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L’economia in una nazione che non si basa più sui fatti (New York Times 24 giugno 2021)

 

June 24, 2021

Economics in a Post-Truth Nation

By Paul Krugman

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If a tree falls in a forest but nobody is there to hear it, did it make a sound? If we have a rapidly expanding economy but much of the electorate refuses to acknowledge it, is the country experiencing a boom?

Despite some growing pains, the U.S. economy is clearly on a vaccine-and-stimulus-fueled tear, with just about every measure indicating rapid recovery from the pandemic slump.

Yes, supply bottlenecks have caused some inflation, although recent data seems to validate the view that this inflation is transitory: Lumber prices have fallen sharply, industrial metals have also come down, and used car prices seem to have peaked. Yes, some employers seem to be having trouble hiring enough workers to keep up with surging demand, but this will almost surely be a temporary problem.

Overall, we’re clearly in a much better place economically than we were just a few months ago.

Yet according to the long-running University of Michigan survey of consumers, on average self-identified Republicans assess the economic situation much less positively now than they did before the 2020 elections.

You may be tempted to say that this was only to be expected. After all, almost two-thirds of Republicans believe, completely falsely, that the presidential election was stolen, and around a quarter agree that the world is run by Satan-worshiping pedophiles. Why be surprised to see the post-truth state of mind extend to the economy, too?

But claims about election fraud and the QAnon cult are conspiracy theories, assertions about secret actions by cabals. The state of the economy, by contrast, is right out there in the open. People, you might think, can judge it by their own experience or that of their friends and families.

And just to be clear, the Michigan number I’m referring to is the current economic conditions index rather than the index of consumer expectations. That is, it’s supposed to be about how things are now, not about what people think will happen. So this isn’t a matter of Republicans believing that Bidenomics will destroy prosperity in the future; it’s about them believing, in the teeth of lived experience, that it already has.

But hasn’t partisanship always colored perceptions of the economy? And doesn’t it happen on both sides? Well, yes — but not to this degree.

If you look back at Michigan surveys from a dozen years ago, you don’t see anything like today’s partisan polarization. In June 2009, Democrats and Republicans had similar views about current conditions, although Republicans were more pessimistic about the future.

Nor do the parties behave symmetrically. Democrats did mark down their economic views after the 2016 presidential election, but not that much. The real question about the 2016 election aftermath is why Republican assessments became so much more favorable, even though not much had changed. Indeed, there was no significant break in the economy’s performance, certainly nothing comparable to the current postpandemic boom.

One possibility is that Republicans’ views about the economy are driven by the belief that things are terrible for other people even when they themselves are doing OK. That is, it may be like the right-wing narrative on urban violence. Tucker Carlson and his ilk have been peddling the vision of a nation all “boarded up,” its citizens cowering in fear of riots and crime. People have to know that their own neighborhoods aren’t like that but may imagine that it’s happening somewhere else.

Whatever the explanation, post-truth politics has expanded its domain to the point that it overrides everyday experience. On the right, at any rate, the economy that voters perceive no longer bears much relationship to reality.

What does this say about the politics of economic policy?

A large body of research in political science says that the economy drives elections. Specifically, what seems to have mattered in the past was the rate of income growth in the six months or so before the election.

This was always a troubling result, partly because presidents usually don’t have much influence over short-run economic developments, partly because it suggests that there are no political rewards for good long-term performance. In fact, if you believe standard election models, the optimal political strategy for a president seeking two terms would be to start with a deep recession, so as to make room for rapid growth in the run-up to the next election. (This is more or less what actually happened during Ronald Reagan’s first term, although it wasn’t deliberate.)

Still, things could be worse — and they seem to have gotten worse. We appear to have become a country in which a large chunk of the electorate won’t even judge a president by short-run performance, because those voters’ perceptions of the economy are driven by partisanship unrelated to reality.

OK, maybe I’m being too pessimistic here. Elections are decided at the margins, so good policy may still be rewarded even if, say, a third of America’s voters refuse to believe good news if a Democrat sits in the White House. But I still miss the days when truth mattered.

 

L’economia in una nazione che non si basa più sui fatti,

di Paul Krugman

 

Se un albero casca in una foresta ma non c’è nessuno che lo sente, esso ha provocato un rumore? Se abbiamo un’economia  in rapida espansione ma buona parte dell’elettorato si rifiuta di riconoscerlo, il paese sta facendo esperienza di un boom?

Nonostante alcuni mali in crescita, l’economia statunitense è chiaramente in un periodo di successo alimentato dai vaccini e dalle misure di sostegno, con esattamente ogni metro di misura che indica la rapida ripresa dalla recessione pandemica.

Sì, strozzature nell’offerta hanno provocato un po’ di inflazione, sebbene i dati recenti sembrano convalidare l’opinione per la quale questa inflazione è transitoria: i prezzi del legname sono caduti bruscamente, sono scesi anche quelli dei metalli industriali ed i prezzi delle auto usate sembra abbiano raggiunto il picco. È anche vero che alcuni datori di lavoro sembrano avere difficoltà nell’assumere abbastanza lavoratori per tenere il passo con la domanda in crescita, ma quasi certamente questo sarà un problema temporaneo.

Complessivamente, siamo chiaramente in una condizione economica molto migliore rispetto a dove eravamo soltanto pochi mesi orsono.

Tuttavia secondo il sondaggio di lunga data sui consumatori dell’Università del Michigan, in media coloro che si dichiarano repubblicani giudicano oggi la situazione economica molto meno positivamente di come la giudicavano prima delle elezioni del 2020.

Si potrebbe essere tentati di dire che questo semplicemente c’era da aspettarselo. Dopo tutto, quasi due terzi dei repubblicani credono, in modo del tutto falso, che le elezioni presidenziali siano state rubate, e circa un quarto concorda che il mondo sia gestito da pedofili adoratori di Satana. Perché sorprendersi nel constatare che la mentalità che non si basa più sui fatti si estende anche all’economia?

Ma la pretesa di una frode elettorale e il culto  QAnon sono teorie cospirative, affermazioni su iniziative segrete da parte di congreghe. La condizione dell’economia, all’opposto, è visibile da tutti. Le persone, potreste pensare, possono giudicare sulla base della loro stessa esperienza, o di quella dei loro amici e delle loro famiglie.

E soltanto per chiarezza, il dato del Michigan al quale mi sto riferendo è l’indice sulle attuali condizioni economiche, non l’indice delle aspettative dei consumatori. Ovvero, esso si supponeva riguardasse i fatti per come sono oggi, non quello che la gente pensa su cosa accadrà. Esso dunque non riguarda il convincimento dei repubblicani che la politica economica di Biden distruggerà nel futuro la prosperità; riguarda la loro convinzione, alla faccia dell’esperienza vissuta, di qualcosa che già esiste.

Ma la faziosità non ha sempre influenzato le percezioni sull’economia? E questo non accade per entrambi gli schieramenti? Ebbene sì, ma non in queste dimensioni.

Se risalite nei sondaggi del Michigan sino ad una dozzina di anni fa, non troverete niente di simile alla faziosa polarizzazione odierna. Nel giugno del 2009, i democratici e i repubblicani avevano punti di vista simili sulle condizioni di allora, sebbene i repubblicani fossero più pessimisti sul futuro.

Né due partiti non si sono comportati in modo simmetrico.

I democratici effettivamente abbassarono le loro valutazioni economiche dopo le elezioni presidenziali del 2016, ma non particolarmente. La vera domanda sul periodo successivo alle elezioni del 2016 è perché i giudizi dei repubblicani divennero talmente più favorevoli, anche se non era cambiato molto. In effetti, non ci fu alcuna significativa rottura nelle prestazioni dell’economia, certamente niente di paragonabile all’attuale boom post pandemico.

Una possibilità è che i punti di vista dei repubblicani sull’economia siano guidati dal convincimento che le cose siano terribili per le altre persone, anche se stanno andando bene per loro. Ovvero, può essere qualcosa di simile ai racconti della destra sulla violenza urbana. Tucker Carlson [1] e quelli come lui stanno facendo circolare l’idea di una nazione interamente “barricata”, con i propri cittadini intimiditi dalla paura delle sommosse e del crimine. Le persone devono sapere che i propri vicini non sono niente del genere, ma forse si immaginano che ciò stia avvenendo altrove da qualche parte.

Qualsiasi sia la spiegazione, la politica non più basata sui fatti ha ampliato il suo dominio al punto scavalca l’esperienza quotidiana. In ogni caso, sulla destra l’economia che percepiscono gli elettori non ha più molto a che fare con la realtà.

Cosa tutto questo ci dice sulla politica del governo dell’economia?

Un ampio corpo di ricerche della scienza della politica afferma che l’economia determina i risultati elettorali. In particolare, quello che sembra aver contato nel passato è stato il tasso di crescita economica nei sei mesi, o giù di lì, precedenti le elezioni.

Questo è sempre stato un effetto problematico, in parte perché i Presidenti non hanno molta influenza sugli sviluppi economici a breve termine, in parte perché indicherebbe che non ci sono riconoscimenti politici per le buone prestazioni a lungo termine. Di fatto, se credete ai modelli comuni sulle elezioni, l’ottima strategia politica per un Presidente che si propone due mandati sarebbe partire da una profonda recessione, in modo da far spazio ad una rapida crescita nel periodo precedente alle elezioni (questo è più o meno quello che accadde durante il primo mandato di Ronald Reagan, sebbene non fosse intenzionale).

Eppure, le cose potrebbero essere peggiori – e sembra che stiano andando per il peggio. Pare che stiamo diventando un paese nel quale un’ampia parte dell’elettorato neppure giudica un Presidente per le prestazioni a breve termine, giacché le percezioni di quegli elettori sull’economia sono guidate da una faziosità disconnessa con la realtà.

È vero, forse in questo caso sono troppo pessimista. Le elezioni vengono decise di misura, cosicché la buona politica può ancora essere premiata se, ad esempio, un terzo degli elettori americani rifiuta di credere nelle buone notizie se un democratico siede alla Casa Bianca. Eppure rimpiango ancora i tempi nei quali i fatti contavano.

 

 

 

 

 

[1] Un conduttore televisivo conservatore americano.

 

 

 

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