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La depressione di Excel (New York Times 18 aprile 2013)

 

The Excel Depression

By PAUL KRUGMAN

Published: April 18, 2013

In this age of information, math errors can lead to disaster. NASA’s Mars Orbiter crashed because engineers forgot to convert to metric measurements; JPMorgan Chase’s “London Whale” venture went bad in part because modelers divided by a sum instead of an average. So, did an Excel coding error destroy the economies of the Western world?

The story so far: At the beginning of 2010, two Harvard economists, Carmen Reinhart and Kenneth Rogoff, circulated a paper, “Growth in a Time of Debt,” that purported to identify a critical “threshold,” a tipping point, for government indebtedness. Once debt exceeds 90 percent of gross domestic product, they claimed, economic growth drops off sharply.

Ms. Reinhart and Mr. Rogoff had credibility thanks to a widely admired earlier book on the history of financial crises, and their timing was impeccable. The paper came out just after Greece went into crisis and played right into the desire of many officials to “pivot” from stimulus to austerity. As a result, the paper instantly became famous; it was, and is, surely the most influential economic analysis of recent years.

 

 

In fact, Reinhart-Rogoff quickly achieved almost sacred status among self-proclaimed guardians of fiscal responsibility; their tipping-point claim was treated not as a disputed hypothesis but as unquestioned fact. For example, a Washington Post editorial earlier this year warned against any relaxation on the deficit front, because we are “dangerously near the 90 percent mark that economists regard as a threat to sustainable economic growth.” Notice the phrasing: “economists,” not “some economists,” let alone “some economists, vigorously disputed by other economists with equally good credentials,” which was the reality.

 

 

For the truth is that Reinhart-Rogoff faced substantial criticism from the start, and the controversy grew over time. As soon as the paper was released, many economists pointed out that a negative correlation between debt and economic performance need not mean that high debt causes low growth. It could just as easily be the other way around, with poor economic performance leading to high debt. Indeed, that’s obviously the case for Japan, which went deep into debt only after its growth collapsed in the early 1990s.

Over time, another problem emerged: Other researchers, using seemingly comparable data on debt and growth, couldn’t replicate the Reinhart-Rogoff results. They typically found some correlation between high debt and slow growth — but nothing that looked like a tipping point at 90 percent or, indeed, any particular level of debt.

 

Finally, Ms. Reinhart and Mr. Rogoff allowed researchers at the University of Massachusetts to look at their original spreadsheet — and the mystery of the irreproducible results was solved. First, they omitted some data; second, they used unusual and highly questionable statistical procedures; and finally, yes, they made an Excel coding error. Correct these oddities and errors, and you get what other researchers have found: some correlation between high debt and slow growth, with no indication of which is causing which, but no sign at all of that 90 percent “threshold.”

 

 

In response, Ms. Reinhart and Mr. Rogoff have acknowledged the coding error, defended their other decisions and claimed that they never asserted that debt necessarily causes slow growth. That’s a bit disingenuous because they repeatedly insinuated that proposition even if they avoided saying it outright. But, in any case, what really matters isn’t what they meant to say, it’s how their work was read: Austerity enthusiasts trumpeted that supposed 90 percent tipping point as a proven fact and a reason to slash government spending even in the face of mass unemployment.

 

So the Reinhart-Rogoff fiasco needs to be seen in the broader context of austerity mania: the obviously intense desire of policy makers, politicians and pundits across the Western world to turn their backs on the unemployed and instead use the economic crisis as an excuse to slash social programs.

What the Reinhart-Rogoff affair shows is the extent to which austerity has been sold on false pretenses. For three years, the turn to austerity has been presented not as a choice but as a necessity. Economic research, austerity advocates insisted, showed that terrible things happen once debt exceeds 90 percent of G.D.P. But “economic research” showed no such thing; a couple of economists made that assertion, while many others disagreed. Policy makers abandoned the unemployed and turned to austerity because they wanted to, not because they had to.

 

So will toppling Reinhart-Rogoff from its pedestal change anything? I’d like to think so. But I predict that the usual suspects will just find another dubious piece of economic analysis to canonize, and the depression will go on and on.

 

La depressione di Excel, di Paul Krugman

New York Times, 18 aprile 2013

 

In questa età dell’informazione, gli errori di matematica possono portare al disastro. Il Mars Orbiter della NASA precipitò perché gli ingegneri si dimenticarono di convertire i sistemi di misura [1]; l’avventura di “London Whale” [2] finì male in parte a causa del fatto che gli addetti ai modelli avevano diviso per una somma invece di fare una media. E così un errore di codice di Excel ha distrutto le economie del mondo occidentale? Questa è la storia sino a questo punto: all’inizio del 2010 due economisti di Harvard, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, misero in circolazione uno studio, “La crescita in un periodo di debito”, che proponeva di identificare una ‘soglia’ critica, un punto limite, per l’indebitamento degli Stati. Una volta che il debito avesse ecceduto il 90 per cento del PIL, sostennero, la crescita economica sarebbe calata bruscamente.

La signora Reinhart ed il signor Rogoff avevano credibilità grazie ad un precedente libro sulla storia delle crisi finanziarie largamente ammirato, e la loro tempistica fu impeccabile. Il saggio venne fuori proprio all’indomani della crisi greca e cadde a puntino per il desiderio di molti dirigenti di spostare l’attenzione dalle misure di sostegno all’economia all’austerità. Di conseguenza, lo studio ebbe una fama fulminea: sicuramente esso fu l’analisi economica più influente degli anni recenti, e tale resta.

Di fatto, Reinhart-Rogoff ottennero una considerazione quasi sacrale tra i sedicenti guardiani della responsabilità della finanza pubblica; la loro tesi del punto critico venne trattata non come una ipotesi discutibile, ma come un fatto certo. Ad esempio, un editoriale del Washington Post degli inizi di quest’anno metteva in guardia contro ogni rilassatezza sul fronte del deficit, giacché eravamo “pericolosamente vicini al limite del 90 per cento che gli economisti considerano come una minaccia ad una crescita economica sostenibile”. Si noti l’espressione: “gli economisti”, non “qualche economista”, trascurando quella che era la realtà, ovvero che “alcuni economisti erano con vigore messi in discussione da altri economisti, con credenziali egualmente buone”.

Perché la verità è che Reinhart-Rogoff dovettero misurarsi sin dall’inizio con critiche sostanziali, e la controversia crebbe col passare del tempo. Appena il saggio venne pubblicato, molti economisti sottolinearono che una correlazione negativa tra il debito e le indispensabili prestazioni economiche non significano che un alto debito provochi una lenta crescita. Potrebbe trattarsi assai facilmente di una relazione inversa, con modeste prestazioni economiche che provocano un debito elevato. In effetti, questo era evidentemente il caso del Giappone, che precipitò nel debito solo dopo il crollo della sua crescita nei primi anni ’90.

Con il passar del tempo, è emerso un altro problema: altri ricercatori, utilizzando statistiche in apparenza confrontabili su debito e crescita, non arrivavano agli stessi risultati di Reinhart-Rogoff. In generale, essi scoprirono alcune correlazioni tra debito elevato e crescita lenta – ma niente che somigliasse al punto limite del 90 per cento, e neppure di ogni altro particolare livello del debito.

Alla fine, la signora Reinhart ed il signor Rogoff consentirono ai ricercatori dell’Università del Massachusetts di guardare i loro originari fogli di calcolo – ed il mistero dei risultati che non si riusciva a confermare venne risolto. In primo luogo, avevano omesso alcuni dati; in secondo luogo avevano utilizzato procedure statistiche assai opinabili; e, infine, proprio così, avevano fatto un errore di codificazione con Excel. Si correggano queste stranezze ed errori e si ottiene quello che altri ricercatori avevano trovato: una qualche correlazione tra debito elevato e crescita lenta, ma nessuna indicazione su quale tra i due fenomeni fosse la causa, e nessun segno di quella “soglia” del 90 per cento.

In risposta, Reinhart e Rogoff hanno riconosciuto l’errore di codificazione, hanno difeso le loro altre scelte ed hanno sostenuto di non aver mai asserito che il debito provochi necessariamente una crescita lenta. La qualcosa è piuttosto insincera, giacché essi avevano ripetutamente alluso a quel concetto, anche se avevano evitato di affermarlo esplicitamente. Ma, in ogni caso, quello che conta per davvero non è quello che intendevano dire, ma come il loro lavoro era stato letto: i fanatici dell’austerità aveva strombazzato quel supposto punto critico del 90 per cento come un fatto provato e come una ragione per tagliare la spesa pubblica anche a fronte di una disoccupazione di massa.

Dunque, il ‘fiasco’ di Reinhart-Rogoff deve essere letto nel contesto più generale della mania per l’austerità: il desiderio evidentemente irrefrenabile degli addetti ai lavori della politica, degli uomini politici e dei commentatori di tutto il mondo occidentale, di dare le spalle ai disoccupati e piuttosto di utilizzare la crisi economica come una scusa per tagliare i programmi sociali.

Quello che la faccenda Reinhart-Rogoff mostra è la misura nella quale l’austerità è stata rivenduta sulla base di falsi pretesti. Per tre anni, la svolta dell’austerità è stata presentata non come una scelta ma come una necessità.  La ricerca economica, ribadivano i sostenitori dell’austerità, mostrava quali cose terribili accadessero una volta che il debito avesse ecceduto il 90 per cento del PIL. Ma la “ricerca economica” non mostrava niente del genere; un paio di economisti l’avevano sostenuto, mentre molti altri erano in disaccordo. Gli operatori politici hanno lasciato i disoccupati a se stessi perché l’hanno voluto, non perché dovessero farlo.

Dunque, rovesciare Reinhart-Rogoff dal loro piedistallo, cambierà qualcosa? Mi piacerebbe pensarlo. Ma prevedo che i soliti noti semplicemente troveranno un altro improbabile brandello di analisi economica da canonizzare, e la depressione continuerà ad andare avanti. 

 



[1] Il Mars Orbiter Climate era un robot spaziale che avrebbe dovuto studiare il clima, l’atmosfera ed i cambiamenti di superficie su Marte. Il 23 settembre 1999 le comunicazioni con la navicella spaziale si interruppero, perché i sistemi di misurazione utilizzati ne computer interni erano diversi da quelli che erano stati previsti per le comunicazioni a terra.

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[2] “London Whale” (“Balena di Londra”) era il soprannome di Bruno Michel Iksil, un finanziere che operava per la JpMorgan Chase di Londra. Assieme ad altri, venne ritenuto responsabile per la perdita di 6,2 miliardi di dollari. Pare che un uso erroneo di Microsoft Excel lo avesse indotto ad un sottostima dei rischi della sua posizione.

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