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Chi ha paura dell’Indice dei Prezzi al Consumo? Di Paul Krugman (New York Times, 15 settembre 2022)

 

Sept. 15, 2022

Who’s Afraid of the Consumer Price Index?

By Paul Krugman

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Three important reports on inflation were released this week. On Monday the Federal Reserve Bank of New York released its latest survey on inflation expectations, which was very encouraging. On Wednesday the Bureau of Labor Statistics released its latest report on producer prices, which was fairly reassuring. But the report in between — Tuesday’s bad report on consumer prices — has gotten almost all the attention.

And look, I get it. After a benign consumer price report last month, some people — including, apparently, a number of investors — had begun to hope for a fairy-tale ending to the 2021-22 inflation surge. This month’s report pretty much dashed those hopes (which, as it happens, I haven’t shared for a long time).

It’s important, however, to understand what the report did and didn’t show.

If you still believed that we might be able to bring inflation down to an acceptable level without any pain — specifically, without a rise in the unemployment rate — Tuesday’s report made it even harder to sustain that belief than it already was. There will, alas, be pain. But the report gave little indication, one way or the other, of how much pain will be needed, or how long it will have to last.

Economists often discuss these issues in terms of what’s happening to underlying or “core” inflation, then argue about the best measure of core inflation to use, to the bemusement of everyone else. So I was very taken with an alternative formulation by the economist Joseph Politano, who suggests that we distinguish between “immaculate disinflation” — a fall in the inflation rate that will happen more or less automatically as recent disruptions from the pandemic, the Ukraine war, etc. subside — and the “intentional disinflation” the Fed is trying to produce by raising interest rates.

And let’s not be antiseptic here: Intentional disinflation is very likely to involve lost jobs. For the purpose of Fed rate hikes is to reduce overall spending, almost surely leading to higher unemployment.

Now, immaculate disinflation isn’t a myth; it has in fact been happening lately. Overall consumer price inflation on a monthly basis slowed sharply this summer, largely thanks to the switch from rising to falling gasoline prices.

But a look under the hood of the numbers makes it clear that immaculate disinflation won’t be enough. I’d like to believe otherwise; a year ago I did, indeed, think that inflation might largely cure itself. At this point, however, whatever your preferred measure of underlying inflation — inflation that won’t go away by itself — may be, it’s still running too high, and it shows no clear sign of coming down.

Although this revelation seems to have shocked financial markets, it shouldn’t have come as a big surprise. While interest rates have risen a lot this year, they haven’t yet had much effect on the real economy. Never mind claims that we’re in a recession; the reality is that unemployment is still near a historic low, and other measures, like the number of job vacancies, suggest that the economy in general and the labor market in particular are still running very hot. And we won’t get inflation down to an acceptable rate until things cool off.

Precisely because we haven’t seen any significant cooling off yet, however, the latest numbers don’t tell us how painful the process of disinflation will be.

An optimistic scenario might look like this: The Fed’s rate hikes cause the unemployment rate to rise, but only to 4-point-something percent, which is still pretty low by historical standards — and that’s enough to bring inflation down to 2 or 3 percent. The odds for that scenario are improved by evidence — like that New York Fed report I cited — that 2022 isn’t like 1980. Back then everyone expected high inflation to persist, so the economy had to be put through the wringer to squeeze those expectations out. Recent inflation expectations, especially for the medium term, have been low and falling.

Pessimists argue, however, that the high rate of job vacancies implies that inflation control requires much higher unemployment than in the past; and (for reasons I don’t fully understand) they wave away the good news about expectations. So they end up arguing that unemployment will have to rise much higher, perhaps above 6 percent.

As you might guess, I favor the optimistic scenario. I take the expectations data seriously, and I view high vacancy rates as being, at least in part, a temporary phenomenon in an economy still adjusting to the effects of the Covid-19 pandemic.

But the truth is that nobody knows for sure, and the fact that a hot economy is still producing heated inflation does nothing to settle the debate.

The good news, sort of, is that the Fed seems to know what it doesn’t know. It’s talking tough on inflation, as it must to retain credibility, but it’s also talking about looking at the “totality of the incoming data,” which means that it’s prepared to ease off if and when inflation is clearly coming down.

My guess is that this moment will come sooner than many think. But we’ll just have to wait and see.

 

Chi ha paura dell’Indice dei Prezzi al Consumo?

Di Paul Krugman

 

Questa settimana sono stati pubblicati tre importanti rapporti sull’inflazione. Lunedì la Banca della Federal Reserve di New York ha pubblicato il suo ultimo sondaggio sulle aspettative di inflazione, che era molto incoraggiante. Mercoledì, l’Ufficio delle Statistiche sul Lavoro ha pubblicato il il suo ultimo rapporto sui prezzi alla produzione, che era abbastanza rassicurante. Ma il rapporto in mezzo a questi due – il negativo rapporto sui prezzi al consumo di giovedì – ha preso quasi tutta l’attenzione.

E guardate, io lo capisco. Dopo un benigno rapporto sui prezzi al consumo del mese scorso, alcune persone – inclusi a quanto pare un certo numero di investitori – avevano cominciato a sperare in un finale da fiaba della impennata dell’inflazione del 2021-22. Questo rapporto mensile ha in buona misura abbattuto quelle speranze (che, si dà il caso, io da tempo non condividevo).

È importante, tuttavia, comprendere quello che il rapporto ha mostrato e non ha mostrato.

Se ancora credevate che saremmo stati  capaci  di far scendere l’inflazione ad un livello accettabile senza alcuna sofferenza – in particolare, senza un aumento del tasso di disoccupazione – il rapporto di giovedì ha reso ancora più arduo sostenere quella convinzione di quanto già non fosse. Ci sarà, purtroppo, sofferenza. Ma il rapporto non ha dato molte indicazioni, in un modo o nell’altro, su quanta sofferenza sarà necessaria, o su quanto a lungo dovrà durare.

Gli economisti dibattono spesso questi temi nei termini di cosa sta avvenendo alla inflazione sottostante o “sostanziale”, poi discutono di quale sia la migliore misura da usare per l’inflazione sostanziale, al fine di crare incertezza su tutte le altre misure. Così sono rimasto colpito da una formulazione alternativa dell’economista Joseph Politano, che suggerisce che si distingua tra una “disinflazione immacolata”  – una caduta del tasso di inflazione che avverrà più o meno automaticamente quando i recenti turbamenti dalla pandemia, dalla guerra in Ucraina etc. recederanno – e la “disinflazione intenzionale” che la Fed sta cercando di provocare elevando i tassi di interesse.

E qua non è il caso di essere asettici: la disinflazione intenzionale è molto probabile comporti una perdita di posti di lavoro. Dato che lo scopo del rialzo dei tassi della Fed è ridurre la spesa complessiva, ciò quasi sicuramente porterà ad una disoccupazione più elevata.

Ora, la disoccupazione immacolata non è un mito; di fatto nel periodo recente sta avvenendo. Questa estate ,l’inflazione dei prezzi al consumo su base mensile è bruscamente rallentata, in gran parte grazie alla variazione nei prezzi della benzina, da una crescita ad un calo.

Ma un’occhiata sotto la cappa dei dati rende chiaro che la disinflazione immacolata non sarà sufficiente. Mi piacerebbe credere altrimenti; un anno fa, in effetti, pensai davvero che l’inflazione avrebbe potuto in gran parte correggersi da sola. A questo punto, tuttavia, qualsiasi sia la vostra misurazione preferita dell’inflazione sottostante – l’inflazione che non se ne andrà da sola – essa sta ancora correndo troppo forte, e non mostra alcun segno di riduzione.

Sebbene questa rivelazione sembri aver impressionato i mercati finanziari, essa non dovrebbe essere arrivata come una sorpresa. Se i tassi di interesse sono cresciuti molto quest’anno, essi non hanno avuto ancora un grande effetto sull’economia reale. Non contano gli argomenti secondo i quali siamo in una recessione; la realtà è che la disoccupazione è ancora vicina ad un minimo storico, ed altre misurazioni, come il numero degli abbandoni dei posti di lavoro, indicano che l’economia in generale e il mercato del lavoro in particolare stanno ancora correndo fortemente [1]. E non otterremo una riduzione dell’inflazione ad un tasso accettabile finché non ci sarà un raffreddamento.

Proprio perché non abbiamo ancora visto alcun significativo raffreddamento, tuttavia, gli ultimi dati non ci dicono quanta sofferenza provocherà il processo di disinflazione.

Uno scenario ottimistico potrebbe essere di questo genere: i rialzi del tasso della Fed provocano una crescita del tasso di disoccupazione, ma soltanto sino a qualcosa come 4 punti percentuali, il che è ancora abbastanza basso  per le serie storiche – e ciò è sufficiente a far ridurre l’inflazione sino al 2 o 3 per cento.  Le probabilità di questo scenario sono rafforzate dalle prove che il 2022 è diverso dal 1980 – come quel rapporto della Fed di New York che ho citato. Nel 1980 tutti si aspettavano che persistesse una elevata inflazione, in modo tale che l’economia dovesse patire le pene dell’inferno per scacciare quelle aspettative. Le recenti aspettative di inflazione, particolarmente nel medio termine,  sono state basse e in calo.

Tuttavia, i pessimisti sostengono che un tasso elevato di abbandoni dei posti di lavoro implica che il controllo dell’inflazione richiede una disoccupazione molto più elevata che nel passato; e (per ragioni che non spiego interamente) quei dati scacciano le buone notizie sulle aspettative. Dunque, i pessimisti sostengono che la disoccupazione dovrà salire molto più in alto, forse sopra il 6 per cento.

Come vi potete immaginare, io sono a favore dello scenario ottimistico. Io prendo sul serio i dati sulle aspettative, e considero gli alti tassi di abbandoni, almeno in parte, come un fenomeno temporaneo, in un’economia che sta ancora correggendo gli effetti della pandemia del Covid-19.

Ma la verità è che nessuno lo sa con certezza, e il fatto che un’economia surriscaldata stia ancora producendo una accesa inflazione non aiuta certo a risolvere la discussione.

Una specie di buona notizia, è che la Fed sembra disporre di conoscenze delle quali non dispone. Essa sta parlando duramente sull’inflazione, nella misura in cui deve conservare credibilità, ma sta anche parlando di osservare “la totalità dei dati in arrivo”, il che significa che è pronta ad attenuare le sue misure al momento in cui chiaramente l’inflazione si riducesse.

La mia impressione è che questo momento verrà molto prima di quello che molti pensano. Ma non possiamo far altro che attendere e stare a guardare.

 

 

 

 

 

[1] Per “abbandoni del posto di lavoro” si intendono le rinunce volontarie a posti di lavoro, nella aspettativa di trovarne altri migliori. Esso è dunque un dato che sottolinea un buon dinamismo del marcato del lavoro e non una sua difficoltà, nella misura in cui mostra una condizione di ottimismo tra i lavoratori. In quanto tale, viene considerato un indicatore di un’economia surriscaldata, e non di un’economia depressa. Dunque, un fattore che non opera nel senso di frenare l’inflazione.

 

 

 

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