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Come non farsi prendere dal panico sull’inflazione, di Paul Krugman (New York Times, 22 marzo 2021)

 

March 22, 2021

How Not to Panic About Inflation

By Paul Krugman

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Do you remember the great inflation scare of 2010-2011? It’s an episode worth revisiting, because there’s a good chance that we’ll see a replay over the next year or so.

After the 2008 financial crisis plunged America into a deep recession, both the new Obama administration and the Federal Reserve tried to stimulate the economy, spending hundreds of billions on a variety of programs while buying trillions in bonds. There is now consensus among economists that these efforts were helpful, but it’s also widely believed that they were inadequate (as some of us strenuously argued at the time).

On the right, however, it’s an article of faith that activist government is always bad, even in a crisis. So there were many dire warnings that these efforts to rescue the economy would cause runaway inflation. By mid-2010 there was a palpable sense of frustration among some conservatives that the predicted inflation had failed to materialize.

Then came a few months when inflation seemed to be rising after all. Consumer price inflation reached almost 4 percent; wholesale inflation went into double digits; the average price of commodities like oil and soybeans rose almost 40 percent in a year. Soon Republicans were haranguing Ben Bernanke, the Fed chairman, suggesting that his efforts might “debase the currency.”

But the Fed stayed its course, arguing correctly that rising prices were a temporary blip, not a harbinger of ’70s-style stagflation. Inflation soon subsided, and it has stayed low ever since.

Now here we go again. The $1.9 trillion American Rescue Plan will, without question, deliver a lot of economic stimulus. Just about everyone, from private forecasters to the Fed itself, expects an economic boom, with the U.S. economy growing at rates not seen since the 1980s. There will almost surely be a rise in inflation, too, possibly well above the Fed’s target rate of 2 percent a year.

And rising inflation will, in turn, lead once again to talk about a return to stagflation. Indeed, that talk has already started.

So here’s how to keep your cool when the inflation headlines get heated.

The key thing to understand is that there are really two kinds of inflation.

The prices of some goods, like oil and soybeans, fluctuate all the time, changing day by day or even minute by minute in response to changes in supply and demand. Inflation in these goods is easy come, easy go; prices may soar quickly when demand is high or supply is tight, but they can plunge just as quickly when market conditions change.

Many other prices, however — including the prices of labor, that is, wages and salaries — change much less frequently. Most workers’ wage rates are adjusted just once a year.

And stagflation, it turns out, mainly involves these “sticky” prices.

Imagine an economy in which everyone expects inflation to be high for the foreseeable future (Americans of a certain age don’t have to imagine this; for a while, we lived in that economy). In such an economy, a company setting its prices for the next year will do so taking into account the likelihood that everyone else’s prices — the prices charged by competitors, the costs of raw materials, the wages offered by rival employers — will be going up over time.

Reflecting this expectation, companies will mark prices up relative to what they would have been if they didn’t expect future inflation — and by so doing, will feed the very inflation they fear. In other words, once expectations of sustained inflation are embedded in the economy, inflation becomes self-perpetuating — and bringing it down can be extremely difficult. That’s what makes stagflation — inflation despite high unemployment — possible.

The point, however, is that short-term fluctuations in volatile prices tell us little about whether stagflation is becoming a risk. That’s why Fed policy generally ignores the headline inflation rate and instead focuses on a measure that excludes food and energy prices.

So what’s going to happen in the months ahead? We’ll probably see a number of transitory price increases, not just because the economy is booming, but also because the lingering effects of the pandemic have produced some unusual disruptions — for example, a global shortage of shipping containers.

The question will be whether these price increases are a 2010-2011-type blip or something more dangerous. Smart observers will look past the headlines to measures of underlying inflation — not just the Fed’s standard “core” measure but things like the Atlanta Fed’s sticky price index as well. Anecdotal evidence, otherwise known as “talking to people,” will also be important: Are businesses actually starting to set prices and wages based on the expectation of high future inflation?

If they aren’t — and my bet is that they won’t be — then the lesson of 2010-2011 will remain: Don’t panic.

Now as then there are people eager to denounce government attempts to help the economy. And it’s certainly possible that the American Rescue Plan will turn out, in retrospect, to have been too much of a good thing. But don’t let the usual suspects seize on a few months’ inflation data as evidence of looming disaster.

 

Come non farsi prendere dal panico sull’inflazione,

di Paul Krugman

 

Ricordate il grande spavento per l’inflazione nel 2010-2011? È un episodio sul quale è il caso di ritornare, perché ci sono buone possibilità che si ripeta nel corso del prossimo anno o giù di lì.

Dopo che la crisi finanziaria del 2008 aveva precipitato l’America in una recessione profonda, sia la nuova Amministrazione Obama che la Federal Reserve cercarono di stimolare l’economia, spendendo centinaia di miliardi su vari programmi mentre si acquistavano migliaia di miliardi di obbligazioni. Adesso c’è consenso tra gli economisti che si trattò di sforzi utili, ma è anche ampiamente riconosciuto che furono inadeguati (come alcuni di noi insistentemente sostennero a quel tempo).

A destra, tuttavia, che l’iniziativa del Governo sia sempre negativa, persino in una crisi, è un articolo di fede. Ci furono dunque molti ammonimenti terribili che quegli sforzi per salvare l’economia avrebbero provocato una inflazione fuori controllo. Sulla metà del 2010 c’era tra alcuni conservatori una sensazione di frustrazione quasi palpabile perché la prevista inflazione non si era materializzata.

Poi vennero alcuni mesi nei quali in fin dei conti sembrò che l’inflazione stesse crescendo. I prezzi al consumo raggiunsero il 4 per cento; l’inflazione nel commercio all’ingrosso divenne a doppia cifra; il prezzo medio delle materie prime come il petrolio e la soia crebbe di almeno il 40 per cento in un anno. Subito i repubblicani aprostrofarono Ben Bernanke, il Presidente della Fed, suggerendo che i suoi sforzi potevano “svalutare il dollaro”.

Ma la Fed mantenne la sua rotta, sostenendo correttamente che i prezzi in ascesa erano un inconveniente temporaneo, non il presagio di una stagflazione del tipo degli anni ’70. L’inflazione presto recedette, ed è rimasta bassa sin da allora.

Adesso ci risiamo. Il Piano Americano di Salvataggio da 1.900 miliardi di dollari, senza dubbio, realizza un grande stimolo all’economia. Quasi tutti, dagli analisti privati alla Fed stessa, si aspettano un boom economico, con l’economia degli Stati Uniti in crescita a tassi che non si vedevano dagli anni ’80. Ci sarà quasi sicuramente anche una crescita dell’inflazione, probabilmente ben al di sopra dell’obbiettivo della Fed di un tasso del 2 per cento all’anno.

E l’inflazione in crescita, a sua volta, porterà nuovamente a far parlare di un ritorno alla stagflazione. Infatti, quei discorsi sono già partiti.

Ecco dunque come mantenervi calmi quando l’inflazione complessiva [1] comincia a riscaldarsi.

Il punto chiave è comprendere che in realtà ci sono due tipi di inflazione.

I prezzi di alcuni beni, come il petrolio e la soia, fluttuano in continuazione, cambiando giorno per giorno o persino minuto per minuto in risposta ai mutamenti nell’offerta e nella domanda. Per questi beni l’inflazione è facile a venite e facile ad andarsene; i prezzi possono schizzare in alto rapidamente quando la domanda è alta o l’offerta è ristretta, ma possono crollare altrettanto rapidamente quando cambiano le condizioni del mercato.

Molti alti prezzi, tuttavia – inclusi i prezzi del lavoro ovvero gli stipendi ed i salari – cambiano molto meno frequentemente. La maggioranza dei salari di base dei lavoratori sono corretti solo una volta all’anno.

E si dà il fatto che la stagflazione principalmente riguardi questi prezzi “vischiosi”.

Si immagini una economia nella quale tutti si aspettano che l’inflazione sia alta nel prevedibile futuro (gli americani di una certa età non hanno bisogno di immaginarselo; per un certo periodo hanno vissuto in un’economia del genere). In una tale eeconomia, una impresa che definisce i suoi prezzi per l’anno successivo lo farà mettendo nel conto la probabilità che i prezzi di tutti gli altri – i prezzi caricati dai competitori, i costi dei materiali grezzi, i salari offerti dai datori di lavoro rivali – salgano nel corso del tempo.

Di riflesso a queste aspettative, le imprese alzeranno i prezzi in rapporto a quello che avrebbero fatto se non si fossero aspettati una inflazione futura – e così facendo, alimenteranno proprio l’inflazione che temono. In altre parole, una volta che le aspettative di una inflazione duratura siano state inglobate nell’economia, l’inflazione si autoperpetua – e portarla in basso può essere estremamente difficile. Questo è ciò che rende la stagflazione – una inflazione nonostante l’elevata disoccupazione – possibile.

Il punto, tuttavia, è che le fluttuazioni a breve termine dei prezzi volatili ci dicono poco sul fatto che la stagflazione stia diventando un rischio. Questo è il motivo per il quale in generale la Fed ignora il tasso della ‘inflazione complessiva’ e piuttosto si concentra su una misura che escluda i prezzi degli alimenti e dell’energia [2].

Dunque, cosa è destinato ad accadere nei prossimi mesi? Probabilmente vedremo crescere un certo numero di prezzi transitori, non solo perché l’economia sarà in forte espansione, ma anche perché gli effetti persistenti della pandemia hanno prodotto insoliti turbamenti – ad esempio, una scarsità globale dei container via nave.

La domanda sarà se questi incrementi dei prezzi saranno un inconveniente del tipo anni 2010-2011 o qualcosa di più pericoloso. Gli osservatori intelligenti sorvoleranno i dati complessivi per le misure della inflazione sottostante – non solo la tradizionale misura “sostanziale” della Fed, ma anche cose come l’indice dei prezzi ‘vischiosi’ della Fed di Atlanta. Saranno anche importanti le prove aneddotiche, altrimenti note come “quello che si dice alla gente”: le imprese stanno effettivamente cominciando a fissare prezzi e salari basandosi sulle aspettative di una inflazione futura?

Se non lo fanno – e la mia scommessa è che non lo faranno – allora resterà valida la lezione del 2010-2011: non farsi prendere dal panico.

Ora come allora ci sono persone ansiose di denunciare i tentativi del Governo di aiutare l’economia. Ed è certamente possibile che si scoprirà che il Piano Americano di Salvataggio, retrospettivamente, sia stato una buona cosa ma eccessiva. Ma non consentiamo che i soliti noti si approfittino dei dati sull’inflazione di pochi mesi come prove di un incombente disastro

 

 

 

 

 

 

[1] Copio e incollo dalle “Note sulla traduzione” una breve spiegazione del termine “inflazione complessiva (Headline Inflation)” e della opposta “inflazione sostanziale (Core Inflation)”, che sono l’oggetto del presente articolo:

“Di solito in italiano si traduce la prima espressione con “inflazione complessiva o totale”, mentre la seconda si traduce con “inflazione sottostante o sostanziale”. Normalmente in Italia ed in Europa si adopera solo la prima, e dunque la si chiama semplicemente “inflazione”. La differenza tra le due consiste nella inclusione nella prima, e nella esclusione nella seconda, degli andamenti dei prezzi di alcune materie prime alimentari e del petrolio. Questi prezzi sono frequentemente soggetti a mutamenti del tutto temporanei, e questa è la ragione per la quale la Federal Reserve – diversamente dalla Banca Centrale Europea – si riferisce normalmente al dato della “core inflation”, considerandolo più attendibile.

Nel corso degli anni 2010-2011 Krugman ha ripetutamente polemizzato con l’utilizzo della “headline inflation” da parte di vari soggetti che, su quella base, prevedevano una forte tendenza al rialzo dei prezzi. In realtà quel rialzo non c’è stato, perché, per l’appunto, le variazioni di alcune materie prime e dei prezzi del petrolio sono state, come previsto, piuttosto effimere e sono regredite. Su questo tema, tra l’altro, ci fu una polemica piuttosto aspra con Lorenzo Bini Smaghi, allora membro del consiglio della BCE.

In quale senso si adopera il termine “headline”? Come è noto è il termine con il quale si  indicano i “titoli” dei giornali o i “sommari delle principali notizie” dei telegiornali; forse, dunque, il senso etimologico è quello di una misurazione che è “comprensiva” di tutti gli elementi singoli; mentre “core” include solo gli elementi più stabili e perciò sostanziali.”

[2] Ovvero sulla “core inflation” o “inflazione sostanziale”.

 

 

 

 

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