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Biden contro la congrega di Rip Van Winkle, di Paul Krugman (New York Times, 27 settembre 2021)

 

 

 

 

Sept. 27, 2021

Biden Versus the Rip Van Winkle Caucus

By Paul Krugman

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Political reporting often portrays progressives as impractical and intransigent, unwilling to make the compromises needed to get things done, while centrists are realistic pragmatists. What’s happening in Congress right now, however, is just the opposite.

The Democratic Party’s left wing is advancing sensible, popular policies like negotiating on drug prices and cracking down on wealthy tax cheats, and has shown itself willing to make major compromises to advance President Biden’s agenda. In particular, the $3.5 trillion in spending Biden is asking for over the next decade is much less than progressives originally wanted. The party’s conservative wing, however, seems willing to risk blowing up its own president’s prospects rather than give an inch.

What’s going on? Contrary to legend, many of the balking Democrats don’t come from swing districts; anyway, the Biden economic agenda is popular almost everywhere. For example, its main elements command overwhelming support in West Virginia. Furthermore, does anyone really imagine that the outcome of the midterm elections will depend on whether the eventual package, if there is one, is $3.5 trillion or $1.5 trillion?

We can, of course, invoke the usual suspects: Corporate money and wealthy donors are surely having an impact. But I was struck by something Eric Levitz of New York magazine said in a recent article on this subject, which helped clarify a point I’ve been groping toward. Namely, some Democrats seem to have formed their perceptions about both economics and politics during the Clinton years and haven’t updated their views since.

That is, it makes a lot of sense to see Biden’s problems getting his plans across the finish line as being caused by the Rip Van Winkle caucus, Democrats who checked out intellectually a couple of decades ago and haven’t caught up with America as it now is.

Specifically, some Democrats still seem to believe that they can succeed economically and politically by being Republicans lite. It’s doubtful whether that was ever true. But it’s definitely not true now.

On the economic side, there was a widespread perception in the late 1990s that the harshness of American social policy — our high level of inequality, our lack of a European-style social safety net — was to a large extent vindicated by economic success. When Bill Clinton declared in 1996 that “the era of big government is over,” it looked as if small government was being rewarded with a booming economy. We were surging ahead technologically and outpacing the rest of the advanced world on job creation; it’s hard to grasp now the sense of American triumphalism that pervaded elite opinion circa 2000.

But it was not to last. The technology-led productivity boom that began in the mid-1990s petered out a decade later. And America never did establish a durable technological lead; at this point, to take one visible measure, many European nations have faster and cheaper internet access than we do.

U.S. job creation has also lost its luster: prime-age European adults are as likely to be working as their U.S. counterparts.

Beyond economics, in the 1990s many Democrats believed that they could mollify noncollege white voters through a combination of validating rhetoric — denouncing Sister Souljah, talking tough on crime — and cuts in programs widely perceived to mainly benefit Black people. Clinton really did end Aid to Families With Dependent Children, the program most people meant when they talked about “the bums on welfare,” without providing any real replacement.

But none of it worked. If racial antagonism had been driven by perceptions of inner-city disorder, it should have faded in the face of the spectacular decline in violent crime between the early 1990s and the mid-2010s. It didn’t. If this antagonism reflected the perception that many able-bodied Black men who should have been working weren’t, it should have faded when the problem of prime-age men not working (and the social disruptions that appear to go along with lack of jobs) became as severe in overwhelmingly white rural areas as in inner cities. It didn’t.

Instead, the voting behavior of white working-class voters seems more driven by racial resentment than ever. And such voters can’t be won over by trimming back social spending; they want their racial hostility served raw. Trumpists can give them that; Democrats can’t without effectively becoming Trumpists themselves.

In other words, if there was ever a time when individual Democratic members of Congress could hope to swim against the tide by positioning themselves to the right of their party, that time ended long ago. It doesn’t matter how much they force Biden to scale back his ambitions; it doesn’t matter how many pious statements they make about fiscal responsibility. Republicans will still portray them as socialists who want to defund the police, and the voters they’re trying to pander to will believe it.

So my plea to Democratic “moderates” is, please wake up. We’re not in 1999 anymore, and your political fortunes depend on helping Joe Biden govern effectively.

 

Biden contro la congrega di Rip Van Winkle [1],

di Paul Krugman

 

I resoconta politici spesso ritraggono i progressisti come poco pratici e intransigenti, indisponibili a fare i compromessi necessari per far funzionare le cose, mentre i centristi sarebbero pragmatici realisti. Quello che sta accadendo in questo momento al Congresso, tuttavia, è proprio l’opposto.

La sinistra del Partito Democratico sta promuovendo politiche sensate e popolari come la negoziazione dei prezzi dei fermaci e un giro di vite sugli imbrogli fiscali dei ricchi, e si è dimostrata disponibile a fare importanti compromessi per far avanzare il programma del Presidente Biden. In particolare, i 3.500 miliardi di dollari di spesa che Biden sta chiedendo per il prossimo decennio sono molto meno di quanto originariamente volevano i progressisti. L’ala conservatrice del partito, tuttavia, sembra disposta a rischiare di far saltare le prospettive del suo stesso Presidente piuttosto di concedere un pollice.

Cosa sta succedendo? Diversamente  dalla leggenda, molti dei democratici riluttanti non provengono da distretti elettorali oscillanti; peraltro, l’agenda di Biden è popolare quasi dappertutto. Ad esempio, i suoi aspetti principali suscitano un sostegno schiacciante nella Virginia Occidentale. Per di più, qualcuno può davvero immaginare che il risultato delle elezioni di medio termine dipenderà dal fatto che il pacchetto finale, se ce ne sarà uno, sarà di 3.500 o di 1.500 miliardi di dollari?

Naturalmente, possiamo chiamare in causa i soliti noti: i soldi delle grandi imprese ed i ricchi finanziatori stanno certamene avendo un ruolo. Ma sono stato sorpreso da qualcosa che Eric Levitz del New York Magazine ha scritto in un recente articolo su questo tema, che ha contribuito a chiarire un punto sul quale mi stavo scervellando. Precisamente, alcuni democratici pare si siano formati le loro impressioni sull’economia e sulla politica durante gli anni di Clinton, e da allora non abbiano aggiornato i loro punti i vista.

Cioè, fa un bel po’ di impressione osservare che i problemi di Biden nel portare i suoi piani al traguardo siano provocati da una specie di congrega di Rip Van Winkle, democratici che intellettualmente sono stati messi alla prova un paio di decenni orsono e non si sono messi in pari con l’America come è oggi.

Più precisamente, alcuni democratici sembrano ancora credere di poter avere successo economicamente e politicamente facendo i repubblicani all’acqua di rose. È dubbio che sia mai stato vero. Ma è completamente falso oggi.

Sul versante dell’economia, alla fine degli anni ’90 c’era una percezione generalizzata che l’iniquità della politica sociale americana – il nostro elevato livello di ineguaglianze, la nostra mancanza di reti di sicurezza sociale di tipo europeo – fosse in larga misura risarcita dai successi economici. Quando Bill Clinton dichiarò nel 1996 che “l’epoca dei grandi governi è passata”, sembrava che i Governi con scarsa iniziativa venissero premiati da una economia in forte espansione. Dal punto di vista tecnologico stavamo crescendo bruscamente e distanziando il resto del mondo avanzato nella creazione di posti di lavoro; oggi è difficile afferrare la sensazione di trionfalismo americano che pervase l’opinione delle classi dirigenti attorno al 2000.

Ma non era destinata a durare. Il boom della produttività guidato dalla tecnologia che era cominciato alla metà degli anni ’90, un decennio dopo si era esaurito. E l’America non stabilì mai una guida tecnologica duratura; al giorno d’oggi, per usare un metro di misura visibile, molte nazioni europee hanno un accesso a Internet più veloce e più economico del nostro.

Anche la creazione statunitense di posti di lavoro ha perso il suo lustro: gli adulti europei nella principale età lavorativa è più probabile che lavorino dei loro omologhi statunitensi.

Oltre l’economia, negli anni ’90 molti democratici credevano che avrebbero potuto rabbonire gli elettori bianchi non laureati con una combinazione di sperimentata retorica – denunciando Sister Souljah [2], parlando con severità dei crimini – e tagli ai programmi che erano generalmente percepiti soprattutto a beneficio dei neri. In effetti, fu Clinton a metter fine all’Aiuto alle Famiglie con Figli Dipendenti , il programma a cui la maggioranza delle persone si riferiva quando parlava degli scrocconi della assistenza, senza fornire alcuna reale sostituzione.

Ma niente di tutto questo funzionò. Se l’antagonismo razziale era stato spinto dalle percezioni del disordine nei ghetti, esso doveva svanire a fronte del declino spettacolare dei crimini violenti dai primi anni ’90 al primo decennio del 2000. Ma non fu così. Se questo antagonismo rifletteva la percezione che molti uomini di colore in buona salute che avrebbero dovuto lavorare non lavoravano, esso doveva svanire quando il problema delle persone nella principale età lavorativa che non lavorano (e i turbamenti sociali che sembra vadano di pari passo con la mancanza di posti di lavoro) divennero altrettanto gravi nelle aree rurali a schiacciante prevalenza di bianchi che nei centri cittadini. Ma così non fu.

Sembra invece che il comportamento elettorale degli elettori della classe operaia bianca sia più che mai provocato da pregiudizi razziali. E tali elettori non possono essere conquistati col tornare a tagliare la spesa sociale; loro vogliono che l’ostilità razziale sia servita cruda. I trumpiani possono darglielo; i democratici non possono senza in sostanza diventare essi stessi trumpiani.

In altre parole, se c’è mai stato un tempo nel quale i singoli membri democratici del Congresso potevano sperare di nuotare contro la corrente posizionandosi alla destra del loro partito, quell’epoca è finita molto tempo fa. Non è importante quanto essi costringeranno Biden a retrocedere dalle sua ambizioni; non è importante quante zelanti dichiarazioni faranno in materia di finanze pubbliche.  I repubblicani continueranno a descriverli come socialisti che vogliono togliere i finanziamenti alla polizia, e gli elettori che stanno cercando di assecondare ci crederanno.

Dunque, la mia preghiera ai democratici “moderati” è, per piacere svegliatevi. Non siamo più nel 1999, e le vostre fortune politiche dipendono essenzialmente dall’aiutare Joe Biden a governare.

 

 

 

 

 

[1] Rip van Winkle è un racconto scritto da Washington Irving nel 1819 mentre Irving viveva a Birmingham, in Inghilterra. Fa parte della raccolta di racconti intitolata The Sketch Book of Geoffrey Crayon (Il libro degli schizzi di Geoffrey Crayon) dello stesso autore. Il racconto narra la storia di un uomo che vive in un villaggio ai piedi delle Catskill Mountains che, stanco dei fondati rimproveri della moglie per la sua pigrizia, fugge di casa e finisce con l’incontrare una banda di strani personaggi, tra l’altro dediti all’alcol. Dopo una grande bevuta si addormenta e si sveglia solo vent’anni dopo. Tornato al suo villaggio, non riconosce più niente, neanche sa che nel frattempo la Rivoluzione Americana ha reso il paese indipendente.

[2] Sister Souljah, nata nel Bronx nel 1964, è una attivista, scrittrice, musicista e regista che, oltre ai suoi meriti, acquistò popolarità  per le critiche che le rivolse Bill Clinton per le sue prese do posizione sulle questioni razziali, nel corso della campagna elettorale del 1992. Probabilmente non esitava ad assumere atteggiamenti provocatori, come dimostra un suo commento alle rivolte a Los Angeles del 1992, quando disse: “Se i neri non passa giorno che non ammazzano altri neri, perché non prendersi una settimana per ammazzare i bianchi?”. Pare che quella frase in particolare fu oggetto della critiche di Bill Clinton, che se la prese anche con la decisione di Jesse Jackson di partecipare alla sua Coalizione arcobaleno.

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