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Le radici trumpiane della crisi dei semiconduttori, di Paul Krugman (New York Times, 8 luglio 2021)

 

July 8, 2021

The Trumpian Roots of the Chip Crisis

By Paul Krugman

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What’s the current state of the U.S. economy? A quick summary might be “booming with bottlenecks.”

And some of those bottlenecks reflect the mess created by Donald Trump’s trade policy.

Where we are now: Employment is growing at a rate we haven’t seen since 1984. So, probably, is gross domestic product, although we don’t yet have an official estimate for the second quarter. We are, however, suffering from shortages of many items, which are crimping production in some areas and leading to sharp price increases in others.

Some of these shortages are getting resolved. For example, two months ago, lumber cost almost four times as much as it did before the Covid-19 pandemic; since then, its price has fallen more than 50 percent. Other bottlenecks, however, seem more persistent. World trade is being held back by an inadequate supply of standard-size shipping containers — the ubiquitous boxes that carry almost everything, because they can be lifted directly from the decks of ships onto railroad cars and truck beds — and experts expect the shortage to last at least until late this year.

And there’s another bottleneck that may be an even bigger deal than the container shortage: a global shortage of semiconductor chips.

You see, these days almost everything contains silicon chips. So an insufficient supply of chips is a problem not just for producers of computers and smartphones; there are chips in just about all durable goods, including household appliances and, crucially, cars.

As a result, the chip shortage has had large and perhaps unexpected ramifications. Lack of chips is limiting production of automobiles, leading some people to buy used cars instead. And soaring used-car prices are a surprisingly big contributor to inflation — in fact, they accounted for about a third of May’s total rise in consumer prices.

So why are we facing a semiconductor shortage? Part of the answer is that the pandemic created a weird business cycle. People couldn’t go out to eat, so they remodeled their kitchens, and they couldn’t go to the gym, so they bought Pelotons. So demand for services is still depressed, while demand for goods has soared. And as I said, practically every physical good now has a chip in it.

But as Chad Bown of the Peterson Institute for International Economics documents in an important new article, the Trump administration’s trade policy made the situation much worse.

When Trump took us into a trade war with China, there was clearly a lot he and his advisers failed to understand about modern world trade. Among other things, they didn’t seem to grasp that modern trade consists not of simple exchanges of goods — they sell us cars, we sell them aircraft — but of complex supply chains, in which the production of a given item often involves activities spread across the globe.

Given this reality, the structure of the Trump tariffs was, well, stupid: They focused mainly on intermediate inputs like semiconductors and capital equipment, which American companies need to compete in the world market. As a result, multiple studies have found, the tariffs actually reduced U.S. manufacturing employment.

But Trump’s trade policy wasn’t just poorly conceived. It was also erratic. Nobody knew which products might face new tariffs or whether the tariffs he had imposed would remain in place. And in high technology, especially semiconductors, Trump began imposing export restrictions, again in an erratic fashion (and with an apparent lack of awareness that, in many cases, China could simply turn to other suppliers).

As I wrote at the time, the problem was less that Trump was a self-proclaimed Tariff Man than that he was a capricious, unpredictable Tariff Man. And this messed up business planning, especially in semiconductors.

Consider foreign producers selling into the U.S. market. Such producers had little incentive to add capacity, because for all they knew, they might suddenly face high tariffs. But U.S. producers also had little incentive to invest, because for all they knew, the tariff protection they were relying on might go away overnight — or they might abruptly find themselves barred from selling into foreign markets.

Basically, international supply chains don’t work very well when the policies of one of the world’s key economies are governed by the whims of a leader who gets his ideas from cable TV.

Notice that I’m not being a free-trade purist here. There’s a good case for interventionist government policy to ensure reliable supply chains — and the Biden administration is moving in that direction. It’s important, however, that this policy be designed by people who understand the issues and that the rules of the game be clear enough to let businesses plan.

In other words, we need a policymaking style that’s the opposite of what we had in the previous administration.

For what it’s worth, I don’t think bad policy is the main cause of the bottlenecks we’re experiencing, nor do I believe that these bottlenecks will prevent a rapid economic recovery. But Trump’s tantrum-based trade policy did real damage, and we’re still paying the price.

 

Le radici trumpiane della crisi dei semiconduttori [1],

di Paul Krugman

 

Quali sono le condizioni attuali dell’economia statunitense? Una sintesi rapida potrebbe essere: “grande espansione con strozzature”.

E alcune di queste strozzature riflettono il caos creato dalla politica commerciale di Trump.

Ecco il punto in cui siamo: l’occupazione sta crescendo ad un ritmo che non vedevamo dal 1984. Lo stesso vale, probabilmente, per il prodotto interno lordo, sebbene non abbiamo ancora una stima ufficiale del secondo trimestre. Stiamo, tuttavia, soffrendo per la carenza di molti oggetti, che sta mettendo in difficoltà la produzione in alcuni settori e portando a bruschi aumenti dei prezzi in altri.

Alcune di queste carenze sono in via di soluzione. Ad esempio, due mesi fa il costo del legname era quattro volte quello di prima della pandemia del Covid-19; da allora è caduto di più del 50 per cento. Altre strozzature, tuttavia, sembrano più tenaci. Il commercio mondiale viene ritardato da un offerta inadeguata di container di dimensioni comuni – gli scatoloni onnipresenti che trasportano praticamente tutto, perché possono essere elevati direttamente dai ponti delle navi sui vagoni ferroviari e sui pianali dei camion – e gli esperti si aspettano che questa scarsità duri almeno sino alla fine di quest’anno.

E c’è un’altra strozzatura che può essere una faccenda persino più seria della carenza di container: una mancanza globale di scaglie di semiconduttori.

Sapete, di questi tempi praticamente ogni cosa contiene scaglie di silicio. Dunque, un offerta insufficiente di semiconduttori è un problema non solo per i fabbricanti di computer e di telefonini; ci sono semiconduttori in quasi tutti i beni durevoli, compresi gli elettrodomestici delle famiglie e, in modo determinante, le automobili.

La conseguenza è stata che la carenza di semiconduttori ha avuto impatti ampi e forse inaspettati. La mancanza di semiconduttori sta limitando la produzione di automobili, inducendo alcuni ad acquistare al loro posto auto usate. E i prezzi in salita delle auto usate sono un contributo sorprendentemente grande all’inflazione – di fatto, hanno pesato per circa un terzo nella crescita totale di prezzi al consumo di maggio.

Perché dunque siamo di fronte ad una carenza di semiconduttori? In parte la risposta è che la pandemia ha creato un ciclo economico bizzarro. Le persone non potevano andar fuori a mangiare, dunque hanno rinnovato le loro cucine, non potevano andare nelle palestre, così si sono comprate i Peloton [2]. Dunque, la domanda per i servizi è ancora depressa, mentre la domanda per i prodotti è andata alle stelle. E, come ho detto, praticamente ogni prodotto materiale ha oggi un semiconduttore incorporato.

Ma come documenta Chad Bown del Peterson Institute for International Economics in un importante nuovo articolo, la politica commerciale della Amministrazione Trump ha reso la situazione molto peggiore.

Quando Trump ci portò nella guerra commerciale contro la Cina, c’erano chiaramente molte cose che lui e i suoi consiglieri non riuscivano a comprendere del commercio mondiale moderno. Tra le altre, essi non parvero afferrare che il commercio moderno non consiste solo di semplici scambi di prodotti – loro ci vendono automobili noi vendiamo loro aeroplani – ma di complesse catene dell’offerta, nelle quali la produzione di un dato articolo il più delle volte comprende attività diffuse in tutto il globo.

Sulla base di questo fatto, la struttura delle tariffe di Trump fu, diciamo pure, stupida: si concentrarono principalmente sugli input intermedi come i semiconduttori e sui beni strumentali, di cui le società americane hanno bisogno per competere sul mercato mondiale. Il risultato, come hanno scoperto numerosi studi, è stato che le tariffe hanno ridotto l’occupazione manifatturiera statunitense.

Ma la politica commerciale di Trump non era solo malamente concepita. Era anche altalenante. Nessuno sapeva quali prodotti potevano andare incontro a nuove tariffe o se le tariffe che egli aveva imposto sarebbero rimaste. E nelle alte tecnologie, in particolare nei semiconduttori, Trump cominciò ad imporre restrizioni alle esportazioni, peraltro in modo erratico (e con la apparente inconsapevolezza che la Cina avrebbe semplicemente potuto rivolgersi ad altri fornitori).

Scrissi in quel tempo, che il problema non era tanto che Trump fosse, come si definiva, L’Uomo delle Tariffe, quanto che era un Uomo delle Tariffe capriccioso e imprevedibile. E questo mise nel caos la programmazione delle imprese, particolarmente nei semiconduttori.

Si considerino i produttori stranieri che vendono sul mercato statunitense. Tali produttori hanno poco incentivo ad aumentare il loro volume di affari, giacché, per quanto ne sanno, potrebbero all’improvviso trovarsi di fronte a tariffe elevate. Ma anche i produttori statunitensi hanno poco incentivo a investire, perché, per quanto ne sanno, la protezione tariffaria sulla quale si basano potrebbe andarsene da un giorno all’altro – oppure potrebbero d’un tratto ritrovarsi impediti nel vendere sui mercati stranieri.

Fondamentalmente, le catene internazionali dell’offerta non funzionano benissimo quando le politiche di una delle economie fondamentali del mondo è governata dai capricci di un leader che prende le sue idee dalle televisioni commerciali.

Si noti che, in questo caso, non sto facendo del purismo da libero commercio. Ci sono buoni argomenti per la politica di un Governo interventista per garantire affidabili catene dell’offerta – e l’Amministrazione Biden si sta muovendo in questa direzione. È importante, tuttavia, che questa politica sia concepita da persone che capiscono la materia e che le regole del gioco siano sufficientemente chiare da consentire alle imprese di programmare.

In altre parole, c’è bisogno di uno stile di governo che sia l’opposto di quello che avevamo nella Amministrazione precedente.

Per quello che può valere, io non penso che la cattiva politica sia la causa principale delle strozzature che stiamo sperimentando, e non penso neppure che queste strozzature impediranno un rapida ripresa economica. Ma la politica commerciale basata sui capricci di Trump ha fatto un danno vero, e ne stiamo ancora pagando il prezzo.

 

 

 

 

 

[1] Un traduzione più letterale sarebbe “delle schegge o scaglie (di silicio)”, dato che i “chips” sono i pezzetti di silicio dove è stampato un processore. Ma i semiconduttori non sono processori (che sono i dispositivi dedicati alla realizzazione di istruzioni), sono i materiali che compongono tali “schegge”.  “I semiconduttori, nella scienza e tecnologia dei materiali, sono materiali, appartenenti alla categoria dei semimetalli, che possono assumere una resistività superiore a quella dei conduttori e inferiore a quella degli isolanti; la resistività dipende in modo diretto dalla temperatura”. Wikipedia .

[2]Peleton” è il nome di una azienda americana che produce attrezzature per esercizi fisici, in particolare biciclette dotate di schermi e di videoapplicazioni con i quali restare in connessione con amici ciclisti “da remoto”. In francese, come sanno tutti i patiti delle tappe del Tour, ‘peleton’ sta per ‘plotone’, o meglio ‘gruppo’.

 

 

 

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