Articoli sul NYT

La pandemia e la città del futuro, di Paul Krugman (New York Times, 15 marzo 2021)

March 15, 2021

The Pandemic and the Future City

By Paul Krugman

zz 898

In 1957 Isaac Asimov published “The Naked Sun,” a science-fiction novel about a society in which people live on isolated estates, their needs provided by robots and they interact only by video. The plot hinges on the way this lack of face-to-face contact stunts and warps their personalities.

After a year in which those of us who could worked from home — albeit served by less fortunate humans rather than robots — that sounds about right. But how will we live once the pandemic subsides?

Of course, nobody really knows. But maybe our speculation can be informed by some historical parallels and models.

First, it seems safe to predict that we won’t fully return to the way we used to live and work.

A year of isolation has, in effect, provided remote work with a classic case of infant industry protection, a concept usually associated with international trade policy that was first systematically laid out by none other than Alexander Hamilton.

Hamilton asserted that there were many industries that could flourish in the young United States but couldn’t get off the ground in the face of imports. Given a break from competition, for example through temporary tariffs, these industries could acquire enough experience and technological sophistication to become competitive.

The infant industry argument has always been tricky as a basis for policy — how do you know when it’s valid? And do you trust governments to make that determination? But the pandemic, by temporarily making our former work habits impossible, has clearly made us much better at exploiting the possibilities of remote work, and some of what we used to do — long commutes so we can sit in cubicles, constant flying to meetings of dubious value — won’t be coming back.

If history is any guide, however, much of our old way of working and living will, in fact, return.

Here’s a parallel: what the internet did and didn’t do to the way we read books.

A decade ago many observers believed that both physical books and the bookstores that sold them were on the verge of extinction. And some of what they predicted came to pass: e-readers took a significant share of the market, and major bookstore chains took a significant financial hit.

But e-books’ popularity plateaued around the middle of the last decade, never coming close to overtaking physical books. And while big chains have suffered, independent bookstores have actually been flourishing.

Why was the reading revolution so limited? The convenience of downloading e-books is obvious. But for many readers this convenience is offset by subtler factors. The experience of reading a physical book is different and, for many, more enjoyable than reading e-ink. And browsing a bookstore is also a different experience from purchasing online. I like to say that online, I can find any book I’m looking for; in fact, I downloaded a copy of “The Naked Sun” a few hours before writing this article. But what I find in a bookstore, especially a well-curated independent store, are books I wasn’t looking for but end up treasuring.

The remote work revolution will probably play out similarly, but on a much vaster scale.

The advantages of remote work — either from home or, possibly, in small offices located far from dense urban areas — are obvious. Both living and work spaces are much cheaper; commutes are short or nonexistent; you no longer need to deal with the expense and discomfort of formal business wear, at least from the waist down.

The advantages of going back to in-person work will, by contrast, be relatively subtle — the payoffs from face-to-face communication, the serendipity that can come from unscheduled interactions, the amenities of urban life.

But these subtle advantages are, in fact, what drive the economies of modern cities — and until Covid-19 struck these advantages were feeding a growing economic divergence between large, highly educated metropolitan areas and the rest of the country. The rise of remote work may dent that trend, but it probably won’t reverse it.

The revival of cities won’t be entirely a pretty process; much of it will probably reflect the preferences of wealthy Americans who want big-city luxuries and glamour. “The main problem with moving to Florida is that you have to live in Florida,” one money manager told Bloomberg. But while cities thrive in part because they cater to the lifestyles of the rich and fatuous — like it or not, their wealth and power do a lot to shape the economy — cities also thrive because a lot of information-sharing and brainstorming takes place over coffee breaks and after-hours beers; Zoom calls aren’t an adequate substitute.

Or as the great Victorian economist Alfred Marshall said of his own era’s technology centers, “The mysteries of the trade become no mysteries; but are as it were in the air.”

So the best bet is that life and work in, say, 2023 will look a lot like life and work in 2019, but a bit less so. We may commute to the office less than we used to; there may well be a glut of urban office space. But most of us won’t be able to stay very far from the madding crowd.

 La pandemia e la città del futuro,

di Paul Krugman

 

Nel 1957 Isaac Asimov pubblicò “Il sole nudo”, un romanzo di fantascienza su una società nella quale le persone vivono in complessi residenziali isolati, ai loro bisogni provvedono robot e interagiscono soltanto tramite video. La trama si incardina sul modo in cui questa assenza di contatto faccia a faccia inibisce e deforma le loro personalità.

Dopo un anno nel quale quelli tra noi che potevano hanno lavorato da casa – sebbene serviti da umani meno fortunati anziché da robot – questo sembra abbastanza giusto. Ma come vivremo una volta che la pandemia passerà?

Naturalmente, nessuno lo sa per davvero. Ma forse le nostre speculazioni possono essere ispirate da alcuni parallelismi e modelli storici.

Il primo: sembra fondato prevedere che non torneremo interamente ai modi nei quali eravamo abituati a vivere e a lavorare.

Un anno di isolamento ha, in effetti, caratterizzato il lavoro remoto come un classico caso di protezione di un’industria nascente, un concetto solitamente associato con la politica del commercio internazionale che venne per primo indagato sistematicamente nientemeno che da Alexander Hamilton [1].

Hamilton sosteneva che esistevano molte industrie che potevano prosperare nei giovani Stati Uniti ma che non potevano decollare a fronte delle importazioni. Sulla base di una interruzione della competizione, ad esempio attraverso tariffe temporanee, queste industrie avrebbero potuto acquisire sufficiente esperienza e sofisticazione tecnologica da diventare competitive.

L’argomento dell’industria nascente era sempre stato una base problematica per la politica – come si sa quando esso è valido? E si può aver fiducia che i Governi prendano tale decisione? Ma la pandemia, rendendo provvisoriamente impossibili le nostre precedenti abitudini lavorative, ci ha chiaramente messo in condizioni migliori per sfruttare le possibilità del lavoro remoto, e qualcosa di quello che eravamo abituati  fare – lunghi pendolarismi al fine di poterci accomodare in stanzine, per scappare in continuazione in incontri di dubbia utilità – non ritornerà.

Tuttavia, se la storia ci insegna qualcosa, molto del nostro vecchio modo di lavorare e di vivere, di fatto, tornerà.

Ecco un confronto con una cosa simile: quello che internet ha provocato e non ha provocato nel modo in cui leggiamo i libri.

Una decina di anni orsono molti osservatori credevano che sia i libri materialmente che le librerie che li vendevano erano sulla soglia dell’estinzione. E un po’ di quello che prevedevano è avvenuto: la lettura informatica si è presa una quota significativa del mercato, e importanti catene di librerie hanno subito un colpo finanziario significativo.

Ma attorno alla metà del decennio passato la popolarità dei libri informatici si è stabilizzata, non avvicinandosi mai a sorpassare i libri fisici. E mentre grandi catene erano in sofferenza, librerie indipendenti in realtà stanno prosperando.

Perché la rivoluzione nella lettura è stata così limitata? La convenienza di scaricare un libro informatico è palese. Ma per molti lettori questa convenienza è bilanciata da fattori più sottili. L’esperienza di leggere un libro fisico è diversa ed è per molti più godibile che la lettura informatica. Ed anche visitare una libreria è una esperienza diversa dall’acquisto online. Direi che online posso trovare ogni libro che sto cercando; in effetti, ho scaricato una copia di “Il sole nudo” poche ore prima di scrivere questo articolo. Ma ciò che trovo in una libreria, particolarmente in una negozio autonomo ben organizzato, sono libri che non stavo cercando ma dei quali ho finito per fare tesoro.

La rivoluzione del lavoro remoto probabilmente funzionerà in modo simile, sebbene su una scala molto più vasta.

I vantaggi del lavoro remoto – sia da casa o, quando è possibile, in piccoli uffici collocati lontano dalle aree urbane densamente abitate – sono evidenti. Gli spazi di vita e di lavoro sono molto più economici; il pendolarismo è breve o inesistente; non c’è più bisogno della spesa e del disagio di indossare abiti inappuntabili, almeno dalla cintola in giù.

Il vantaggio di tornare al lavoro in persona sarà, all’opposto, relativamente impercettibile – gli scambi della comunicazione faccia a faccia, le casuali scoperte che derivano da interazioni non programmate, le amenità della vita urbana.

Ma questi sottili vantaggi sono di fatto, quelli che guidano le economie delle città moderne – e finché il Covid-19 non ha infuriato questi vantaggi alimentavano una divergenza crescente tra le ampie aree metropolitane altamente istruite e il resto del paese. La crescita del lavoro remoto può intaccare quella tendenza, ma probabilmente non la invertirà.

La rinascita delle città non sarà per intero un fenomeno gradevole; in gan parte rifletterà le preferenze degli americani ricchi che vogliono i lussi e il fascino della grande città. Un operatore finanziario ha detto a Bloomberg: “Il principale problema di spostarsi in Florida è che poi bisogna viverci”. Ma mentre le città prosperano in parte perché soddisfano gli stili di vita delle persone ricche e fatue – che piaccia o no, la loro ricchezza e il loro potere in buona misura danno forma all’economia – esse prosperano anche perché molta condivisione delle informazioni e colpi di genio hanno luogo durante le pause per i caffè e le birre fuori dall’orario; le chiamate per videocamera non sono un sostituto adeguato.

Ovvero, come disse il grande economista vittoriano Alfred Marshall  proposito del centri tecnologici della sua epoca: “I misteri del commercio si rivelano non misteriosi; è come se fossero nell’aria”.

Dunque, la scommessa più probabile è che la vita e il lavoro, diciamo, nel 2023 somiglieranno molto alla vita e al lavoro del 2019, ma non del tutto. Faremo meno pendolarismo verso gli uffici di quanto eravamo abituati a fare; ci potrà ben essere una saturazione dello spazio urbano per uffici. Ma la maggioranza di noi non sarà capace di starsene molto lontana dal caos.

 

 

 

 

 

[1] La connessione nle testo inglese è con il Rapporto in Materia di Manifatture che Hamilton consegnò a Filadelfia nel 1791 al Presidente della Camera dei Rappresentanti. Il Rapporto, che Hamilton trasmetteva come Segretario al Tesoro, era una lunga e minuziosa analisi della nascente manifattura americana, corredata di circa 130 note di approfondimento.

 

 

 

 

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"