurting Republicans in the 2018 midterm elections, accounting for a significant number of lost congressional seats.

Nevertheless, Trump persists. Why?

One answer is that Trump has long had a fixation on the idea that tariffs are the answer to America’s problems, and he’s not the kind of man who reconsiders his prejudices in the light of evidence. But there’s also something else: U.S. trade law offers Trump more freedom of action — more ability to do whatever he wants — than any other policy area.

The basic story is that long ago — in fact, in the aftermath of the disastrous Smoot-Hawley tariff of 1930 — Congress deliberately limited its own role in trade policy. Instead, it gave the president the power to negotiate trade deals with other countries, which would then face up-or-down votes without amendments.

It was always clear, however, that this system needed some flexibility to respond to events. So the executive branch was given the power to impose temporary tariffs under certain conditions: import surges, threats to national security, unfair practices by foreign governments. The idea was that nonpartisan experts would determine whether and when these conditions existed, and the president would then decide whether to act.

This system worked well for many years. It turned out, however, to be extremely vulnerable to someone like Trump, for whom everything is partisan and expertise is a four-letter word. Trump’s tariff justifications have often been self-evidently absurd — seriously, who imagines that imports of Canadian steel threaten U.S. national security? But there’s no obvious way to stop him from imposing tariffs whenever he feels like it.

And there’s also no obvious way to stop his officials from granting individual businesses tariff exemptions, supposedly based on economic criteria but in fact as a reward for political support. Tariff policy isn’t the only arena in which Trump can practice crony capitalism — federal contracting is looking increasingly scandalous — but tariffs are especially ripe for exploitation.

So that’s why Trump is a Tariff Man: Tariffs let him exercise unconstrained power, rewarding his friends and punishing his enemies. Anyone imagining that he’s going to change his ways and start behaving responsibly is living in a fantasy world.

 

Perchè Trump è un uomo delle tariffe?

Di Paul Krugman

 

È passato quasi esattamente un anno da quando Donald Trump dichiarò: “Io sono l’Uomo delle Tariffe”. Diversamente dal solito, stava dicendo la verità.

A questo punto, abbiamo perso il conto di quante volte i mercati hanno avuto rialzi nella convinzione che Trump stesse esaurendo la sua guerra commerciale, solo per ritrovarsi con annunci che il tanto atteso accordo non stava avvenendo o che le tariffe venivano schiaffate su una nuova serie di prodotti o di paesi. Nello scorso fine settimana è successo un’altra volta: i mercati avevano scommesso su uno scoppio della pace commerciale tra Stati Uniti e Cina, per essre poi atterrati dalla dichiarazione di Trump che non ci poteva essere alcun accordo prima delle elezioni e dalle sue nuove tariffe sul Brasile e sull’Argentina.

Dunque, Trump è davvero un Uomo delle Tariffe. Ma perché? Dopo tutto, i risultati della sua guerra commerciale sono stati costantemente negativi, sia economicamente che politicamente.

Offrirò una risposta in breve, Prima, tuttavia, consentitemi di parlare di cosa la guerra commerciale di Trump ha effettivamente realizzato.

Un aspetto peculiare dell’economia di Trump è che, mentre la crescita complessiva è stata solida, le aree di debolezza sono precisamente intervenute in quei settori che Trump ha cercato di stimolare.

Si ricordi, l’unica importante realizzazione legislativa di Trump è stato un vasto taglio delle tasse per le società che si ipotizzava portasse ad una crescita degli investimenti. Invece, le società hanno impacchettato i soldi e gli investimenti di impresa sono venuti diminuendo.

Nello stesso tempo, si ipotizzava che la sua guerra commerciale avrebbe ristretto il deficit commerciale e rivitalizzato le manifatture degli Stati Uniti. Ma il deficit commerciale si è allargato e la produzione manifatturiera si è ristretta.

La verità è che persino gli economisti che si erano opposti ai tagli delle tasse e alle tariffe di Trump sono sorpresi da quanto esse abbiano finito per funzionare malamente. La spiegazione più frequentemente fornita per questi risultati negativi è che la politica tariffaria di Trump sta creando molta incertezza, la qual cosa sta dando alle imprese un forte incentivo a postporre ogni programma che potevano avere per costruire nuovi stabilimenti e aumentare i posti di lavoro.

È importante comprendere che il protezionismo trumpiano non è stato una risposta a ondate della pubblica opinione. Il meglio che posso dire dalle serie infinite di interviste con individui di pelle bianca nelle trattorie – che sono, come sappiamo tutti, gli unici americani che contano – è che quegli elettori sono più guidati dalla animosità verso gli immigranti e dalla sensazione che i progressisti altezzosi li guardino dall’alto in basso, anziché dalla politica commerciale.

E l’opinione pubblica, persino quando Trump ha alzato le tariffe, sembra essere diventata molto meno protezionista, con la percentuale elevata come non era mai stata di americani che dicono che gli accordi del libero commercio sono una cosa positiva.

Dunque, la guerra commerciale di Trump sta perdendo sostegno, anziché guadagnarlo. Ed una analisi recente scopre che essa è stata un fattore che ha danneggiato i repubblicani nelle elezioni di medio termine del 2018, corrispondendo ad un numero significativo di seggi congressuali perduti.

Cionostante, Trump insiste. Perchè?

Una spiegazione è che Trump ha avuto da lungo tempo una fissazione sull’idea che le tariffe siano la risposta ai problemi dell’America, ed egli non è il genere di individuo che riconsidera i suoi pregiudizi alla luce delle prove. Ma c’è anche qualcosaltro: la legge commerciale statunitense offre a Trump maggiore libertà d’azione – maggiore possibilità di fare ciò che vuole – di ogni altra area della politica.

La storia fondamentale è che molto tempo fa – nei fatti, all’indomani della disastrosa tariffa Smoot-Hawley del 1930 – il Congresso volontariamente limitò il suo stesso ruolo nella politica commerciale. Esso consegnò, invece, al Presidente il potere di negoziare accordi commerciali con altri paesi, che allora andavano incontro a voti di consenso o di dissenso senza emendamenti.

Era chiaro, tuttavia, che questo sistema aveva bisogno di una qualche flessibilità per rispondere agli eventi. Così al ramo esecutivo venne dato il potere di imporre tariffe temporanee sotto determinate condizioni: brusche crescite delle importazioni, minacce alla sicurezza nazionale, pratiche scorrette da parte dei governi stranieri. L’idea era che esperti indipendenti avrebbero determinato se e quando esistevano queste condizioni e il Presidente avrebbe poi deciso se agire.

Il sistema funzionò bene per molti anni. Tuttavia, si è scoperto che era estremamente vulnerabile a soggetti come Trump, per il quale tutto è di parte e la competenza è una parola di quattro lettere [1].  Le giustificazioni alle tariffe di Trump sono sempre state in sé assurde – sul serio, chi si immagina che le importazioni dell’acciaio canadese minaccino la sicurezza nazionale degli Stati Uniti? Ma non c’è alcun modo evidente per impedirgli di imporre tariffe ogni qualvolta gli aggradi.

Né c’è alcun modo pacifico per impedire ai suoi dirigenti di garantire alle imprese singole esenzioni dalle tariffe, che si suppongono basate su criteri economici ma sono di fatto ricompense per il sostegno politico. La politica delle tariffe non è l’unico settore nel quale Trump può praticare il capitalismo clientelare – i contratti federali appaiono sempre più scandalosi – ma le tariffe sono un settore particolarmente adatto agli abusi.

Quella è dunque la ragione per la quale Trump è l’Uomo delle Tariffe: le tariffe gli consentono di esercitare un potere incondizionato, premiando i suoi amici e punendo i suoi nemici. Chiunque si immagini che possa cambiare i suoi metodi e cominciare a comportarsi responsabilmente vive in un mondo fantastico.

 

 

 

 

 

 

 

[1] Forse “fuck”, ovvero vaffa …?

 

 

 

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