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Cosa è in gioco? Un breve scritto sulle elezioni negli Stati Uniti Di Branko Milanovic (dal blog di Milanovic, 19 ottobre 2020)

 

Monday, October 19, 2020

What’s at stake? A short text on US elections

Branko Milanovic 

 

zz 899[This is a short, less than 700 words, piece that “Globe and Mail” asked me to write about the forthcoming US election. They got what they apparently did not expect and wanted me to revise the text substantially. I am always happy to accept all factual and English-language corrections, as well as different turns of phrase etc. I am even accepting deletions of some parts of my texts (as in the case of my books translated in China). But I do not accept changes in content. So I post the original text here.]

 

What are the stakes in the forthcoming US presidential election? I would put them in one word: “normalcy”. But as I write that word, I feel very uneasy. For an East European of my generation it brings back the bad memories of the 1968 Czechoslovak “normalization” when the Soviet Union and (what would be called today) its “coalition partners” invaded Czechoslovakia to snuff out the Prague Spring, and bring back a bad government.

And this is the second reason for the unease.  The United States prior to Trump could hardly be described as having been in a desirable state of affairs. Not only that: it is that very “normalcy”  that brought Trump to power in the first place. It is useful to refresh one’s memories. Under George W Bush, the  US created endless wars that destabilized the Middle East and killed, according to some estimates, half a million  people. Under the same president, it also produced the biggest economic crisis since the Great Depression. And then under the next president it bailed out those responsible for the crisis, sowed chaos in Libya, and ignored the decimation  of the American middle class.

So, what was “normal” then? But, it could be argued, there are differences—even leaving aside the extraordinary irresponsible and outright callous response of the Trump Administration to the covid-19 epidemic which it largely ignored, and when it did not ignore, contributed to the death of almost quarter a million of Americans. The first difference is that the departure of Trump will put an end to the ceaseless daily fights with journalists, politicians, actors, private individuals, TV producers, and practically everybody who crosses paths with his administration. The new administration will stop the unconscionable attempt to pit different groups of Americans against each other in order to stay in power. It will end an openly racist behavior from the top. It will no longer relish the idea of using alligators to stop illegal immigrants from crossing the US border.

In foreign affairs, it will reduce tensons with China. Trump has exacerbated them and there is no doubt that they will remain.  But his behavior that appears to indicate that he sees covid-19 as a China-orchestrated ploy to oust him from power is extraordinary dangerous. The US relations with China will not go back to what they were before Trump, but at least the danger of two nuclear powers starting a war would be lessened.

But what will “normalcy” bring in “positive” terms–not only what the Biden administration will “not” do? One cannot be  very optimistic. Not only because of Biden’s half-a-century lack-luster record, but because of a narrative that the liberal establishment, which now includes both centrist Democrats and many Republicans,  has become comfortable with. It is a narrative where everything prior to Trump was excellent, and then fell into pieces. That narrative is not only wrong (for the reasons I mentioned above) but would lead to inaction. The United States needs major changes in its distribution of wealth, elitist education system, dysfunctional health care, plutocratic-ruled political system, crumbling infrastructure, declining middle class, unleashed monopolies. Who is going to make all these changes? A new Roosevelt is often invoked. Does Biden fit the role? One should also not ignore that many of Roosevelt’s achievement became entrenched only because of inter-class collaboration that developed with the war effort. There is nothing similar to that now–and hopefully it will not be a war that would bring it forth.

So, after reflection, it is not “normalcy” that one hopes for from the likely new administration but major policy changes, the greatest (albeit in the opposite direction) since Reagan’s 1980 election.  America has often been lucky and surprised the world by its uncommon ability to pull out of seemingly impossible situations. Was not Truman thought a light-weight? Kennedy inexperienced? Roosevelt a scion of the upper classes? The question is, can  Biden surprise the world—and himself?

 

 

Cosa è in gioco? Un breve scritto sulle elezioni negli Stati Uniti

Di Branko Milanovic

 

[Questo è un breve pezzo, meno di 700 parole, che “Globe and Mail” [1] mi aveva chiesto di scrivere sulle imminenti elezioni negli Stati Uniti. Pare che abbiano ricevuto qualcosa che non si aspettavano e volevano che rivedessi sostanzialmente il testo. Io sono sempre felice di accettare correzioni relative ai fatti e alla lingua inglese, compresi i diversi giri delle frasi e cose simili. Accetto persino eliminazioni di alcune parti dei miei testi (come nel caso dei miei libri tradotti in Cina). Ma non accetto cambiamenti nei contenuti. Dunque pubblico qua il testo originale]

 

Quali sono le poste in gioco nelle imminenti elezioni presidenziali statunitensi? Le indicherei in una parola: “normalità”. Ma mentre scrivo quella parola, mi sento molto a disagio. Per un europeo orientale della mia generazione essa riporta ai brutti ricordi della “normalizzazione” cecoslovacca del 1968 quando l’Unione Sovietica e (come verrebbero chiamati oggi) i suoi “soci della coalizione” invasero la Cecoslovacchia per soffocare la Primavera di Praga e restaurare un pessimo Governo.

E poi c’è la seconda ragione del disagio. Gli Stati Uniti prima di Trump difficilmente potevano essere descritti come se fossero in una condizione desiderabile. Né si tratta solo di quello: il punto è che proprio la “normalità” portò in primo luogo Trump al potere. È utile rinfrescare i nostri ricordi. Sotto George W. Bush, gli Stati Uniti generarono guerre infinite che destabilizzarono il Medio Oriente e uccisero, secondo alcune stime, mezzo milione di persone. Sotto lo stesso Presidente, produssero anche la più grande crisi economica dalla Grande Depressione. E poi, con il Presidente successivo, misero in salvo coloro che erano i responsabili della crisi, seminarono il caos in Libia ed ignorarono la decimazione della classe media americana.

Dunque, cosa c’era di “normale” allora? Ma si potrebbe sostenere che ci sono differenze – persino mettendo da parte la straordinariamente irresponsabile e del tutto brutale risposta della Amministrazione Trump all’epidemia del Covid-19 che essa ha ampiamente ignorato e, quando non l’ha ignorata, ha contribuito a provocare la morte di quasi un quarto di milione di americani. La prima differenza è che l’uscita di scena di Trump porrà un termine alle incessanti battaglie quotidiane con i giornalisti, i politici, gli attori, le persone singole, i produttori televisivi e praticamente chiunque attraversi la strada alla sua Amministrazione. La nuova Amministrazione fermerà lo spregiudicato tentativo di scavare un solco degli uni contro gli altri tra differenti gruppi di americani per restare al potere. Porrà fine ad una condotta apertamente razzista dal vertice. Non provocherà più entusiasmo l’idea di usare gli alligatori per impedire agli emigranti illegali di attraversare i confini degli Stati Uniti.

In politica estera, essa ridurrà le tensioni con la Cina. Trump le ha esacerbate e non c’è dubbio che resteranno. Ma la sua condotta, che sembra indicare che consideri il Covid-19 come un complotto orchestrato dalla Cina per rimuoverlo dal potere, è estremamente pericolosa. Le relazioni con la Cina non torneranno a quello che erano prima di Trump, ma almeno il pericolo di due potenze nucleari che iniziano una guerra sarebbe attenuato.

Ma quale “normalità” in termini “positivi” l’Amministrazione Biden, e non solo per quello che “non” farà? Non si può essere molto ottimisti. Non solo per le prestazioni scialbe di mezzo secolo di Biden, ma a causa di una narrazione con la quale il gruppo dirigente liberale, che adesso include sia i democratici centristi che molti repubblicani, si è trovato a suo agio. È un racconto secondo il quale ogni cosa prima di Trump era eccellente, e poi è andata in frantumi. Questo racconto non è solo sbagliato (per le ragioni che ho ricordato sopra) ma porterebbe all’inazione. Gli Stati Uniti hanno bisogno di importanti cambiamenti nella distribuzione della ricchezza, in un sistema della istruzione di elite, in una assistenza sanitaria che non funziona, in una sistema politico governato dalla plutocrazia, in infrastrutture fatiscenti, in una classe media in declino, in monopoli scatenati. Cosa si farà con tutto questo? Viene spesso invocato un nuovo Roosevelt. È adatto Biden a quel ruolo? Non si dovrebbe neanche ignorare che molte realizzazioni di Roosevelt si consolidarono solo per la collaborazione interclassista che si sviluppò con lo sforzo bellico. Oggi non c’è niente di simile – e si spera che non sarà una guerra a provocarlo in seguito.

Dunque, dopo una riflessione, non è la “normalità” che si spera derivi dalla nuova Amministrazione, ma importanti cambiamenti politici, i più grandi (sebbene in una direzione opposta) dal momento della elezione di Reagan nel 1980. L’America è stata spesso fortunata ed ha sorpreso il mondo per la sua capacità non comune di trarsi fuori da situazioni apparentemente impossibili. Non erano leggeri i pensieri di Truman? Non era privo di esperienza Kennedy? Roosevelt non era un rampollo delle classi superiori? La domanda è, potrà Biden sorprendere il mondo – e se stesso?

 

 

 

 

 

 

[1] Il secondo giornale per diffusione del Canada.

 

 

 

 

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