Letture e Pensieri sparsi, di Marco Marcucci

Una storia delle mafie in Europa – 8 dicembre 2013

 

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Jacques de Saint Victor, nato nel 1963, è uno storico francese, professore alla Università Paris 8 Vincennes-Saint-Denis, studioso del pensiero liberale, dei sistemi giuridici, della criminalità organizzata, della storia giuridica della mondializzazione. Nonché critico letterario su Le Figaro. Giorni orsono ho scorto il suo ultimo libro, semiseppellito tra interviste ai personaggi politici del momento; e la ragione per la quale continuo ad avventurarmi in esperienze di acquisto di questo genere è che non mi ha mai abbandonato la fortuna di trovare libri molto belli. Ormai la considero una specie di magia, non perché sia impossibile trovare bei libri, ma perché è una battaglia disseppellirli. Del resto, la modesta cultura degli autodidatti dipende in buona misura da quella magica fortuna.

Il titolo italiano (in francese “Un pouvoir invisible”, 2012, Editions Gallimard) è forse un tentativo di trarre qualche vantaggio dalla prevedibile connessione con la abbondante cronaca sull’ultimo presunto patto scellerato tra potere politico e mafia. Ma è anche un titolo appropriato, per una diversa ragione. Il problema di una definizione corretta dei fenomeni mafiosi è molto complicato; si può leggere il primo capitolo (“Introibo”)  della “Storia della mafia” di Salvatore Lupo (Donzelli Editore, 1993), per farsene una idea. De Saint Victor incardina la sua storia nello scorrere dei rapporti tra mafie e potere nel corso di due secoli, nei “patti” dunque, in un certo senso. Sennonché quello che lo interessa non è tanto una storia morbosa della patologia della “contiguità” delle classi dirigenti; piuttosto è una descrizione di come le aree della impresa mafiosa si evolvono, cambiano nel tempo, in relazione a quello che cambia nella economia, nei processi democratici, nelle emergenze della violenza (guerre e rivolte) e nella ordinaria violenza del controllo della società, nei modi nei quali la gente partecipa alla evoluzione e ai fallimenti di quelle economie e di quelle forme di assistenza, nei consumi vietati e nella più recente apoteosi dei crimini finanziari. Scegliere il punto di vista dei “patti” equivale ad offrire una storia dei fenomeni mafiosi incardinata nella evoluzione di economie, di società e di politiche alle quali si applica il parassitismo e l’invenzione predatoria delle mafie.  Con il risultato di offrire sullo stesso piano una storie delle mafie  ed una storia di tutto il resto, nella loro naturale e comprensibile connessione. A me è parso un libro illuminante, peraltro molto ben scritto (non solo le frasi sono ben scritte, ma la logica è ben strutturata, vale a dire che è uno di quei libri nei quali è evidente che l’autore si è proposto un “racconto”, ha dipanato le cose da dire dal punto di vista di chi le legge; cosa, questa, probabilmente difficile a fronte di un materiale immenso, come quello di due secoli di storie che da paesini e quartieri balzano al mondo e tornano ai luoghi di partenza).

Accade così di comprendere bene come possano stare in un medesimo racconto l’utilizzo risorgimentale del “malandrinaggio” (il prefetto napoletano Liborio Romano che escogita il primo “patto scellerato” al fine di mobilitare le bande camorriste per tenere sotto controllo il popolino sanfedista per evitare una guerra civile nell’imminenza dell’ingresso dell’esercito di Garibaldi!); le forme di collaborazione intensa tra borghesie e mafiosi nella dialettica di minacce e protezioni, dall’economia degli agrumeti a quella delle catene di supermercati; i meccanismi del nascondimento della mafiosità durante il fascismo e la aperta politicità nei sostegni elettorali dell’epoca democristiana; l’avvento dello Stato assistenziale e la collaborazione nel dispiegarne gli effetti e nel predarne fette cospicue (chiave di lettura sostanziale in tutte le storie delle “cattedrali nel deserto”); i diversi effetti del contenimento delle mafie con una crescita democratica ed assistenziale, nella sua versione virtuosa in Francia (Marsiglia) e nella nostra Sicilia; la incontenuta follia  omicida degli anni ’80, guerra interna alla mafia scatenata dalla furiosa gelosia corleonese contro gli enormi arricchimenti delle dinastie mafiose palermitane con i traffici della droga; sino ai paradossi recenti di una criminalità finanziaria che, a partire dagli Stati Uniti, inventa una mafiosità senza bande. Insomma, una storia della mafia come faccia della storia del mondo; capace di impossessarsi di prede rese disponibili da economie e da istituzioni antiche e contemporanee, da mercati di beni che vanno dagli aranci alle autostrade, dalla cocaina ai resti del comunismo sovietico ed ai mutui “subprime”.

Secondo me, un bel libro. A conferma che si può sempre andare in libreria contando di aver fortuna.

 

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