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Il costo del Quantitative Easing per la finanza pubblica, di Daniel Gros (da Project Syndicate, 9 novembre 2022)

 

Nov 9, 2022

The Fiscal Cost of Quantitative Easing

DANIEL GROS

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ROME – In accumulating massive bond holdings over the course of a decade of quantitative easing (QE), central banks were effectively betting that interest rates would stay low indefinitely. They have lost that wager.

Economists agree: central banks’ bond-buying programs constitute a quasi-fiscal policy, as monetary authorities finance their purchases of long-term government bonds by issuing short-term reserves to commercial banks. Until recently, this seemed to be good business. While the bonds technically yielded little, the cost of financing was so low (-0.5% in the eurozone, for example) that central banks reaped profits anyway.

But with inflation skyrocketing, reaching double-digit rates in many countries, central banks have had little choice but to increase their policy rates rapidly. This has raised the costs of financing, with short-term rates now exceeding long-term bond yields. As a result, the fiscal risks of bond-buying programs are being realized, with central banks facing losses on their holdings.

These losses are unlikely to be fleeting. On the contrary, inflation has become sticky, meaning that central banks will probably have to maintain high interest rates for some time – incurring losses on their portfolios all the while. Because central banks transfer all of their profits or losses to the treasury, these costs will ultimately be borne by taxpayers.

The costs will be massive. The US Federal Reserve has been the most transparent about the scale of the expected losses, revealing that the value of its bond holdings will fall by up to $670 billion by the end of this year.

The eurozone can expect to incur similar losses. Together, the eurozone’s 19 national central banks and the European Central Bank – that is, the Eurosystem – hold more than €4.2 trillion ($4.2 trillion) in government bonds, financed by some €4.3 trillion (nearly 40% of eurozone GDP) in commercial bank deposits. After years of negative rates, the ECB has now increased its deposit rate to 1.5%, and financial markets expect it to reach 3% next year, while the average yield on its bond portfolio is less than 0.5%.

If the deposit rate does increase to the expected 3%, so will the annual cost of holding bonds. Given that the average return on bonds is about 0.5%, an annual loss of 2.5% is to be expected. Multiply that by six years – the weighted average maturity of the bonds held by the Eurosystem – and you get a cumulative loss of 15% of the outstanding total, or about €600 billion. That is almost the size of the €750 billion NextGenerationEU program – the largest stimulus package ever financed in Europe, aimed at advancing the pandemic recovery and the green and digital transitions.

To be fair, one should also account for the profits central banks gained when the deposit rate was negative. But QE still brings net losses – by a wide margin. In recent years, when more than half of today’s portfolio was accumulated, central banks were gaining only about 0.5% on bonds. The difference between the deposit rate and bond yields is now approximately 2.5 percentage points higher (in absolute terms).

Of course, the motives for the bond-buying programs were never fiscal. Rather, central banks sought to reduce the duration risk faced by the public, with the expectation that this would drive down long-term rates at a time when short-term policy rates were already at the so-called zero lower bound.

It worked, but the duration risk did not disappear. Instead, it merely migrated to the central bank’s balance sheet, and ultimately to that of the government, as the effective duration of government debt was reduced.

In hindsight, it is clear that central banks made a colossal mistake in continuing massive bond-buying programs over the last few years. Some recognized this at the time, warning that the upside (even lower rates) was limited, and the potential downside (massive portfolio losses if inflation returned) was very large.

Nonetheless, central banks largely ignored their QE operations’ implicit fiscal risks. The ECB, for example, published dozens of research papers (many of very high academic quality) showing the benefits of their bond-buying operations, in terms of higher inflation and employment, without mentioning the potential fiscal consequences.

One hopes that central banks will learn from this mistake. The next time they use unconventional policy instruments with major fiscal implications, they should be far more explicit about the risks – and far more cautious about taking them.

 

Il costo del Quantitative Easing per la finanza pubblica,

di Daniel Gros

 

ROMA – Nell’accumulare massicce proprietà di obbligazioni nel corso di un decennio di ‘facilitazione quantitativa’ (QE), la banche centrali stavano effettivamente scommettendo che i tassi di interesse sarebbero rimasti indefinitamente bassi. Hanno perso quella scommessa.

C’è il consenso degli economisti: i programmi di acquisto delle obbligazioni delle banche centrali costituiscono una politica quasi di finanza pubblica, dato che le autorità monetarie finanziano i loro acquisti di obbligazioni pubbliche a lungo termine emettendo riserve a breve termine alle banche commerciali. Sino al periodo recente, sembrava essere un buon affare. Mentre le obbligazioni tecnicamente rendevano poco il costo del finanziamento era così basso (-0,5% nell’eurozona, ad esempio) che le banche centrali ottenevano in ogni modo profitti.

Ma con l’inflazione che vola in alto, raggiungendo in molti paesi tassi a due cifre, le banche centrali hanno poca scelta se non accrescere i loro tassi di riferimento rapidamente. Questo ha elevato i costi del finanziamento, con i tassi a breve termine che adesso superano i rendimenti a lungo termine delle obbligazioni. Un risultato è che i rischi di finanza pubblica dei programmi dell’acquisto delle obbligazioni vengono adesso riconosciuti, con le banche centrali che sono di fronte a perdite nelle loro proprietà.

È improbabile che queste perdite siano passeggere. Al contrario, l’inflazione è diventata vischiosa, con l’effetto che le banche centrali dovranno probabilmente conservare alti tassi di interesse per un certo periodo – nel frattempo andando incontro a perdite nei loro portafogli. Poiché le banche centrali trasferiscono i loro profitti o le loro perdite al Tesoro, in ultima analisi questi costi verranno sopportati dai contribuenti.

I costi saranno massicci. La Federal Reserve degli Stati Uniti è stata la più trasparente sulla dimensione delle perdite attese, rivelando che il valore delle sue proprietà diminuirà sino a 670 miliardi di dollari per la fine di quest’anno.

L’eurozona può aspettarsi di andare incontro a perdite simili. Le 19 banche centrali nazionali e la Banca Centrale Europea – ovvero, l’Eurosistema – detengono, considerate assieme, più di 4.200 miliardi di euro (4.200 miliardi di dollari) in obbligazioni pubbliche, finanziati da circa 4.300 miliardi di euro nei depositi delle banche commerciali (quasi il 40% del PIL dell’eurozona). Dopo anno di tassi negativi, adesso la BCE ha accresciuto il suo tasso di deposito all’1,5% e i mercati finanziari si aspettano che esso raggiunga il 3% il prossimo anno, mentre il rendimento medio sul suo portafoglio di obbligazioni è minore dello 0,5%.

Se il tasso di deposito aumenta sino all’atteso 3%, lo stesso accadrà per il costo annuale del possesso delle obbligazioni. Dato che il rendimento medio sulle obbligazioni è circa lo 0,5%, ci si deve aspettare una perdita annuale del 2,5%. Si moltiplichi per sei anni – la scadenza ponderata media delle obbligazioni possedute dall’Eurosistema – e si ottiene una perdita cumulativa del 15% del totale in sospeso, ovvero circa 600 miliardi di euro. Quella è quasi la dimensione del programma di 750 miliardi di euro NextGenerationEU – il più grande pacchetto di stimolo mai finanziato in Europa, destinato a far progredire la ripresa dalla pandemia e le transizioni verde e digitale.

Ad esser giusti, si dovrebbero anche  mettere in conto i profitti che le banche centrali hanno guadagnato quando il tasso di deposito era negativo. Ma la QE comporterebbe ancora pedite nette – con un ampio margine. Negli anni recenti, quando era stata accumulata più della metà del portafoglio attuale, le banche centrali stavano guadagnando soltanto lo 0,5% sulle obbligazioni. La differenza tra il tasso di deposito e i rendimenti delle obbligazioni è adesso (in termini assoluti) approssimativamente 2,5 punti percentuali più elevata.

Naturalmente, i motivi per i programmi di acquisto delle obbligazioni non sono mai stati di finanza pubblica. Piuttosto, le banche centrali cercavano di ridurre l’esposizione al rischio di durata sostenuto dal pubblico, nell’aspettativa che questo avrebbe abbassato i tassi a lungo termine in un periodo nel quale i tassi di riferimento a breve termine erano già al cosiddetto limite inferiore dello zero.

Ciò ha funzionato, ma l’esposizione al rischio di durata non è scomparsa. Piuttosto è semplicemente emigrata sugli equilibri patrimoniali delle banche centrali, e in ultima analisi su quella dei governi, allorché l’effettiva durata del debito pubblico è stata ridotta.

Col senno di poi, è chiaro che le banche centrali hanno commesso un errore colossale nel proseguire massicci programmi di acquisto di obbligazioni nel corso degli ultimi anni. Alcuni lo avevano riconosciuto per tempo, mettendo in guardia che il lato positivo (tassi persino più bassi) era limitato, e che il potenziale lato negativo (massicce perdite di portafoglio se fosse tornata l’inflazione) era molto ampio.

Ciononostante, le banche centrali hanno in gran parte ignorato gli impliciti rischi di finanza pubblica nelle loro operazioni di QE. La BCE, ad esempio, ha pubblicato dozzine di ricerche (alcune di qualità accademica molto elevata) che mostravano i benefici delle loro operazioni di acquisto delle obbligazioni, in termini di più alta inflazione e di occupazione, senza menzionare le potenziali conseguenze di finanza pubblica.

Si può sperare che le banche centrali impareranno da questo errore. La prossima volta che useranno strumenti di politica non convenzionale con importanti implicazioni di finanza pubblica, dovrebbero essere assai più esplicite sui rischi – e assai più caute nell’assumerli.

 

 

 

 

 

 

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