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Dopo le bugie (New York Times 14 marzo 2013)

 

After the Flimflam

By PAUL KRUGMAN
Published: March 14, 2013

 

It has been a big week for budget documents. In fact, members of Congress have presented not one but two full-fledged, serious proposals for spending and taxes over the next decade.

 

Before I get to that, however, let me talk briefly about the third proposal presented this week — the one that isn’t serious, that’s essentially a cruel joke.

 

Way back in 2010, when everybody in Washington seemed determined to anoint Representative Paul Ryan as the ultimate Serious, Honest Conservative, I pronounced him a flimflam man. Even then, his proposals were obviously fraudulent: huge cuts in aid to the poor, but even bigger tax cuts for the rich, with all the assertions of fiscal responsibility resting on claims that he would raise trillions of dollars by closing tax loopholes (which he refused to specify) and cutting discretionary spending (in ways he refused to specify).

 

Since then, his budgets have gotten even flimflammier. For example, at this point, Mr. Ryan is claiming that he can slash the top tax rate from 39.6 percent to 25 percent, yet somehow raise 19.1 percent of G.D.P. in revenues — a number we haven’t come close to seeing since the dot-com bubble burst a dozen years ago.

The good news is that Mr. Ryan’s thoroughly unconvincing policy-wonk act seems, finally, to have worn out its welcome. In 2011, his budget was initially treated with worshipful respect, which faded only slightly as critics pointed out the document’s many absurdities. This time around, quite a few pundits and reporters have greeted his release with the derision it deserves.

And, with that, let’s turn to the serious proposals.

 

Unless you’re a very careful news reader, you’ve probably heard about only one of these proposals, the one released by Senate Democrats. And let’s be clear: By comparison with the Ryan plan, and for that matter with a lot of what passes for wisdom in our nation’s capital, this is a very reasonable plan indeed.

As many observers have pointed out, the Senate Democratic plan is conservative with a small “c”: It avoids any drastic policy changes. In particular, it steers away from draconian austerity, which is simply not needed given ultralow U.S. borrowing costs and relatively benign medium-term fiscal projections.

 

True, the Senate plan calls for further deficit reduction, through a mix of modest tax increases and spending cuts. (Incidentally, the tax increases still fall well short of those called for in the Bowles-Simpson plan, which Washington, for some reason, treats as something close to holy scripture.) But it avoids large short-run spending cuts, which would hobble our recovery at a time when unemployment is still disastrously high, and it even includes a modest amount of stimulus spending.

 

So we could definitely do worse than the Senate Democratic plan, and we probably will. It is, however, an extremely cautious proposal, one that doesn’t follow through on its own analysis. After all, if sharp spending cuts are a bad thing in a depressed economy — which they are — then the plan really should be calling for substantial though temporary spending increases. It doesn’t.

But there’s a plan that does: the proposal from the Congressional Progressive Caucus, titled “Back to Work,” which calls for substantial new spending now, temporarily widening the deficit, offset by major deficit reduction later in the next decade, largely though not entirely through higher taxes on the wealthy, corporations and pollution.

I’ve seen some people describe the caucus proposal as a “Ryan plan of the left,” but that’s unfair. There are no Ryan-style magic asterisks, trillion-dollar savings that are assumed to come from unspecified sources; this is an honest proposal. And “Back to Work” rests on solid macroeconomic analysis, not the fantasy “expansionary austerity” economics — the claim that slashing spending in a depressed economy somehow promotes job growth rather than deepening the depression — that Mr. Ryan continues to espouse despite the doctrine’s total failure in Europe.

 

 

No, the only thing the progressive caucus and Mr. Ryan share is audacity. And it’s refreshing to see someone break with the usual Washington notion that political “courage” means proposing that we hurt the poor while sparing the rich. No doubt the caucus plan is too audacious to have any chance of becoming law; but the same can be said of the Ryan plan.

So where is this all going? Realistically, we aren’t likely to get a Grand Bargain any time soon. Nonetheless, my sense is that there is some real movement here, and it’s in a direction conservatives won’t like.

As I said, Mr. Ryan’s efforts are finally starting to get the derision they deserve, while progressives seem, at long last, to be finding their voice. Little by little, Washington’s fog of fiscal flimflam seems to be lifting.

 

Dopo le bugie , di Paul Krugman

New York Times 14 marzo 2013

 

E’ stata una grande settimana per i documenti sul bilancio. Di fatto, i membri del Congresso hanno presentato non una ma due proposte serie e ben definite per la spesa pubblica e le tasse nel prossimo decennio.

 

Prima di arrivare a questo, tuttavia, fatemi dire della terza proposta presentata questa settimana –  quella non seria, che è nella sostanza una barzelletta malefica.

Nel passato 2010, quando tutti a Washington sembravano aver deciso di consacrare il deputato Paul Ryan come il sommo “Serio ed Onesto Conservatore”, io lo definii  come l’uomo delle fandonie. Anche allora le sue proposte erano evidentemente disoneste: grandi tagli sulla assistenza ai poveri ma sgravi fiscali persino più grandi per i ricchi, con tutte le asserzioni di responsabilità fiscale che si fondavano sulla pretesa di rendere disponibili migliaia di miliardi di dollari in più per l’interruzione delle elusioni fiscali (che si rifiutava di specificare) e per tagli sulla spesa pubblica discrezionale (che ancora si rifiutava di specificare).

Da allora, i suoi bilanci sono diventati ancora più bugiardi. Per esempio, a questo punto il signor Ryan pretenderebbe di poter tagliare l’aliquota fiscale sui redditi più alti dal 39,6 per cento al 25 per cento, tuttavia in qualche modo innalzando le entrate al 19,1 per cento del PIL – un dato al quale non ci siamo più avvicinati dallo scoppio della bolla informatica di una dozzina di anni orsono.

La buona notizia è che pare agli sgoccioli la buona accoglienza  verso l’atteggiarsi assolutamente improbabile a legislatore esperto del signor Ryan. Nel 2011 il suo bilancio venne inizialmente trattato con venerato riguardo, che si ridusse solo di poco allorché i suoi critici misero in evidenza le molte assurdità del documento. Questa volta un buon numero di esperti e di giornalisti hanno salutato la sua presentazione con l’ironia che si merita.

Ciò detto, torniamo alle proposte serie.

A meno che non siate lettori scrupolosi di quotidiani, probabilmente avrete sentito parlare soltanto di una di queste proposte, quella presentata dai Democratici del Senato. Diciamolo con chiarezza: a confronto con il piano di Ryan e, per ciò che conta, con un bel po’ di quello che viene giudicato saggio a Washington, in effetti si tratta di un piano assai ragionevole.

Come molti osservatori hanno sottolineato, il piano dei Democratici del Senato è conservatore, con una “c” minuscola: evita qualsiasi drastico cambiamento politico. In particolare, si tiene alla larga da austerità draconiane, che semplicemente non sono necessarie dati i bassissimi costi dell’indebitamente statunitense e le previsioni di medio periodo relativamente benigne.

E’ vero, il piano del Senato si pronuncia per una ulteriore riduzione del deficit, attraverso una combinazione di modesti aumenti fiscali e di tagli alle spese (per inciso, i tagli alle spese restano molto al di sotto di quelli chiesti dal piano Bowles-Simpson, che Washington, per qualche ragione, tratta alla stregua di una scrittura sacra). Ma evita ampi tagli alle spese nel breve periodo, che azzopperebbero la nostra ripresa in un momento nel quale la disoccupazione è ancora disastrosamente elevata, e comprende anche una somma modesta di misure di sostegno attraverso la spesa pubblica.

Di sicuro, dunque, si potrebbe far peggio del piano del Senato, e probabilmente finirà così. Tuttavia, esso è una proposta estremamente cauta, non conseguente alla stessa sua analisi. Dopo tutto, se i bruschi tagli alla spesa sono come sono una cosa negativa in un’economia depressa, allora il piano si dovrebbe pronunciare per incrementi della spesa sostanziali, seppur temporanei. Non è così.

Ma c’è un piano che lo fa: la proposta da parte del Raggruppamento dei progressisti del Congresso, dal titolo “Tornare al lavoro”, che si pronuncia per immediati sostanziali aumenti della spesa, provvisoriamente ampliando il deficit, compensandolo con una importante riduzione in una seconda parte del decennio, in larga parte seppure non interamente attraverso tasse più alte sui ricchi, sulle grandi imprese e sull’inquinamento.

A quanto leggo ci sono persone che definiscono la proposta del Raggruppamento come “un piano Ryan di sinistra”, ma questo è ingiusto. Non ci sono i “magici asterischi [1]” del genere di quelli di Ryan, risparmi da migliaia di miliardi di dollari che provengono da fonti non specificate. Questa è una proposta onesta. E “Tornare al lavoro” si basa su una analisi macroeconomica solida, non sulla economia  fantastica della “austerità espansiva” – la pretesa secondo la quale abbattere la spesa in una economia depressa, non si sa come, favorirebbe la crescita di posti di lavoro anziché approfondire la depressione – che il signor Ryan continua a far propria, nonostante i fallimento totale di quella dottrina in Europa.

No, l’unica cosa che il gruppo dei progressisti e Ryan hanno in comune è l’audacia. E conforta vedere qualcuno che rompe lo schema consueto di Washington, secondo il quale il “coraggio” significa proporre di colpire i poveri e di far salvi i ricchi. Nessun dubbio che il piano del Raggruppamento  sia troppo audace per avere qualche possibilità di diventare legge; ma la stessa cosa si può dire del piano Ryan.

Come andrà a finire, dunque? Realisticamente, è improbabile che avremo prossimamente una Grande Intesa. Nondimeno, la mia sensazione è che siamo in presenza di qualche movimento reale, e in una direzione che non è di gradimento dei conservatori.

Come ho detto, gli sforzi di Ryan cominciano ad esser trattati con lo scherno che meritano, mentre pare che  i progressisti, alla buon’ora, stiano ritrovando la voce. Un po’ alla volta, sembra che la nebbia delle fandonie fiscali di Washington  si stia sollevando.



[1] E’ un espressione usata da Krugman varie altre volte in passato: la caratteristica dei piani Repubblicani è quella di rimandare a specificazioni indefinite, che in realtà non specificano niente. Rimandare tramite asterischi che non aggiungono niente, magici.

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