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La rivolta del lavoratore americano, di Paul Krugman (New York Times, 14 ottobre 2021)

 

Oct. 14, 2021

The Revolt of the American Worker

By Paul Krugman

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All happy economies are alike; each unhappy economy is unhappy in its own way.

In the aftermath of the 2008 financial crisis, the economy’s problems were all about inadequate demand. The housing boom had gone bust; consumers weren’t spending enough to fill the gap; the Obama stimulus, designed to boost demand, was too small and short-lived.

In 2021, by contrast, many of our problems seem to be about inadequate supply. Goods can’t reach consumers because ports are clogged; a shortage of semiconductor chips has crimped auto production; many employers report that they’re having a hard time finding workers.

Much of this is probably transitory, although supply-chain disruptions will clearly last for a while. But something more fundamental and lasting may be happening in the labor market. Long-suffering American workers, who have been underpaid and overworked for years, may have hit their breaking point.

About those supply-chain issues: It’s important to realize that more goods are reaching Americans than ever before. The problem is that despite increased deliveries, the system isn’t managing to keep up with extraordinary demand.

Earlier in the pandemic, people compensated for the loss of many services by buying stuff instead. People who couldn’t eat out remodeled their kitchens. People who couldn’t go to gyms bought home exercise equipment.

The result was an astonishing surge in purchases of everything from household appliances to consumer electronics. Early this year real spending on durable goods was more than 30 percent above prepandemic levels, and it’s still very high.

But things will improve. As Covid-19 subsides and life gradually returns to normal, consumers will buy more services and less stuff, reducing the pressure on ports, trucking and railroads.

The labor situation, by contrast, looks like a genuine reduction in supply. Total employment is still five million below its prepandemic peak. Employment in the leisure and hospitality sector is still down more than 9 percent. Yet everything we see suggests a very tight labor market.

On one side, workers are quitting their jobs at unprecedented rates, a sign that they’re confident about finding new jobs. On the other side, employers aren’t just whining about labor shortages, they’re trying to attract workers with pay increases. Over the past six months wages of leisure and hospitality workers have risen at an annual rate of 18 percent, and they are now well above their prepandemic trend.

The sellers’ market in labor has also emboldened union members, who have been much more willing than usual to go on strike after receiving contract offers they consider inadequate.

But why are we experiencing what many are calling the Great Resignation, with so many workers either quitting or demanding higher pay and better working conditions to stay? Until recently conservatives blamed expanded jobless benefits, claiming that these benefits were reducing the incentive to accept jobs. But states that canceled those benefits early saw no increase in employment compared with those that didn’t, and the nationwide end of enhanced benefits last month doesn’t seem to have made much difference to the job situation.

What seems to be happening instead is that the pandemic led many U.S. workers to rethink their lives and ask whether it was worth staying in the lousy jobs too many of them had.

For America is a rich country that treats many of its workers remarkably badly. Wages are often low; adjusted for inflation, the typical male worker earned virtually no more in 2019 than his counterpart did 40 years earlier. Hours are long: America is a “no-vacation nation,” offering far less time off than other advanced countries. Work is also unstable, with many low-wage workers — and nonwhite workers in particular — subject to unpredictable fluctuations in working hours that can wreak havoc on family life.

And it’s not just employers who treat workers harshly. A significant number of Americans seem to have contempt for the people who provide them with services. According to one recent survey, 62 percent of restaurant workers say they’ve received abusive treatment from customers.

Given these realities, it’s not surprising that many workers are either quitting or reluctant to return to their old jobs. The harder question is, why now? Many Americans hated their jobs two years ago, but they didn’t act on those feelings as much as they are now. What changed?

Well, it’s only speculation, but it seems quite possible that the pandemic, by upending many Americans’ lives, also caused some of them to reconsider their life choices. Not everyone can afford to quit a hated job, but a significant number of workers seem ready to accept the risk of trying something different — retiring earlier despite the monetary cost, looking for a less unpleasant job in a different industry, and so on.

And while this new choosiness by workers who feel empowered is making consumers’ and business owners’ lives more difficult, let’s be clear: Overall, it’s a good thing. American workers are insisting on a better deal, and it’s in the nation’s interest that they get it.

 

La rivolta del lavoratore americano,

di Paul Krugman

 

Tutte le economie felici si somigliano; ogni economia infelice è infelice a modo suo.

Nel periodo successivo alla crisi finanziaria del 2008, i problemi dell’economia erano tutti in relazione alla domanda inadeguata. Il boom immobiliare era scoppiato; i consumatori non spendevano abbastanza per riempire il buco; le misure di stimolo di Obama, rivolte a sostenere la domanda, erano troppo piccole e di troppo breve durata.

Nel 2021, all’opposto, molti dei nostri problemi sembrano riguardare inadeguatezze dell’offerta.  I prodotti non possono raggiungere i consumatori perché i porti sono intasati; una carenza di semiconduttori ha messo in difficoltà la produzione di automobili; molti datori di lavoro riferiscono di aver problemi nel trovare lavoratori.

In gran parte questo è probabilmente transitorio, sebbene i disturbi nella catena dell’offerta chiaramente dureranno per un po’. Ma qualcosa di più rilevante e duraturo sta forse avvenendo nel mercato del lavoro. I lavoratori americani da tempo in sofferenza, che sono stati sottopagati e super sfruttati per anni, possono aver raggiunto il loro punto di rottura.

A proposito di quei temi della catena dell’offerta: è importante comprendere che i prodotti che stanno raggiungendo gli americani sono maggiori di sempre. Il problema è che nonostante le accresciute consegne, il sistema non sta riuscendo a stare al passo con una domanda straordinaria.

All’inizio della pandemia, le persone compensavano la mancanza di molti servizi acquistando al loro posto oggetti. Le persone che non potevano andare al ristorante riallestivano le loro cucine. Quelle che non potevano andare nelle palestre acquistavano attrezzature per allenamento domestiche.

Il risultato è stato una crescita stupefacente negli acquisti di ogni cosa, dagli elettrodomestici per la famiglia all’elettronica destinata al consumo. Agli inizi di quest’anno la spesa reale sui beni durevoli era superiore ai livelli prepandemici di più del 30 per cento, ed è ancora molto alta.

Ma le cose miglioreranno. Quando i sussidi per il Covid-19 e la vita gradualmente ritornerà alla normalità, i consumatori acquisteranno più servizi e meno oggetti, riducendo la pressione sui porti, sul trasporto merci e sulle ferrovie.

All’opposto, la situazione del lavoro sembra assomigli ad una effettiva riduzione nell’offerta. L’occupazione totale è ancora sotto di cinque milioni al suo livello prepandemico. L’occupazione nei settori del tempo libero e dell’alberghiero è ancora più in basso del 9 per cento. Tuttavia tutto quello che osserviamo indica un mercato del lavoro molto ristretto.

Da un parte i lavoratori stanno lasciando i loro posti di lavoro ad un tasso che non ha precedenti, segno che sono fiduciosi di trovare nuovi posti di lavoro. Dall’altro lato, i datori di lavoro non stanno limitandosi a lamentarsi delle carenze di lavoro, stanno cercando di attrarre lavoratori con aumenti di paga. Nel corso dei sei mesi passati i salari dei lavoratori del tempo libero e del settore alberghiero sono cresciuti ad un tasso annuo del 18 per cento, e adesso sono ben sopra la loro tendenza di prima della pandemia.

Il mercato di coloro che vendono lavoro ha anche incoraggiato gli attivisti dei sindacati, che sono molto più disponibili del solito a scendere in sciopero dopo aver ricevuto offerte contrattuali che considerano inadeguate.

Ma perché stiamo sperimentando quello che in molti definiscono un Grande Esodo, con tanti lavoratori che se ne vanno o che chiedono compensi più elevati e migliori condizioni di lavoro per restare? Sino a poco tempo fa i conservatori davano la colpa agli aumenti dei sussidi per i disoccupati, sostenendo che questi sussidi stavano riducendo gli incentivi ad accettare i posti di lavoro. Ma gli Stati che hanno cancellato prematuramente quei sussidi non hanno visto alcun aumento nell’occupazione a confronto con quelli che non l’hanno fatto, e la fine su scala nazionale del mese scorso dei sussidi potenziati non sembra aver fatto molta differenza nella situazione dei posti di lavoro.

Quello che sembra stia accadendo, piuttosto, è che la pandemia ha portato molti lavoratori americani a ripensare alle loro vite e a chiedersi se valga la pena di restare nei miseri posti di lavoro che troppi di loro hanno.

Perché l’America è un paese ricco che tratta molti dei suoi lavoratori assai male. Spesso i salari sono bassi; nel 2019, una volta corretto i dato per l’inflazione, il tipico lavoratore maschio non guadagnava di più di quello che guadagnava il suo simile 40 anni prima. Gli orari sono lunghi: l’America è una nazione “senza vacanze”, che offre molte meno ferie delle altre nazioni avanzate. Anche il lavoro è instabile, con molti lavoratori con bassi salari – e in particolare lavoratori non bianchi – soggetti a fluttuazioni imprevedibili negli orari di lavoro che possono creare scompiglio nella vita familiare.

E non sono solo i datori di lavoro che trattano con durezza i lavoratori. Un numero significativo di americani sembra abbia disprezzo per coloro che gli forniscono servizi. Secondo un recente sondaggio, il 62 per cento dei lavoratori dei ristoranti dicono di aver ricevuto trattamenti offensivi da parte della clientela.

Date queste realtà, non è sorprendente che molti lavoratori se ne stiano andando o siano riluttanti a tornare ai loro vecchi posti di lavoro. La domanda più difficile è: perché adesso? Due anni orsono molti americani odiavano i loro posti di lavoro, ma non davano seguito ai loro sentimenti quanto stanno facendo adesso. Cosa è cambiato?

Ebbene, è solo una congettura, ma sembra abbastanza possibile che la pandemia, sovvertendo la vita di molti americani, abbia anche spinto alcuni di loro a riconsiderare le scelte della loro esistenza. Non tutti possono permettersi di lasciare un posto di lavoro che odiano, ma un numero significativo di lavoratori sembra disposto ad accettare il rischio di cercare qualcosa di diverso – di andare in pensione anticipatamente nonostante il costo in termini monetari, di cercare un lavoro meno spiacevole in un settore diverso, e via dicendo.

E mentre le nuove esigenze di lavoratori che si sentono emancipati sta rendendo la vita più difficile ai consumatori ed ai proprietari delle imprese, diciamolo con chiarezza: nel complesso, è una buona cosa. I lavoratori americani esigono condizioni migliori, ed è nell’interesse della nazione che le ottengano.

 

 

 

 

 

 

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