Letture e Pensieri sparsi, di Marco Marcucci

La conferenza di Krugman al Convegno del FMI – 5 novembre 2013

6 giugno

Ho di recente tradotto la conferenza di Paul Krugman al convegno annuale di ricerca del FMI a New York, che ora è presentata al primo posto nella sezione relativa ai saggi di questo blog. E’ un testo complesso, in particolare il suo paragrafo terzo, purtroppo non comprensibile per chi è debole in matematica come il sottoscritto. Ma credo che la traduzione sia corretta, che i concetti di fondo espressi in lingua comune siano chiari e che sia anche possibile fare alcune considerazioni.

Il punto di vista di Krugman è quello che deriva dal quesito se nei paesi avanzati del mondo – in particolare Stati Uniti, Regno Unito e Giappone –  che dispongono della loro valuta ed hanno debiti più o meno grandi espressi di norma nella loro valuta, siano possibili gli effetti di crisi di fiducia degli investitori che hanno interessato i paesi della periferia europea e in particolare la Grecia. Krugman ha constatato che la grande “guerra civile” tra gli economisti, che aveva sperato virtualmente conclusa mesi orsono,  in realtà si riproponeva non solo tra le “persone influenti”, ma tra gli economisti medesimi. Ne era stata un prova la recente discussione con Rogoff, nella quale erano anche intervenuti Wren-Lewis e Skidelsky. Il suo sforzo è quello di portare ulteriori argomenti, e certamente non è privo di significato se nel convegno newyorkese del FMI alla sua relazione sia stato riconosciuto il ruolo centrale da un sorprendente Fondo Monetario che, sotto la direzione di Olivier Blanchard, sembra l’unica istituzione attualmente dotata almeno di curiosità intellettuale.

Ma è particolarmente interessante valutare questi suoi nuovi contributi, dal punto di vista della situazione reale e del dibattito politico in Europa ed anche in Italia.

Anzitutto: da anni Krugman ed altri avevano insistito nel mettere in evidenza una “lettura alternativa” della crisi europea; crisi della bilancia dei pagamenti, degli squilibri non governati dei conti correnti dei paesi centrali e di quelli periferici, del blocco improvviso dei generosi e convenienti flussi di capitali dagli uni agli altri dopo la crisi finanziaria del 2008. Tutti questi argomenti sono elencati nella prima parte di questa relazione: la analisi di DeGrauwe (ormai anche di tanti altri) sulla fragilità di sistemi monetari unitari nei quali non è definito con chiarezza il ruolo di “prestatore di ultima istanza” di un soggetto regolatore unitario della politica monetaria; il fatto che, di conseguenza, si sia dovuta attendere la determinazione di Mario Draghi per avere effetti di qualche efficacia nel frenare i fenomeni speculativi; il fatto che i paesi della cosiddetta Europa periferica avessero una marcata somiglianza non negli eccessivi debiti sovrani, ma negli squilibri della bilancia dei pagamenti etc.

Con questo studio, però, quel punto di vista acquista un significato teoricamente più definitivo, o almeno questo è quanto io capisco. Si comprende meglio non solo che questo fenomeno – dei “blocchi improvvisi” dei flussi dei capitali – è una forma consueta delle grandi crisi moderne caratterizzate da un ruolo enorme della finanza (l’espressione era stata coniata a seguito della crisi asiatica della fine degli anni ’90 dall’economista Guillermo Calvo), ma anche che l’azione della fluttuazione dei tassi di cambio è  una condizione fondamentale  per impedire, prevenire e comunque governare crisi di quella natura. Scrive agli inizi Krugman: “è probabilmente degno di nota che l’acquisizione centrale di Mundell e Fleming era che i regimi valutari sono di enorme importanza per la macroeconomia – che gli effetti e l’efficacia della politica monetaria e della finanza pubblica sono abbastanza diversi nella condizione di cambi fissi e fluttuanti. Sostenere, come io farò, che i regimi valutari hanno anche un largo impatto sulla natura e sulle probabilità delle crisi finanziarie è davvero molto nello spirito di Mundell e Fleming.” Ovvero: coloro che avevano espresso “scetticismo” sulla possibilità di funzionamento dei meccanismi della moneta unica europea nel momento in cui si fosse entrati in un fase di improvvisa inversione della tendenza e di recessione, lo avevano fatto non solo sulla base di una lettura delle difficoltà specifiche di quell’esperimento in Europa – diversi mercati del lavoro e diversi bilanci pubblici – ma sulla base di una idea assai più generale del funzionamento delle economie. Se posso dirlo in modo magari un po’ semplicistico: non solo ci è mancato sul momento il ruolo di una banca centrale che dichiarasse di voler e poter fare il suo mestiere, dinanzi alla quale gli spazi per la speculazione finanziaria o anche solo per la espressione di paure da parte degli investitori sarebbero stati ridotti. Più in generale, abbiamo rinunciato a strumenti naturali di politica monetaria, perché non li abbiamo più come nazioni singole e siamo lontani dall’averli  come federazione di nazioni diverse. Il che, in sostanza, significa che è ormai all’ordine del giorno o un definitivo fallimento, o uno storico balzo in avanti nella costruzione dell’unità europea. Che è il tema fondamentale di un importante libro recente, “Il teorema del lampadario” di Jean-Paul Fitoussi, sul quale vorrei prossimamente dire le mie impressioni.

E’ chiaro che si tratta in fondo di una conseguenza di tutti gli argomenti che erano stati messi in fila nel corso di questi ultimi anni. Ciononostante, questa definitiva messa a punto arriva in un momento significativo. La Commissione Europea (con una mossa nella quale parrebbe di poter leggere un po’ di saggezza, se non si trattasse, come è più probabile, di solo equilibrismo) “apre una procedura” nei confronti delle esportazioni eccessive della Germania …. Non è curioso che sotto accusa siano le esportazioni eccessive, senza che in precedenza a nessuno fosse venuto in mente di aprire procedure sulla domanda interna insufficiente o sulla inflazione troppo bassa? E’ un po’ come mettere sotto inchiesta un atleta perché corre troppo veloce, anziché per sospetto ‘doping’.  A nessuno viene in mente che, tra le cose “eccessive”, c’è il fatto che la Germania è considerevolmente premiata da un tasso di cambio favorevole in virtù delle sofferenze di una discreta parte dell’Europa, del quale cambio certamente non godrebbe se ancora avesse il marco (si veda il post di Krugman del 27 settembre, “La Germania come manipolatrice di valuta”)? Per non dire del catastrofico linguaggio curiale europeo: dire che si apre una “procedura” sul tema del futuro di tutti (“si può ancora sognare d’Europa?”, si chiede Fitoussi) non è lo specchio della ineffabile incompetenza democratica della Commissione Europea?

Insomma, i nodi vengono sempre più al pettine, e con essi il dubbio che il pettine non basti.

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