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“Pandora Papers”: è forse il momento di agire? Di Thomas Piketty (dal blog di Piketty, 12 ottobre 2021)

 

PUBLIÉ LE12 OCTOBRE 2021

« Pandora Papers »: maybe it is time to take action?

Thomas Piketty

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After the « LuxLeaks » in 2014, the « Panama Papers » in 2016 and the « Paradise Papers » in 2017, the revelations of the « Pandora Papers », resulting from a new leak of 12 million documents from offshore finance, show the extent to which the wealthiest continue to evade taxes. Contrary to what is sometimes claimed, there is no reliable indicator that the situation has improved over the last ten years.

Before the summer, ProPublica revealed that US billionaires pay almost no taxes compared to their wealth and what the rest of the population pays. According to Challenges, the top 500 French fortunes jumped from 210 billion euros in 2010 to more than 730 billion in 2020, and everything suggests that the taxes paid by these large fortunes (quite simple information, but which the public authorities still refuse to publish) were extremely low. Should we just wait for the next leaks, or is it not time for the media and citizens to formulate a platform for action and put pressure on governments to address the issue in a systemic way?

The basic problem is that at the beginning of the 21st century we continue to register and tax assets solely on the basis of real estate, using the methods and cadastres established at the beginning of the 19th century. If we do not provide ourselves with the means to change this state of affairs, then the scandals will continue, with the risk of a slow disintegration of our social and fiscal pact and the inexorable rise of every man for himself.

The important point is that registration and taxation of property have always been closely linked historically. Firstly, because registering one’s property provides the owner with an advantage (that of benefiting from the protection of the legal system), and secondly, because only minimal taxation can make registration truly compulsory and systematic.

Moreover, the ownership of assets is also an indicator of the taxpaying capacity of individuals, which explains why the taxation of assets has always played a central role in modern tax systems, in addition to the taxation of the income stream (which can sometimes be manipulated downwards, especially for very rich asset holders, as Pro Publica has shown).

By setting up a centralised register for all real estate assets, both housing and business property (farmland, shops, factories, etc.), the French Revolution also instituted at the same a system of taxation based on asset transactions (transfer duties, still in force today) and above all on asset ownership (with the taxe foncière). In France, as in the United States and in almost all rich countries, the taxe foncière or its Anglo-Saxon equivalent, the property tax, continues to represent the main tax on wealth (around 2% of GDP, approximately 40 billion euros in annual revenue in France). Conversely, the absence of such a system for registering and taxing housing and business assets explains the hypertrophy of the informal sector in many countries of the South and the subsequent difficulties in implementing income taxation.

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The problem is that this system of registration and taxation of assets has hardly changed for two centuries, even though financial assets have become increasingly important. The result is an extremely unfair and unequal system. If you own a house or a business asset worth 300,000 euros, and you are in debt to the tune of 290,000 euros, then you will pay the same taxe foncière or property tax as someone who has inherited the same property and also has a financial portfolio of 3 million euros.

No principle, no economic reasoning can justify such a violently regressive tax system (small assets holders de facto pay a structurally higher effective rate than larger ones), apart from the fact that it is assumed that it would be impossible to register financial assets. However, this is not a technical impossibility but a political choice: the choice was made to privatise the registration of financial securities (with central depositories under private law, such as Clearstream or Eurostream) and then to introduce the free movement of capital guaranteed by the States, without any prior tax coordination.

The « Pandora Papers » also remind us that the wealthiest people manage to avoid taxes on their real estate assets by transforming it into financial securities domiciled offshore, as shown by the case of the Blair family and their 7 million Euro house in London (400,000 Euros in transfer duties avoided) or that of the villas held on the Côte d’Azur via shell companies by the Czech Prime Minister Babis (who is also suspected of embezzling European funds).

What should be done? The priority should be the establishment of a public financial register and a minimum taxation of all assets, if only to produce objective information about them.  Each country can move immediately in this direction, by requiring all companies holding or operating assets on its territory to reveal the identity of their owners and taxing them accordingly, transparently and in the same way as ordinary taxpayers, no more and no less. By abandoning any ambition in terms of fiscal sovereignty and social justice, we only encourage the separatism of the richest and the withdrawal into ourselves. It is high time for action.

 

“Pandora Papers”: è forse il momento di agire?

Di Thomas Piketty

 

Dopo i “LuxLeaks” del 2014, i “Panama Papers” del 2016 e i “Paradise Papers” del 2017, le rivelazioni dei “Pandora Papers” che derivano da una nuova fuga di notizie di 12 milioni di documenti dalla finanza offshore, mostrano in quale misura i più ricchi continuano ad evadere le tasse. Contrariamente a quello che talvolta si sostiene, non c’è alcun indicatore affidabile che negli ultimi dieci anni la situazione sia migliorata.

Prima dell’estate, ProPublica aveva rivelato che i miliardari statunitensi quasi non pagano tasse in rapporto alla loro ricchezza ed a quello che paga il resto della popolazione. Secondo Challenges [1] le 500 più grandi fortune francesi sono balzate da 210 miliardi di euro nel 2010 a più di 730 miliardi nel 2020, e tutto indica che le tasse pagate da queste grandi fortune (informazione abbastanza semplice, ma che le pubbliche autorità ancora rifiutano di pubblicare) sono state estremamente basse. Dovremmo attendere le prossime fughe di notizie, oppure non è il tempo perché i media ed i cittadini diano forma ad una piattaforma di iniziativa e mettano pressione sui Governi per affrontare la questione in modo sistematico?

Il problema fondamentale è che agli inizi del 21° secolo continuiamo a registrare ed a tassare i beni unicamente sulla base del patrimonio immobiliare, utilizzando i metodi ed i catasti degli inizi del 19° secolo. Se non ci dotiamo dei mezzi per cambiare questa condizione, allora gli scandali continueranno con il rischio di una lenta disintegrazione del nostro patto sociale e fiscale e l’inevitabile crescita di una situazione per la quale ognuno pensa a se stesso.

La cosa importante è che la registrazione e la tassazione delle proprietà sono sempre state nella storia strettamente collegate. Anzitutto, perché registrare le proprietà fornisce al proprietario un vantaggio (quello di beneficiare della protezione di un sistema legale), e in secondo luogo perché soltanto una minima tassazione può rendere la registrazione effettivamente obbligatoria e sistematica.

Inoltre, la proprietà degli asset è anche un indicatore della capacità di pagare le tasse delle persone singole, il che spiega perché la tassazione dei beni ha sempre giocato un ruolo centrale nei moderni sistemi fiscali, in aggiunta alla tassazione dei flussi del reddito (che talvolta possono essere manipolati verso il basso, particolarmente per i ricchi possessori di beni, come ProPublica ha dimostrato).

Stabilendo un registro centralizzato di tutti i patrimoni immobiliari, sia le case che le proprietà delle imprese (terreni agricoli, negozi, fabbriche etc.), la Rivoluzione Francese istituì anche nello stesso tempo un sistema di tassazione basato sulla transazione dei beni (imposte di trasferimento, ancora in funzione oggi) e su tutti i proprietari di asset (con la taxe foncière [2]). In Francia come negli Stati Uniti e in quasi tutti i paesi ricchi, la taxe foncière o il suo equivalente anglosassone, la property tax, continua a rappresentare la principale tassa sulla ricchezza (circa il 2% del PIL, in Francia approssimativamente 40 miliardi di euro di entrate fiscali annuali). Di converso, l’assenza di un tale sistema per la registrazione  e la tassazione delle case e dei beni delle imprese spiega l’ipertrofia del settore informale in molti paesi del Sud e le conseguenti difficoltà nel rendere effettiva una tassazione sul reddito.

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Il problema è che questo sistema di registrazione e di tassazione dei beni in pratica non è quasi cambiato da due secoli, anche se gli asset finanziari sono diventati sempre più importanti. Il risultato è un sistema estremamente ingiusto e ineguale. Se possedete una casa o beni di impresa del valore di 300.000 euro, e avete debiti per un importo di 290.000 euro, pagherete la stessa taxe foncière o property tax di qualcuno che ha ereditato la stessa proprietà ed ha in aggiunta un portafoglio finanziario di 3 milioni di euro.

Nessun principio, nessun ragionamento economico può giustificare una tale sistema fiscale violentemente regressivo (i possessori di piccoli beni di fatto pagano una aliquota effettiva strutturalmente più elevata di coloro che ne possiedono di più grandi), senza considerare il fatto che è considerato impossibile registrare gli asset finanziari. Questa, tuttavia, non è una impossibilità tecnica, ma un scelta politica: la scelta venne fatta per privatizzare la registrazione dei titoli finanziari (con depositi centrali sottoposti alla legge privata, come Clearstream o Eurostream [4]) e poi per introdurre il libero movimento dei capitali garantito dagli Stati, senza alcun precedente coordinamento fiscale.

I “Pandora Papers” ci ricordano anche che le persone più ricche riescono ad evitare le tasse sui loro beni patrimoniali trasformandoli in titoli finanziari domiciliati all’estero, come dimostra il caso della famiglia Blair e della loro casa da 7 milioni di euro a Londra (400.000 euro di imposta di trasferimento evitati) o quello delle ville possedute dal Primo Ministro Ceco Babis sulla Costa Azzurra attraverso società di comodo (costui è anche sospettato di essersi appropriato indebitamente di finanziamenti europei).

Che cosa si dovrebbe fare? La priorità dovrebbe essere stabilire un registro finanziario pubblico e una tassazione minima di tutti gli asset, se non altro per produrre su essi l’informazione obbiettiva. Ciascun paese può procedere immediatamente in questa direzione, richiedendo ad ogni società che possiede o opera su asset sul suo territorio di rivelare l’identità dei loro proprietari e di tassarli conseguentemente, con trasparenza e nello stesso modo dei contribuenti ordinari, né più né meno. Abbandonando ogni ambizione nei termini della sovranità fiscale e della giustizia sociale, incoraggiamo soltanto il separatismo dei più ricchi e la chiusura in noi stessi. È il momento giusto per agire.

 

 

 

 

 

 

[1] ProPublica è una associazione di giornalismo investigativo con sede a Manhattan; Challenges è una rivista di temi economici francese.

[2] La taxe foncière è traducibile con “imposta catastale”. Tutte le costruzioni fisse in Francia sono imponibili sulle proprietà edificate della Taxe Foncière. E’ imponibile il proprietario dell’immobile, occupante o meno i locali. La tassa sulla proprietà varia da regione a regione, per cui identiche proprietà possono essere soggette a diversa tassazione se situate in due località differenti. La base d’imposta è costituita dalla rendita catastale uguale al 50% del valore locatizio catastale fissato dalla Pubblica Amministrazione. L’importo della tassa si ottiene moltiplicando la base d’imposta per il tasso di imposizione in vigore.

[3] Il diagramma mostra la situazione francese. Il dato più evidente e prevedibile è la dimensione degli asset finanziari (principalmente azioni, area blu), sostanzialmente simile per i redditi poveri e medi (da 2.450 a 110.000 euro), essa si dilata enormemente per i redditi milionari (sino al massimo per oltre i 15 milioni di reddito). Invece, i beni posseduti da detentori di redditi medi si concentrano principalmente nel possesso di case (area ocra).

[4] Clearstream ed Eurostream sono ‘fornitori di servizi post commerciali, che forniscono assistenza e custodia così come altri servizi connessi per tutte le classi di beni’. Il primo è di proprietà di Deutsche Börse AG.

 

 

 

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