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Cosa stanno pensando i nuovi falchi dell’inflazione? Di J. Bradford DeLong (da Project Syndicate, 4 marzo 2021)

 

Mar 4, 2021

What Are the New Inflation Hawks Thinking?

BRADFORD DELONG

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BERKELEY – Back in 1992, Lawrence H. Summers, then the chief economist at the World Bank, and I warned that pushing the US Federal Reserve’s annual inflation target down from 4% to 2% risked causing big problems. Not only was the 4% target not producing any discontent, but a 2% target would increase the risk of the Fed’s interest-rate policy hitting the zero lower bound.

Our objections went unheeded. Fed Chair Alan Greenspan reduced the inflation target to 2%, and we have been paying for it ever since. I have long thought that many of our economic problems would go away if we could rejigger asset markets in such a way as to make a 5% federal funds rate consistent with full employment in the late stage of a business cycle.

There are three ways to accomplish this. One is to raise the inflation target back to the 4% range that prevailed during Fed Chair Paul Volcker’s tenure. Another is to boost demand so that a late-cycle federal funds rate of 5% would still be consistent with strong investment. And a third option is to flood the market with safe Treasury assets so that the safe-asset price premium on Treasuries falls, thereby allowing the late-cycle federal funds rate to increase.

When US President Joe Biden won the 2020 election and proposed his $1.9 trillion relief, rescue, support, and stimulus package, I welcomed it. If it passes, a substantial chunk of the money will go to people who could really use it, and the economy will have a better chance of returning rapidly to full employment after a year of plague and lockdowns.

To be sure, it would be better if a much larger share of the American Rescue Plan went to public investment. But unless one could be confident that ten Republican Senators would be open to a public-investment push, one should not allow the perfect to become the enemy of the good. Besides, the package would lend itself to pursuing the third option – flooding the market with safe assets – so what’s not to like?

Apparently, there is enough not to like that many commentators whom I respect and admire have come out in opposition to the $1.9 trillion plan. I am not referring to professional Republican economists who always put partisan considerations before evidence, but to widely respected voices such as Summers and former IMF Chief Economist Olivier Blanchard. In a recent, widely circulated commentary for The Washington Post, Summers contends that:

“… while there are enormous uncertainties, there is a chance that macroeconomic stimulus on a scale closer to World War II levels than normal recession levels will set off inflationary pressures of a kind we have not seen in a generation, with consequences for the value of the dollar and financial stability. This will be manageable if monetary and fiscal policy can be rapidly adjusted to address the problem. But given the commitments the Fed has made, administration officials’ dismissal of even the possibility of inflation, and the difficulties in mobilizing congressional support for tax increases or spending cuts, there is the risk of inflation expectations rising sharply. Stimulus measures of the magnitude contemplated are steps into the unknown.”

Summers and Blanchard fear that, by de-anchoring long-term inflation expectations, the amount of stimulus being proposed could create inflationary pressures that the Fed will be unable to contain without causing a recession. They are not alone. Harold James and Markus Brunnermeier of Princeton University and Jean-Pierre Landau of Sciences Po note that a “new and dangerous worldwide inflationary consensus” is emerging.

Moreover, the American Enterprise Institute’s Michael R. Strain argues that Fed interest-rate increases should be avoided because “confidence in the Fed’s ability to fine-tune the economy is misplaced. When the unemployment rate goes up a little, it tends to go up a lot.”

What are we to make of these warnings? From what I can see, they all reflect a fear that the Fed might have to hike the federal funds rate and return it to the range we used to consider normal. I say “might” because, as the aforementioned critics acknowledge, any inflationary pressures generated by the $1.9 trillion package remain merely a possibility, not a certainty. It is equally likely that the new spending will end up filling holes in aggregate demand.

In any case, if the past 15 years of debates about “secular stagnation” and “global savings gluts” have taught us anything, it is that we should want to create the conditions in which a higher federal funds rate is warranted. The only explanation I can see for the new inflation hawks’ opposition to the size of the American Rescue Plan is that they do not trust that the Fed will raise interest rates when it becomes necessary to do so.

As such, they seem to want to keep the warranted federal funds rate at the zero lower bound indefinitely, out of a fear that it will at some point exceed the market rate. But that makes no sense, particularly as an argument against additional support for struggling US households.

 

Cosa stanno pensando i nuovi falchi dell’inflazione?

Di J. Bradford DeLong

 

BEEKELEY – Nel passato 1992 Lawerence H. Summers, allora capo economista alla Banca Mondiale, e il sottoscritto ammonivano che spingere in basso l’obbiettivo annuale di inflazione della Federal Reserve dal 4 al 2% rischiava di provocare grandi problemi. Non solo l’obbiettivo del 4% non provocava alcuna insoddisfazione, ma un obbiettivo del 2% avrebbe aumentato il rischio che la politica del tasso di interesse della Fed sbattesse contro il limite inferiore dello zero.

Le nostre obiezioni rimasero inascoltate. Il Presidente della Fed Alan Greenspan ridusse l’obbiettivo di inflazione al 2%, e da allora ne subiamo le conseguenze. Ho pensato a lungo che molti dei nostri problemi economici scomparirebbero se potessimo riconvertire i mercati degli asset in modo tale da rendere un tasso dei finanziamenti federali [1] al 5% coerente con la piena occupazione nell’ultima fase di un ciclo economico.

Ci sarebbero tre modi per farlo. Uno sarebbe rialzare l’obbiettivo di inflazione al livello del 4% che prevaleva durante il mandato del Presidente della Fed Paul Volcker. Un altro sarebbe sostenere la domanda in modo tale che un tasso dei finanziamenti federali della fase finale del ciclo del 5% sia coerente con forti investimenti. E una terza opzione sarebbe inondare il mercato con asset sicuri del Tesoro in modo tale che il sovrapprezzo degli asset sicuri del Tesoro diminuisca, consentendo di conseguenza al tasso dei finanziamenti federali   della fase finale del ciclo di crescere.

Quando il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden vinse le elezioni del 2020 e propose il suo pacchetto di aiuti, di salvataggi, di sostegno e di stimolo di 1.900 miliardi di dollari, io lo salutai con favore. Se esso venisse approvato, un bel mucchio di soldi andrà a persone che potrebbero realmente utilizzarli, e l’economia avrà una migliore possibilità di tornare rapidamente alla piena  occupazione dopo un anno di epidemia e di lockdown.

Certamente, sarebbe meglio se una quota molto più ampia del Programma Americano di Salvataggio andasse all’investimento pubblico. Ma, a meno che non si possa essere fiduciosi che dieci senatori repubblicani si aprano ad una spinta degli investimenti pubblici, non si dovrebbe consentire che il perfetto divenga nemico del buono. Inoltre, il pacchetto di per sé si presterebbe al perseguimento della terza opzione – inondare il mercato di asset sicuri – dunque perché non essere soddisfatti?

In apparenza, ci sono abbastanza cose sgradevoli al punto che molti commentatori che io rispetto ed ammiro si sono dichiarati all’opposizione del programma di 1.900 miliadi di dollari. Non mi sto riferendo agli economisti di professione repubblicani che antemettono sempre considerazioni faziose alle prove, ma a voci ampiamente rispettate come quella di Summers e del passato capo economista del FMI Olivier Blanchard. In un recente commento per il Washington Post che è ampiamente circolato, Summers obietta che:

“… nel mentre ci sono enormi incertezze, c’è una possibilità che lo stimolo macroeconomico, di una dimensione più vicina ai livelli della Seconda Guerra Mondiale che non ai normali livelli delle recessioni, scatenerà spinte inflazionistiche di un genere che non abbiamo conosciuto da una generazione, con conseguenze per il valore del dollaro e per la stabilità finanziaria. Questo sarebbe gestibile se la politica monetaria e delle finanze pubbliche potessero essere rapidamente corrette per affrontare il problema. Ma considerati gli impegni che la Fed ha assunto, il rigetto da parte dei dirigenti della Amministrazione persino della possibilità dell’inflazione, e le difficoltà nel mobilitare un sostegno del Congresso per aumenti delle tasse e per tagli alla spesa, c’è il rischio che le aspettative inflazionistiche salgano rapidamente. Misure di stimolo della dimensione prospettata sono un passo verso l’ignoto.”  

Summers e Blanchard temono che, disancorandosi le aspettative di inflazione a lungo termine, la quantità di stimolo che viene proposta possa determinare spinte inflazionistiche che la Fed sarebbe incapace di contenere senza provocare una recessione. E non sono i soli. Harold James e Markus Brunnermeier della Università di  Princeton e Jean-Pierre Landau di Sciences Po osservano che starebbe emergendo un “nuovo e dannoso consenso inflazionistico di dimensioni mondiali”.

Inoltre, Michael R. Strain dell’American Enterprise Institute sostiene che gli aumenti del tasso di interesse della Fed dovrebbero essere evitati giacché “la fiducia nella capacità della Fed di regolare l’economia è male indirizzata. Quando un tasso di disoccupazione sale un po’, esso tende ad andare molto in alto”.

Cosa dobbiamo fare di questi ammonimenti? Per quello che posso comprendere, essi riflettono tutti un timore che la Fed potrebbe avere a innalzare il tasso dei finanziamenti federali e tornare al livello che eravamo abituati a considerare normale. Dico “potrebbe” perché, come riconoscono i sopra citati critici, ogni spinta inflazionistica generata dal pacchetto di 1.900 miliardi di dollari resta semplicemente una possibilità non una certezza. È altrettanto probabile che la nuova spesa finirà col riempire i buchi della domanda aggregata.

In ogni caso, se i passati 15 anni di dibattiti sulla “stagnazione secolare” e sugli “eccessi dei risparmi globali” ci hanno insegnato qualcosa, noi dovremmo voler creare le condizioni nelle quali sia assicurato un tasso più elevato sui finanziamenti federali. La sola spiegazione che posso vedere per l’opposizione dei nuovi falchi dell’inflazione alle dimensioni del Programma Americano di Salvataggio è che essi non hanno fiducia che la Fed alzerà i tassi di interesse quando diverrà necessario farlo.

In quel modo, sembra che essi vogliano mantenere indefinitamente il tasso appropriato dei finanziamenti federali al livello inferiore dello zero, nel timore che ad un certo punto esso ecceda il tasso di mercato. Ma ciò non ha senso, in particolare come argomento contro un sostegno aggiuntivo alle famiglie statunitensi in difficoltà.

 

 

 

 

 

[1] In questo articolo compare di frequente l’espressione “Federal funds rate”. Indica il tasso d’interesse a brevissimo termine (overnight) utilizzato nei prestiti tra banche statunitensi. È determinato dal mercato, ma condizionato dal tasso di riferimento indicato dal FOMC, ovvero dall’organismo della Fed che presiede alla regolazione del tasso. Un rialzo rende più costosi i prestiti e, di conseguenza, tende a rallentare la circolazione della liquidità.

Quindi, le parole “federal funds” – che non possiamo tradurre altrimenti che con “finanziamenti federali” – non indicano i finanziamenti dello Stato Federale, ma i finanziamenti in atto nel territorio federale, risultanti dagli scambi tra le banche americane. Tali scambi vengono definiti “overnight” – ovvero “a brevissimo termine” – semplicemente perché i prestiti vengono rimborsati nel giro di poche ore (“Overnight” letteralmente significa “nottetempo”) e servono ordinariamente ad allineare le riserve in possesso delle banche americane alla regola generale di una quota obbligatoria di riserve sulle loro attività creditizie (fissata nel 10%).

In conclusione, occorre sempre tenere a mente che i tassi di interesse possono essere molto vari, e sono decisi dal mercato. Il modo in cui la banca centrale stabilisce un ‘tasso di riferimento’ – che evidentemente condiziona tutti gli altri tassi ‘privati’ – è quello di fissarlo appunto ad un riferimento che sia il più universale possibile; tecnicamente questo viene individuato nella normale attività di scambi monetari delle banche.

 

 

 

 

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