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La frattura in arrivo della tecnologia globale, di Dani Rodrik (da Project Syndicate, 8 settembre 2020)

 

Sep 8, 2020

The Coming Global Technology Fracture

DANI RODRIK

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CAMBRIDGE – The international trade regime we now have, expressed in the rules of the World Trade Organization and other agreements, is not of this world. It was designed for a world of cars, steel, and textiles, not one of data, software, and artificial intelligence. Already under severe pressure from China’s rise and the backlash against hyper-globalization, it is utterly inadequate to face the three main challenges these new technologies pose.

First, there is geopolitics and national security. Digital technologies allow foreign powers to hack industrial networks, conduct cyber-espionage, and manipulate social media. Russia has been accused of interfering in elections in the United States and other Western countries through fake news sites and the manipulation of social media. The US government has cracked down on the Chinese giant Huawei because of fears that the company’s links to the Chinese government make its telecoms equipment a security threat.

Second, there are concerns about individual privacy. Internet platforms are able to collect huge amounts of data on what people do online and off, and some countries have stricter rules than others to regulate what they can do with it. The European Union, for example, has enacted fines for companies that fail to protect the EU residents’ data.

Third, there is economics. New technologies give a competitive edge to large companies that can accumulate enormous global market power. Economies of scale and scope and network effects produce winner-take-all outcomes, and mercantilist policies and other government practices can result in some firms having what looks like an unfair advantage. For example, state surveillance has allowed Chinese firms to accumulate huge amounts of data, which in turn has enabled them to corner the global facial recognition market.

A common response to these challenges is to call for greater international coordination and global rules. Transnational regulatory cooperation and anti-trust policies could produce new standards and enforcement mechanisms. Even where a truly global approach is not possible – because authoritarian and democratic countries have deep disagreements about privacy, for example – it is still possible for democracies to cooperate among themselves and develop joint rules.

The benefits of common rules are clear. In their absence, practices such as data localization, local cloud requirements, and discrimination in favor of national champions create economic inefficiencies insofar as they segment national markets. They reduce the gains from trade and prevent companies from reaping the benefits of scale. And governments face the constant threat that their regulations will be undermined by companies operating from jurisdictions with laxer rules.

But in a world where countries have different preferences, global rules – even when they are feasible – are inefficient in a broader sense. Any global order must balance the gains from trade (maximized when regulations are harmonized) against the gains from regulatory diversity (maximized when each national government is entirely free to do what it wants). If hyper-globalization has already proved brittle, it is in part because policymakers prioritized the gains from trade over the benefits of regulatory diversity. This mistake should not be repeated with new technologies.

In fact, the principles that should guide our thinking on new technologies are no different from those for traditional domains. Countries may devise their own regulatory standards and define their own national security requirements. They may do what is required to defend these standards and their national security, including through trade and investment restrictions. But they have no right to internationalize their standards and try to impose their regulations on other countries.

Consider how these principles would apply to Huawei. The US government has prevented Huawei from acquiring American companies, restricted its operations in the US, launched legal proceedings against its senior management, pressured foreign governments not to work with it, and, most recently, banned US companies from selling chips to Huawei’s supply chain anywhere in the world.

There is little evidence that Huawei has engaged in spying on behalf of the Chinese government. But that does not mean that it will not do so in the future. Western technical experts who have examined Huawei’s code have been unable to rule out the possibility. The opacity of corporate practices in China could well obscure Huawei’s links to the Chinese government.

Under these circumstances, there is a plausible national security argument for the US – or any other country – to restrict Huawei’s operations within its own borders. Other countries, including China, are not in a position to second-guess this decision.

The export ban on US companies, however, is harder to justify on national security grounds than the ban on Huawei’s US-based operations. If Huawei’s operations in third countries pose a security risk to those countries, their governments are in the best position to assess the risks and decide whether a shutdown is appropriate.

 

 

La frattura in arrivo della tecnologia globale,

di Dani Rodrik

 

CAMBRIDGE – Il regime commerciale internazionale che abbiamo oggi, come espresso dalle regole della Organizzazione Mondiale del Commercio e da altri accordi, non è per questo mondo. È stato concepito per un mondo di automobili, di acciaio e di prodotti tessili, non per un mondo di dati, di software e di intelligenza artificiale. Già sotto la grave pressione della crescita della Cina e dei contraccolpi alla iperglobalizzazione, esso è completamente inadeguato a fronteggiare le tre principali sfide che pongono le nuove tecnologie.

Anzitutto, c’è la geopolitica e la sicurezza nazionale. Le tecnologie digitali consentono a potenze straniere di attaccare le reti industriali, di effettuare lo spionaggio informatico e di manipolare i social media. La Russia è stata accusata di interferire nelle elezioni negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali attraverso siti di false notizie e la manipolazione dei social media. Il Governo degli Stati Uniti ha dato un giro di vite al gigante cinese Huawei per i timori che le connessioni della società con il Governo cinese rendano le sue attrezzature telecomunicative una minaccia per la sicurezza.

In secondo luogo, ci sono preoccupazioni per la privacy personale. Le piattaforme di internet sono capaci di raccogliere enormi quantità di dati su cosa fanno le persone connesse o no, e alcuni paesi hanno regole per regolare cosa possano o non possano fare. L’Unione Europea, ad esempio, ha deliberato sanzioni per le società che non proteggono i dati dei residenti nell’Unione Europea.

In terzo luogo, c’è l’economia. Le nuove tecnologie danno un vantaggio competitivo alle grandi società che accumulano un potere enorme sul mercato globale. Le economie di scala e gli effetti dela portata e della rete producono risultati del tipo ‘il-vincitore-prende-tutto”, e le politiche mercantilistiche nonché altre pratiche governative possono risolversi per alcune imprese in quello che somiglia ad un vantaggio ingiusto. Ad esempio, la sorveglianza dello Stato ha permesso alle imprese cinesi di accumulare vaste quantità di dati, il che a sua volta le ha messe nelle condizioni di monopolizzare il mercato globale del riconoscimento facciale.

Una risposta diffusa a queste sfide è la richiesta di una maggiore coordinamento internazionale e di regole globali. La cooperazione regolamentare transnazionale potrebbe generare nuovi standard e meccanismi di esecuzione. Anche dove un vero approccio globale non sia possibile – ad esempio, perché i paesi autoritari e quelli democratici hanno profondi disaccordi sulla privacy – è sempre possibile per le democrazie cooperare tra di loro e sviluppare regole congiunte.

I benefici delle regole comuni sono chiari. In loro assenza, pratiche come la localizzazione dei dati, i requisiti dei cloud [1] locali e la discriminazione a favore dei protagonisti nazionali creano inefficienze economiche sino a segmentare i mercati nazionali. Esse riducono i vantaggi dal commercio e impediscono alle società di raccogliere i benefici di scala. E i Governi sono dinanzi alla minaccia costante che i loro regolamenti siano messi a repentaglio da società che operano da giurisdizioni con regole più permissive.

Ma in un mondo nel quale i paesi hanno diverse preferenze, le regole globali – anche quando sono fattibili – sono inefficaci in un senso più generale. Ogni ordine globale deve bilanciare i vantaggi dal commercio (massimizzati quando i regolamenti sono armonizzati) con i vantaggi derivanti da diversità regolamentari (massimizzati quando ciascun Governo nazionale è interamente libero di fare ciò che vuole). Se l’iperglobalizzazione si è già dimostrata fragile, in parte è dipeso dal fatto che le autorità hanno dato priorità ai vantaggi derivanti dal commercio rispetto a quelli derivanti dalle diversità regolamentari. Questo errore non dovrebbe essere ripetuto con le nuove tecnologie.

Di fatto, i principi che dovrebbero guidare le nostra riflessione sulle nuove tecnologie non sono diversi da quelli nei settori tradizionali. I paesi possono pianificare i loro standard regolamentari e definire i loro requisiti di sicurezza nazionale. Essi possono fare quello che è richiesto per difendere questi standard e la loro sicurezza nazionale, compresi i mezzi delle restrizioni commerciali e degli investimenti. Ma non hanno diritto di internazionalizzare i loro standard e di cercare di imporre i loro regolamenti ad altri paesi.

Si consideri come questi principi si applicherebbero al caso di Huawei. Il Governo statunitense ha impedito che Huawei acquistasse società americane, ha ristretto le sue operazioni negli Stati Uniti, avviato procedure legali contro la sua alta dirigenza, fatto pressioni sui governi stranieri affinché non lavorassero con tale società e, più di recente, impedito alle società statunitensi di vendere, dappertutto nel mondo, circuiti elettronici alle catene dell’offerta di  Huawei.

Ci sono poche prove che Huawei si sia impegnata in attività di spionaggio a vantaggio del Governo cinese. Ma questo non significa che non potrà farlo in futuro. Gli esperti tecnici occidentali che hanno esaminato il codice di Huawei sono stati incapaci d escludere la possibilità. La opacità delle pratiche in Cina potrebbe facilmente oscurare i collegamenti di Huawei con il Governo cinese.

In queste circostanze, c’è un argomento plausibile di sicurezza nazionale perché gli Stati Uniti – o qualche altro paese – restringano le operazioni di Huawei entro i propri confini. Altri paesi, inclusa la Cina, non sono nella posizione di giudicare questa decisione.

I divieti alle esportazioni sulle società statunitensi rispetto alle proibizioni delle operazioni di Huawei localizzate negli Stati Uniti, tuttavia, sono più difficili da giudicare sulla base della sicurezza nazionale. Se le operazioni di Huawei in paesi terzi costituiscono un pericolo per la sicurezza dei quei paesi, i loro Governi sono nella posizione migliore per valutare quei rischi e decidere se un chiusura sia appropriata.

 

 

 

 

 

 

[1] Cloud: “l’insieme delle risorse hardware o software presente in server remoti e distribuito in rete, contenente i dati e i programmi di un utente … Si tratta di aree di parecchi Gigabyte dove archiviare i propri file. Senza necessità di usare chiavette e hard disk portatili … La struttura è frutto dell’opera dell’architetto giapponese Sou Fujimoto e rappresenta proprio una nuvola, una metafora vivente delle polimorfiche applicazioni del cloud come tecnologia.” Treccani.

 

 

 

 

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