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Il trauma dell’isola del tesoro (New York Times 21 marzo 2013)

 

Treasure Island Trauma

By PAUL KRUGMAN

Published: March 21, 2013

A couple of years ago, the journalist Nicholas Shaxson published a fascinating, chilling book titled “Treasure Islands,” which explained how international tax havens — which are also, as the author pointed out, “secrecy jurisdictions” where many rules don’t apply — undermine economies around the world. Not only do they bleed revenues from cash-strapped governments and enable corruption; they distort the flow of capital, helping to feed ever-bigger financial crises.

One question Mr. Shaxson didn’t get into much, however, is what happens when a secrecy jurisdiction itself goes bust. That’s the story of Cyprus right now. And whatever the outcome for Cyprus itself (hint: it’s not likely to be happy), the Cyprus mess shows just how unreformed the world banking system remains, almost five years after the global financial crisis began.

So, about Cyprus: You might wonder why anyone cares about a tiny nation with an economy not much bigger than that of metropolitan Scranton, Pa. Cyprus is, however, a member of the euro zone, so events there could trigger contagion (for example, bank runs) in larger nations. And there’s something else: While the Cypriot economy may be tiny, it’s a surprisingly large financial player, with a banking sector four or five times as big as you might expect given the size of its economy.

Why are Cypriot banks so big? Because the country is a tax haven where corporations and wealthy foreigners stash their money. Officially, 37 percent of the deposits in Cypriot banks come from nonresidents; the true number, once you take into account wealthy expatriates and people who are only nominally resident in Cyprus, is surely much higher. Basically, Cyprus is a place where people, especially but not only Russians, hide their wealth from both the taxmen and the regulators. Whatever gloss you put on it, it’s basically about money-laundering.

 

And the truth is that much of the wealth never moved at all; it just became invisible. On paper, for example, Cyprus became a huge investor in Russia — much bigger than Germany, whose economy is hundreds of times larger. In reality, of course, this was just “roundtripping” by Russians using the island as a tax shelter.

 

Unfortunately for the Cypriots, enough real money came in to finance some seriously bad investments, as their banks bought Greek debt and lent into a vast real estate bubble. Sooner or later, things were bound to go wrong. And now they have.

 

Now what? There are some strong similarities between Cyprus now and Iceland (a similar-size economy) a few years back. Like Cyprus now, Iceland had a huge banking sector, swollen by foreign deposits, that was simply too big to bail out. Iceland’s response was essentially to let its banks go bust, wiping out those foreign investors, while protecting domestic depositors — and the results weren’t too bad. Indeed, Iceland, with a far lower unemployment rate than most of Europe, has weathered the crisis surprisingly well.

Unfortunately, Cyprus’s response to its crisis has been a hopeless muddle. In part, this reflects the fact that it no longer has its own currency, which makes it dependent on decision makers in Brussels and Berlin — decision makers who haven’t been willing to let banks openly fail.

But it also reflects Cyprus’s own reluctance to accept the end of its money-laundering business; its leaders are still trying to limit losses to foreign depositors in the vain hope that business as usual can resume, and they were so anxious to protect the big money that they tried to limit foreigners’ losses by expropriating small domestic depositors. As it turned out, however, ordinary Cypriots were outraged, the plan was rejected, and, at this point, nobody knows what will happen.

 

My guess is that, in the end, Cyprus will adopt something like the Icelandic solution, but unless it ends up being forced off the euro in the next few days — a real possibility — it may first waste a lot of time and money on half-measures, trying to avoid facing up to reality while running up huge debts to wealthier nations. We’ll see.

 

But step back for a minute and consider the incredible fact that tax havens like Cyprus, the Cayman Islands, and many more are still operating pretty much the same way that they did before the global financial crisis. Everyone has seen the damage that runaway bankers can inflict, yet much of the world’s financial business is still routed through jurisdictions that let bankers sidestep even the mild regulations we’ve put in place. Everyone is crying about budget deficits, yet corporations and the wealthy are still freely using tax havens to avoid paying taxes like the little people.

 

 

So don’t cry for Cyprus; cry for all of us, living in a world whose leaders seem determined not to learn from disaster.

 

Il trauma dell’isola del tesoro, di Paul Krugman

New York Times 21 marzo 2013

Un paio d’anni fa il giornalista Nicholas Shaxson pubblicò un affascinante ed inquietante libro dal titolo “Isole del Tesoro”, che spiegava come i paradisi fiscali internazionali – che sono anche, come faceva notare l’Autore, “giurisdizioni di segretezza” dove molte regole non si applicano – minaccino le economie di tutto il mondo. Non solo salassano le entrate di Stati sull’orlo della bancarotta ed incoraggiano la corruzione; distorcono anche i flussi dei capitali, contribuendo ad alimentare crisi finanziarie anche maggiori. Una domanda che Shaxson non si pose, tuttavia, è che cosa accade quando una giurisdizione basata sulla segretezza va per suo conto a gambe all’aria. E’ questa la storia di Cipro in questo momento. E qualsiasi sia l’esito per la stessa Cipro (mi limito a suggerire che è improbabile sia allegro), il disastro cipriota mostra quanto il sistema bancario mondiale resti senza alcuna riforma, a cinque anni dall’inizio della crisi finanziaria globale.

Dunque, a proposito di Cipro: vi potreste meravigliare che ci sia chi si preoccupa di una minuscola nazione con un’economia non molto più grande dell’area metropolitana di Scranton, in Pennsylvania [1]. Cipro, tuttavia, è membro dell’eurozona, e quello che vi accade (ad esempio, fallimenti di banche) può innescare il contagio in nazioni più grandi. Se l’economia di Cipro è minuscola, essa è un protagonista sorprendentemente rilevante della finanza, con un settore bancario grande quattro o cinque volte quello che vi aspettereste per le dimensioni di quell’economia.

Perché la banche cipriote sono così grandi? Perché il paese è un paradiso fiscale dove le grandi imprese e le grandi ricchezze straniere mettono al sicuro i loro capitali. Ufficialmente, il 37 per cento dei depositi nelle banche cipriote provengono da non residenti; il dato effettivo, una volta che si mettano nel conto le persone facoltose espatriate e gli individui che sono residenti a Cipro solo nominalmente, è sicuramente molto più alto. In sostanza, Cipro è un posto dove le persone, in particolare ma non soltanto russi, nascondono le loro ricchezze sia all’erario che agli organi di controllo. Comunque la giriate, si tratta in sostanza di riciclaggio di capitali.

E la verità è che gran parte di quella ricchezza non si è neanche mossa; è solo diventata invisibile. Sulla carta, ad esempio, Cipro è diventata un grande investitore in Russia – molto più grande della Germania, la cui economia è centinaia di volte più vasta. E’ chiaro che in realtà si è trattato soltanto di viaggi “di andata e ritorno” da parte di russi che utilizzano l’isola come un rifugio dal fisco.

Sfortunatamente per i Ciprioti, capitali del tutto reali hanno finito col finanziare alcuni investimenti gravemente sbagliati, allorché le loro banche hanno acquistato obbligazioni sul debito greco ed hanno concesso prestiti ad un’ampia bolla immobiliare. Prima o dopo, le cose erano destinate ad andar storte. E così è stato.

E a questo punto? Ci sono alcune forti somiglianze tra la Cipro odierna e l’Islanda (una economia di dimensioni analoghe) di pochi anni orsono. Come la Cipro di questi tempi, l’Islanda aveva un vasto settore bancario, rigonfio di depositi stranieri, che era semplicemente troppo grande per essere oggetto di salvataggi. La risposta dell’Islanda fu essenzialmente quella di far fallire le proprie banche, passando un colpo di spugna sugli investitori esteri nel mentre si proteggevano i depositi domestici – ed i risultati non furono affatto negativi. In effetti l’Islanda, con un tasso di disoccupazione di gran lunga più basso rispetto a gran parte dell’Europa, ha resistito alla crisi  sorprendentemente bene. 

Sfortunatamente, la risposta di Cipro alla sua crisi è stata un pasticcio disperante. In parte, questo è dipeso dal fatto che essa non ha più una valuta propria, il che la rende dipendente da coloro che a Bruxelles ed a Berlino hanno il potere di decidere – e quei decisori non hanno voluto che la banche fallissero apertamente.

Ma è dipeso anche dalla autonoma riluttanza di Cipro ad accettare la fine delle sue attività di riciclaggio dei capitali; i suoi dirigenti stanno ancora cercando di limitare le perdite per i depositanti stranieri nella vana speranza di poter riprendere i soliti affari, e si sono mostrati così ansiosi nel proteggere i grandi capitali da cercar di limitare del perdite degli stranieri attraverso l’esproprio dei piccoli depositanti domestici. Allorquando lo si è saputo, tuttavia, i Ciprioti comuni si sono sentiti offesi, il piano è stato rigettato e, a questo punto, nessuno sa cosa accadrà.

La mia opinione è che, alla fine, Cipro adotterà una soluzione in qualche modo simile a quella islandese, ma se essa non finirà con l’essere spinta fuori dall’euro nei prossimi giorni – cosa non impossibile – essa potrebbe prima di tutto sprecare una grande quantità di tempo e di denaro in mezze misure, nel tentativo di evitare di fare i conti con la realtà nel mentre crescono rapidamente grossi debiti con le nazioni più ricche.

Facciamo però per un istante un passo indietro e consideriamo la circostanza incredibile per la quale paradisi fiscali come Cipro, come le Isole Cayman e molti altri stanno ancora operando all’incirca nello stesso modo di prima della crisi finanziaria globale. Tutti si sono resi conto del danno che banchieri fuori controllo possono provocare, tuttavia gran parte degli affari finanziari del mondo ancora razzolano attraverso giurisdizioni che consentono ai banchieri di eludere persino i tenui regolamenti che abbiamo adottato. Tutti piangono sui deficit dei bilanci, ma le grandi imprese e le grandi ricchezze stanno ancora utilizzando liberamente i paradisi fiscali per evitare di pagare le tasse come la gente normale.

Dunque, non è il caso di piangere per Cipro; piangiamo per noi tutti, che viviamo in un modo i cui dirigenti sembrano fermamente intenzionati a non imparare dai disastri.


 

 


[1] La città di Scranton, la principale dell’area metropolitana di Scranton/Wilkes-Barre, nella parte nordorientale della Pennsylvania, ha circa 76.000 abitanti.

ed mar 5

 

 

 

 

 

 

 

 

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