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Il panico sull’inflazione della settimana è finito, di Paul Krugman (New York Times, 22 giugno 2021)

 

June 21, 2021

The Week Inflation Panic Died

By Paul Krugman

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Remember when everyone was panicking about inflation, warning ominously about 1970s-type stagflation? OK, many people are still saying such things, some because that’s what they always say, some because that’s what they say when there’s a Democratic president, some because they’re extrapolating from the big price increases that took place in the first five months of this year.

But for those paying closer attention to the flow of new information, inflation panic is, you know, so last week.

Seriously, both recent data and recent statements from the Federal Reserve have, well, deflated the case for a sustained outbreak of inflation. For that case has always depended on asserting that the Fed is either intellectually or morally deficient (or both). That is, to panic over inflation, you had to believe either that the Fed’s model of how inflation works is all wrong or that the Fed would lack the political courage to cool off the economy if it were to become dangerously overheated.

Both beliefs have now lost most of whatever credibility they may have had.

Let’s start with the theory of inflation.

Since the 1970s, and especially since a seminal 1975 paper by Robert Gordon, many economists have tried to distinguish between transitory fluctuations in the inflation rate driven by temporary factors and an underlying “core” inflation rate that is much more stable — but also hard to bring down if it gets uncomfortably high. The idea is that policy should largely ignore transitory inflation, which is easy come, easy go, and worry only if core inflation looks as if it’s getting too high (or too low).

Since 2004 the Fed has routinely published an estimate of core inflation that it derives by excluding changes in food and energy prices, which are notoriously volatile, and has used that measure to fend off demands that it tighten monetary policy in the face of inflation it considers temporary — notably in 2010-11, when prices of oil and other commodities were rising and Republicans were accusing the Fed of risking “currency debasement.”

The Fed was, of course, right: Inflation soon subsided. And the distinction between transitory and underlying inflation — a distinction that, judging from my inbox, generates an extraordinary amount of hatred from some Wall Street types — has, in fact, been a huge practical success, helping the Fed to keep calm and carry on in the face of both inflation and deflation scares.

The Fed has been arguing that recent price rises are similarly transitory. True, they’re not coming from food and energy so much as from pandemic-related disruptions that caused surging prices of used cars, lumber and other nontraditional sources of inflation. But the Fed’s view has been that this episode, like the inflation blip of 2010-11, will soon be over.

And it’s now looking as if the Fed was right. Lumber prices have plunged in recent weeks. Prices of industrial metals like copper are coming down. Prices of used cars are still very high, but their surge has stalled and they may have peaked. Core inflation wins again.

What about the alternative inflation story? It goes like this: The Biden administration’s American Rescue Plan has pumped a huge amount of purchasing power into the economy, while affluent households, which built up large savings during the pandemic, are now ready to go on a spending spree. As a result, critics warn, there will be a classic case of too much money chasing too few goods, leading to a big rise not just in volatile prices but in underlying inflation, too.

To buy into this story, however, you have to claim not just that the coming boom will be truly huge — even bigger than most private forecasters expect — but also that the Fed, which is fully capable of reining in a runaway boom, will stand idly by while inflation gets out of hand.

Last week, however, statements from the Fed’s open market committee — the group that sets monetary policy — made such claims less plausible.

Reading such statements is often an exercise in Kremlinology — the Fed didn’t announce any actual policy changes, so it’s all about trying to identify changes in tone that give clues about the future. But Fed watchers considered the new releases hawkish, signaling increased willingness to step on the brakes if the economy really is exceeding its speed limit.

For what it’s worth, I don’t think tapping the brakes will be required. But by suggesting that it will act if necessary, the Fed has largely undercut whatever case there was for worrying about a return to the 1970s.

So what was all that about? Monetary doomsayers have been wrong again and again since the early 1980s, when Milton Friedman kept predicting an inflation resurgence that never arrived. Why the eagerness to party like it’s 1979?

To be fair, government support for the economy is much stronger now than it was during the Obama years, so it makes more sense to worry about inflation this time around. But the vehemence of the inflation rhetoric has been wildly disproportionate to the actual risks — and those risks now seem even smaller than they did a few weeks ago.

 

Il panico sull’inflazione della settimana è finito,

di Paul Krugman

 

Vi ricordate quando tutti erano nel panico per l’inflazione e mettevano sinistramente in guardia su una iperinflazione del tipo degli anni ’70? È vero, molte persone stanno ancora dicendo cose del genere, alcune perché è quello che dicono sempre, alcune perché è quello che dicono ogni volta che c’è un Presidente democratico, alcune perché lo stanno deducendo dai grandi aumenti dei prezzi che hanno avuto luogo nei primi cinque mesi di quest’anno.

Ma per coloro che prestano una attenzione più ravvicinata al flusso delle nuove notizie, il panico per l’inflazione è proprio come quello della settimana scorsa.

Ebbene, parlando sul serio i dati recenti e i recenti pronunciamenti della Federal Reserve hanno ridimensionato l’ipotesi di una ondata perdurante di inflazione. Giacché quell’ipotesi è sempre dipesa dal giudizio secondo il quale la Fed sarebbe o intellettualmente o moralmente carente (o entrambe). Ovvero, per entrare nel panico per l’inflazione, o si doveva credere che il modello della Fed su come funziona l’inflazione fosse completamente sbagliato, oppure che la Fed mancasse del coraggio politico di raffreddare l’economia se essa stesse per divenire pericolosamente surriscaldata.

Entrambe quelle convinzioni adesso hanno perso la maggior parte della credibilità che potevano avere.

Cominciamo dalla teoria dell’inflazione.

A partire dagli anni ’70, e in particolare dal fondamentale studio di Robert Gordon del 1975 [1], molti economisti hanno cercato di distinguere tra fluttuazioni transitorie nel tasso di inflazione provocate da fattori temporanei e il sottostante tasso di inflazione “sostanziale” che è molto più stabile – ma che è anche difficile  da abbassare se diventa elevato in modo preoccupante. L’idea era che la politica dovrebbe in gran parte ignorare l’inflazione transitoria, che è facile a venire e facile ad andarsene, e preoccuparsi soltanto se l’inflazione sostanziale pare diventare troppo alta (o troppo bassa).

Dal 2004 la Fed ha regolarmente pubblicato una stima dell’inflazione sostanziale che deduce escludendo i mutamenti nel prezzi nei prezzi degli alimenti e dell’energia, che sono notoriamente volatili, ed ha utilizzato quella misurazione per respingere le richieste di una stretta della politica monetaria a fronte di un’inflazione che essa considerò temporanea – particolarmente nel 2010-11, quando i prezzi del petrolio e di altre materie prime stavano crescendo e i repubblicani accusavano la Fed di rischiare la “svalutazione della moneta”.

La Fed aveva, ovviamente, ragione: in breve tempo l’inflazione recedette. E la distinzione tra inflazione transitoria e sottostante – una distinzione che, a giudicare dalla posta che ricevo, provoca una straordinaria quantità di odio da alcuni personaggi di Wall Street – è stata, nei fatti, uno straordinario successo pratico, aiutando la Fed a mantenersi calma e a andare avanti di fronte sia agli spaventi per l’inflazione che per la deflazione.

La Fed ha sostenuto che i recenti aumenti dei prezzi erano similmente transitori. È vero, essi non derivavano dagli alimenti e dall’energia quanto dalle interruzioni connesse con la pandemia che hanno provocato una crescita delle auto usate, del legname e di altre fonti non tradizionali di inflazione. Ma l’opinione della Fed è stata che questi episodi, come il contrattempo dell’inflazione nel 2010-11, sarebbero presto scomparsi.

E adesso si sta osservando che la Fed aveva ragione. I prezzi del legname nelle recenti settimane sono crollati. I prezzi dei metalli industriali come il rame stanno scendendo. I prezzi delle auto usate sono ancora molto alti, ma la loro crescita è in stallo e potrebbero aver raggiunto il picco. L’inflazione sostanziale, ancora una volta, si conferma.

Che dire della spiegazione alternativa dell’inflazione? Essa procede in questo modo: il Piano Americano di Salvataggio ha immesso nell’economia una enorme quantità di potere di acquisto, mentre le famiglie benestanti, che avevano accumulato grandi risparmi durante la pandemia, sono adesso pronte a procedere in una frenesia di spesa. Di conseguenza, ammoniscono i critici, si determinerà la classica situazione di troppo denaro alla ricerca di troppi pochi prodotti, portando ad una grande crescita non solo dei prezzi volatili, ma anche dell’inflazione sottostante.

Per credere ad una storia del genere, tuttavia, si deve credere che non solo l’imminente espansione sarà davvero enorme – persino più grande di quanto si aspettano la maggioranza degli analisti privati – ma anche che la Fed, che ha la piena capacità di tirare i freni in una espansione fuori controllo, resterà inerte mentre l’inflazione sfugge di mano.

Tuttavia, la scorsa settimana i pronunciamenti da parte della “Commissione a mercato aperto[2] della Fed – l’organismo che stabilisce la politica monetaria – hanno reso meno plausibili tali pretese.

Leggere tali pronunciamenti è spesso come un esercizio di ‘cremlinologia’ – la Fed non ha annunciato alcun cambiamento di politica, dunque tutto si risolve nel cercare di identificare i cambiamenti di tono che offrono indizi sul futuro. Ma gli osservatori della Fed hanno considerato le nuove comunicazioni di tipo ‘interventista’ [3], segnalando una accresciuta disponibilità a dare un colpo di freni se l’economia eccedesse il suo limite di velocità.

Per quello che vale, io non credo che dare un colpo di freni sarà necessario. Ma indicando che essa agirà se sarà necessario, la Fed ha ampiamente eroso qualsiasi ipotesi che esisteva per preoccuparsi di una ritorno agli anni ’70.

Dunque, di cosa si è trattato? I profeti di sciagure monetarie hanno avuto torto in continuazione a partire dai primi anni ’80, quando Milton Friedman continuava a prevedere una rinascita dell’inflazione che non arrivò mai. Perché questo fervore come se fosse il 1979 [4]?

Ad esser giusti, il sostegno pubblico all’economia è oggi molto più forte di quello che non fu negli anni di Obama, il che dà questa volta un senso maggiore ai timori di inflazione. Ma la veemenza della retorica dell’inflazione è stata grandemente sproporzionata ai rischi effettivi – e adesso quei rischi sembrano persino più piccoli di quanto sembravano poche settimane fa.

 

 

 

 

 

 

[1] Robert James “Bob” Gordon, nato il 3 settembre 1940,  è un economista americano. È il professore di scienze sociali Stanley G. Harris alla Northwestern University. Gordon è uno dei massimi esperti mondiali di inflazione, disoccupazione e crescita economica a lungo termine. Wikipedia (inglese)

[2] Il Federal Open Market Committee (italiano Comitato federale del mercato aperto, FOMC) è un organismo della Federal Reserve incaricato di sorvegliare le operazioni di mercato aperto negli Stati Uniti e ne è il principale strumento di politica monetaria. Il FOMC regola la politica monetaria specificando l’obiettivo a breve termine e cioè decidendo il federal funds rate, ovvero il livello dei tassi d’interesse negli USA. Sono membri del FOMC di diritto i 7 appartenenti al Board of Governors, il Presidente della Federal Reserve di New York e 4 degli 11 altri Presidenti delle altre Federal Reserve Bank, che sono suddivisi a loro volta in 4 gruppi e su base annuale. I Presidenti non membri partecipano e contribuiscono alle riunioni, ma senza diritto di voto. Wikipedia.

[3] Letteralmente, da “falchi”. Ovvero ‘aggressive’, o meglio, in questo caso, ‘disponibili a intervenire’.

[4] “Eagerness to party” letteralmente significa “frenesia di festeggiare”. Nel caso in questione, mi pare che tale ‘frenesia’ si riferisca ad un ritorno di una clima di aggressivo intervento anti inflazionista come quello che si determinò nel 1979. Che fu l’anno nel quale, a seguito di una seconda crisi petrolifera, si determinò una impennata di inflazione, che condusse negli Stati Uniti alle drastiche politiche deflattive di Paul Volcker, che nell’agosto del 1979 divenne Presidente della Federal Reserve. Il 1979 fu anche l’anno dell’avvento al potere di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan. In un certo senso, il 1979 può essere considerato l’anno di una grande ‘frenata’ antikeynesiana: alti tassi di interesse, riduzione della spesa pubblica e aumento sensibile della disoccupazione.

 

 

 

 

 

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