Blog di Krugman

Demistificare la fata della fiducia di Taylor (per esperti) (19 marzo 2013)

 

March 19, 2013, 12:07 pm

Demystifying Taylor’s Confidence Fairy (Wonkish)

I was wondering, but Noah Smith does the work.

According to Smith, Cogan-Taylor et al simply ignore the zero lower bound — which means that they ignore the whole reason we’re talking about fiscal policy in the first place.

They also assume that spending cuts fall overwhelmingly on transfers, not on government purchases; their own model actually suggests considerable impact from declines in purchases. The reason for the small effect of transfers is presumably some kind of near-Ricardian equivalence: spending doesn’t decline much from a cut in transfers because people expect offsetting tax cuts later. And they then assume huge distortion effects from taxes, so that lower tax rates add substantially to expected future pre-tax income too.

 

Right away, we see that they’re being disingenuous: their difference from Keynesians isn’t because those dumb Keynesians don’t take account of the future, it’s because they’re making very different and highly dubious assumptions both about policy and about how the economy works.

 

And should the Ryan plan really be thought of, for macroeconomic purposes, as a cut in transfers that is fungible with future taxes? First of all, a lot of the spending cuts come from discretionary spending, which is basically goods and services. The rest comes largely from Medicaid, food stamps, and other in-kind aid programs serving families in need. So how does that work?

 

Let’s think this through. If you take $200 billion a year from the poor and hand it to the rich, and people believe that this transfer is forever, permanent income theory says that consumption among the poor should fall by $200 billion while consumption among the rich rises by the same amount. There are, however, two reasons not to believe this.

One is that there is some evidence that permanent income doesn’t work all that well, that the rich persistently consume less of their income than the poor.

More to the point here, however, is that it’s very likely that people would view both savage spending cuts and the tax cuts they pay for as less than permanent, likely to provoke a backlash or at any rate a reversal at some point. And in that case the rich would not spend all of their tax cut.

 

The poor, on the other hand, would probably cut spending by almost all of their benefit cut. For one thing, these are in-kind benefits — health care is not a perfect substitute for other spending. Also, poor people don’t have pools of savings to live off or ready access to capital markets! So we’re taking money from liquidity-constrained people and giving it to people who don’t face that kind of constraint. Result: contractionary policy is very likely to be contractionary.

Of course, none of this matters to most WSJ readers; this stuff confirms their prejudices, and that’s all they care about. Still, they should know that what they’re getting isn’t what “modern macroeconomics” says; it’s just what a couple of guys who are actually very much at odds with many other modern macroeconomists say.

 

Demistificare la fata della fiducia di Taylor (per esperti)

 

Mi stavo meravigliando, ma ci ha pensato Noah Smith  [1].

Secondo Smith, semplicemente Cogan-Taylor e gli altri ignorano il limite inferiore di zero [2] – il che significa che anzitutto ignorano completamente la ragione per la quale stiamo parlando di politica della finanza pubblica.

Inoltre assumono che il tagli alla spesa cadono completamente sui trasferimenti [3], non sugli acquisti da parte dello Stato (di beni o servizi); il loro stesso modello in effetti indica un impatto considerevole  del calo degli acquisti. La ragione per il piccolo effetto dei trasferimenti è probabilmente qualcosa di prossimo ad un qualche tipo di ‘equivalenza Ricardiana’ [4]: la spesa non cala molto per effetto di un taglio sui trasferimenti perché le persone si aspettano di bilanciare con successivi sgravi fiscali. Ed essi (Cogan-Taylor) assumono poi ampi effetti distorsivi dalle tasse, cosicché ad aliquote fiscali più basse viene sostanzialmente ad aggiungersi anche il reddito futuro atteso prima delle tasse.

Ci accorgiamo subito di quanto essi siano in malafede: la loro differenza dai keynesiani non consiste nel fatto che quegli sciocchi keynesiani non mettono nel conto il futuro, piuttosto dal fatto che essi stessi  avanzano svariati ed assai dubbi assunti su come funzionino sia la politica che l’economia.

E il piano Ryan dovrebbe davvero essere pensato, dal punto di vista macroeconomico, come un taglio nei trasferimenti recuperabile con tasse future? In primo luogo, una grande quantità di tagli alle spese deriva dalla spesa pubblica discrezionale, che fondamentalmente riguarda beni e servizi. Il resto deriva in gran parte da Medicaid, dagli aiuti alimentari, e da altri programmi di aiuto in natura al servizio di famiglie bisognose. Dunque, come funziona?

Potete pensarci in questi termini. Se prendete 200 miliardi di dollari all’anno dai poveri e li passate ai ricchi, e la gente crede che questo sia un trasferimento per sempre, la teoria del reddito permanente [5] dice che il consumo tra i poveri diminuirà di 200 miliardi di dollari, mentre quello tra i ricchi aumenterà della stessa somma. Ci sono, tuttavia, due ragioni per non crederlo.

Una è che esistono prove per le quali  il reddito permanente non funziona poi così alla perfezione. I ricchi consumano regolarmente meno del loro reddito che non i poveri.

Ancora più attinente, tuttavia, è il fatto che è molto probabile che le persone considereranno sia i tagli selvaggi alla spesa che gli sgravi fiscali da loro rimborsati non proprio permanenti, tali probabilmente da provocare a un certo punto un contraccolpo o in qualche misura un ribaltamento. E in quel caso i ricchi non spenderebbero niente dei loro sgravi fiscali.

I poveri, d’altra parte, probabilmente taglierebbero le loro spese in misura pari a quasi tutti i tagli ai loro sussidi.   Prima di tutto, questi sono sussidi in natura – la assistenza sanitaria non è perfettamente intercambiabile con altre spese. Inoltre, la povera gente non ha mucchi di risparmi sui quali campare o facili accessi ai mercati dei capitali! Dunque, stiamo prendendo soldi da persone limitate nella loro liquidità e li stiamo dando a gente che non deve fare i conti con quel genere di limitazioni. Risultato: una politica restrittiva è assai probabile che sia restrittiva.

Naturalmente, niente di questo risulterà importante per la maggior parte dei lettori del Wall Street Journal  [6]; questa roba conferma i loro pregiudizi, e ciò è tutto quanto sta loro a cuore. Eppure, essi dovrebbero sapere che ciò che gli passano non è quello che la “macroeconomia moderna” dice; è solo quello che dicono una coppia di individui che sono proprio agli antipodi di molti altri moderni macroeconomisti



[1] Docente di Finanza alla Stony Brook University, scrive su The Atlantic e sul suo blog personale Noahopinion. Proprio sul blog Smith è intervenuto – il giorno stesso, cioè il 19 marzo – sul tema dell’articolo di Cogan/Taylor, sul quale Krugman aveva scritto nel post precedente, sempre del 19 marzo.

[2] Per il concetto di “limite inferiore di zero” (“zero lower bound”) vedi note finale sulla traduzione.

[3] Er trasferimenti finanziari si intendono ad esempio, i sussidi sociali.

[4] L’equivalenza ricardiana (nota anche come equivalenza di Barro-Ricardo) è una teoria economica che suggerisce come i consumatori internalizzino i vincoli di bilancio e come quindi la tempistica dei cambiamenti della tassazione non influisca sul loro profilo di spesa. Di conseguenza l’equivalenza ricardiana suggerisce che la scelta di finanziare le spese governative attraverso il debito piuttosto che con un aumento delle tasse non abbia influenza sul livello della domanda. Era stata prima proposta e poi rifiutata dall’economista del diciannovesimo secolo David Ricardo.

[5] La “ipotesi del reddito permanente (PIH)” è una teoria del consumo che venne sviluppata dall’economista Milton Friedman. Nella sua forma più semplice, la ipotesi dice che le scelte che fanno i consumatori sui loro consumi sono largamente determinate da un mutamento nel loro reddito permanente, piuttosto che da cambiamenti nel reddito temporaneo. Cambiamenti temporanei di reddito avranno effetti modesti nei comportamenti di spesa dei consumatori, mentre mutamenti definitici di reddito avranno effetti rilevanti.

[6] E’ il giornale della destra economica dove è apparso l’articolo di Cogan/Taylor.

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