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La Svezia si volge al Giappone, di Paul Krugman (New York Times, 20 aprile 2014)

 

Sweden Turns Japanese

APRIL 20, 2014 Paul Krugman

Three years ago Sweden was widely regarded as a role model in how to deal with a global crisis. The nation’s exports were hit hard by slumping world trade but snapped back; its well-regulated banks rode out the financial storm; its strong social insurance programs supported consumer demand; and unlike much of Europe, it still had its own currency, giving it much-needed flexibility. By mid-2010 output was surging, and unemployment was falling fast. Sweden, declared The Washington Post, was “the rock star of the recovery.”

Then the sadomonetarists moved in.

The story so far: In 2010 Sweden’s economy was doing much better than those of most other advanced countries. But unemployment was still high, and inflation was low. Nonetheless, the Riksbank — Sweden’s equivalent of the Federal Reserve — decided to start raising interest rates.

There was some dissent within the Riksbank over this decision. Lars Svensson, a deputy governor at the time — and a former Princeton colleague of mine — vociferously opposed the rate hikes. Mr. Svensson, one of the world’s leading experts on Japanese-style deflationary traps, warned that raising interest rates in a still-depressed economy put Sweden at risk of a similar outcome. But he found himself isolated, and left the Riksbank in 2013.

Sure enough, Swedish unemployment stopped falling soon after the rate hikes began. Deflation took a little longer, but it eventually arrived. The rock star of the recovery has turned itself into Japan.

So why did the Riksbank make such a terrible mistake? That’s a hard question to answer, because officials changed their story over time. At first the bank’s governor declared that it was all about heading off inflation: “If the interest rate isn’t raised now, we’ll run the risk of too much inflation further ahead … Our most important task is to ensure that we meet our inflation target of 2 percent.” But as inflation slid toward zero, falling ever further below that supposedly crucial target, the Riksbank offered a new rationale: tight money was about curbing a housing bubble, to avert financial instability. That is, as the situation changed, officials invented new rationales for an unchanging policy.

 

 

In short, this was a classic case of sadomonetarism in action.

I’m using that term (coined by William Keegan of The Observer) advisedly, not just to be colorful. At least as I define it, sadomonetarism is an attitude, common among monetary officials and commentators, that involves a visceral dislike for low interest rates and easy money, even when unemployment is high and inflation is low. You find many sadomonetarists at international organizations; in the United States they tend to dwell on Wall Street or in right-leaning economics departments. They don’t, I’m happy to say, exert much influence at the Federal Reserve — but they do constantly harass the Fed, demanding that it stop its efforts to boost employment.

And when I say that the dislike for low rates is visceral, I mean just that. While sadomonetarists may offer what sound like coherent analytical rationales for their policy views, they don’t change their policy views in response to changing conditions — they just invent new rationales. This strongly suggests that what we’re looking at here is a gut feeling rather than a thought-out position.

Indeed, the Riksbank’s evolving justifications for rate hikes were mirrored at international organizations like the Switzerland-based Bank for International Settlements, an influential bankers’ bank that is a sadomonetarist stronghold. Just like the Riksbank, the bank changed its rationale for rate hikes — It’s about inflation! It’s about financial stability! — but never its policy demands.

 

 

Where does this gut dislike for low rates come from? At some level it has to reflect an instinctive identification with the interests of wealthy creditors as opposed to usually poorer debtors. But it’s also driven, I believe, by the desire of many monetary officials to pose as serious, tough-minded people — and to demonstrate how tough they are by inflicting pain.

Whatever their motives, sadomonetarists have already done a lot of damage. In Sweden they have extracted defeat from the jaws of victory, turning an economic success story into a tale of stagnation and deflation as far as the eye can see.

And they could do much more damage in the future. Financial markets have been fairly calm lately — no big banking crises, no imminent threats of euro breakup. But it would be wrong and dangerous to assume that recovery is assured: bad policies could all too easily undermine our still-sluggish economic progress. So when serious-sounding men in dark suits tell you that it’s time to stop all this easy money and raise rates, beware: Look at what such people have done to Sweden

 

La Svezia si volge al Giappone, di Paul Krugman

New York Times, 20 aprile 2014

 

Tre anni orsono la Svezia era generalmente considerata come un esempio di come fare i conti con una crisi globale. Le esportazioni furono colpite duramente dal crollo del commercio mondiale ma si ripresero velocemente; le sue banche ben regolamentate superarono la tempesta finanziaria; i suoi forti programmi della sicurezza sociale sostennero la domanda di consumi e, diversamente da buona parte dell’Europa, la nazione aveva ancora la propria valuta, il che le dava la indispensabile flessibilità. Verso la metà del 2010 la produzione stava crescendo e la disoccupazione stava calando velocemente. La Svezia, scrisse il The Washington Post, era “la rock star della ripresa”.

Poi entrarono in scena i sadomonetaristi.

Il racconto sino a questo punto: nel 2010 l’economia svedese stava andando molto meglio di quelle degli altri paesi avanzati. Ma la disoccupazione era ancora elevata, e l’inflazione era bassa. Ciononostante, la Riksbank – l’equivalente svedese della Federal Reserve – decise di cominciare ad alzare i tassi di interesse.

Su questa decisione, ci furono alcuni dissensi dentro la Riksbank. Lars Svensson, all’epoca un vicegovernatore – nonché un mio passato collega a Princeton – si oppose energicamente all’elevamento del tasso. Il signor Svensson, uno dei massimi esperti al mondo delle trappole deflazionistiche sul modello del Giappone, mise in guardia che elevare i tassi di interesse in un’economia ancora depressa avrebbe provocato per la Svezia il rischio di un risultato analogo. Ma si ritrovò isolato, e lasciò la Riksbank nel 2013.

Chiaramente, la disoccupazione svedese smise di scendere subito dopo l’avvio dell’elevamento del tasso. La deflazione prese un po’ più di tempo, ma alla fine arrivò [1]. La rock star della ripresa si era anch’essa trasformata nel Giappone.

Perché, dunque, la Riksbank fece quel terribile sbaglio? E’ difficile dare una risposta a questa domanda, perché i responsabili hanno cambiato col tempo la loro spiegazione. All’inizio il Governatore dichiarò che tutto era dipeso dal voler sbarrare la strada all’inflazione: “se il tasso di interesse non fosse cresciuto in quel momento, avremmo corso il rischio di avere troppa inflazione più avanti … Il nostro obbiettivo più importante era assicurarci di corrispondere al livello programmato di inflazione del 2 per cento.” Ma come l’inflazione scivolò verso lo zero, scendendo ulteriormente assai più in basso di quello che si supponeva fosse l’obbiettivo fondamentale, la Riksbank offrì una nuova spiegazione: la restrizione monetaria serviva a mettere a freno una bolla immobiliare, in modo da evitare l’instabilità finanziaria. Vale a dire, appena la situazione cambiava, i dirigenti inventavano nuove spiegazioni per una politica immutata.

In poche parole, era un classico esempio di sadomonetarismo in funzione.

Sto usando questo termine (coniato di William Keegan, di The Observer) a ragion veduta, non solo per essere colorito. Almeno per come io lo intendo, il sadomonetarismo è una attitudine, comune tra i responsabili monetari e tra i commentatori, che riguarda una repulsione viscerale per i bassi tassi di interesse e per la moneta facile, anche quando la disoccupazione è alta e l’inflazione è bassa. Potete trovare molti sadomonetaristi nelle organizzazioni internazionali; negli Stati Uniti di norma risiedono a Wall Street o nelle sedi universitarie con orientamenti di destra. Non esercitano molta influenza presso la Federal Reserve, e di questo sono lieto – ma costantemente assillano la Fed, chiedendo che essa interrompa i suoi sforzi per incoraggiare l’occupazione.

E quando dico che la repulsione per i bassi tassi è viscerale, intendo proprio quello. Se i sadomonetaristi possono fornire qualcosa che assomigli a  spiegazioni coerenti ed analitiche dei loro punti di vista, essi poi non li cambiano col mutare delle condizioni – inventano soltanto nuove ragioni. Questo indica chiaramente che siamo in presenza di un sentimento viscerale, piuttosto che di una posizione riflettuta.

In effetti, le mutevoli giustificazioni della  Riksbank per il rialzo dei tassi si rispecchiavano in organizzazioni internazionali come la Banca dei Regolamenti Internazionali [2] con sede in Svizzera, una influente banca di banchieri centrali che è una fortezza del sadomonetarismo. Esattamente come la Riksbank, la Banca ha modificato le sue motivazioni per il rialzo del tassi – “Dipende dall’inflazione!”, “Dipende dalla stabilità finanziaria!” – ma non ha mai modificato le sue richieste politiche.

Da dove proviene questo rigetto viscerale per bassi tassi? A qualche livello, esso deve riflettere una istintiva identificazione con gli interessi dei creditori ricchi, in alternativa ai solitamente poveri creditori. Ma credo che esso sia anche guidato dal desiderio di molti responsabili monetari di atteggiarsi a persone dai principi inflessibili – e di dimostrare con quanta determinazione siano prossimi ad infliggere le punizioni.

Qualsiasi siano le loro ragioni, i sadomonetaristi hanno già fatto una gran quantità di danni. In Svezia sono stati capaci di trasformare in sconfitta una vittoria che era già a portata di mano, modificando, per quanto si può prevedere,  la storia di un successo economico in un racconto di stagnazione e di deflazione.

E potrebbero fare molto maggiore danno in futuro. Nel periodo recente i mercati finanziari sono stati abbastanza calmi – niente crisi bancarie, nessuna imminente minaccia di un crollo dell’euro. Ma sarebbe sbagliato e pericoloso considerare che la ripresa sia garantita: politiche negative potrebbero anche troppo facilmente minare il nostro ancora fiacco progresso economico. Dunque, quando individui apparentemente seri, elegantoni nei loro completi scuri, vi raccontano che è l’ora di interrompere tutto questo denaro facile e di innalzare i tassi, state in guardia: guardate cosa quella gente ha combinato in Svezia.


 

 

 

 


[1] Prendiamo dal blog di Krugman, su un post preparatorio, questa tabella che indica l’andamento deflazionistico in Svezia, una tendenza chiara dal 2010 e definitivamente rafforzatasi col primo trimestre del 2014:

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[2] La Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) (in inglese: Bank for International Settlements, BIS) è un’organizzazione internazionale avente sede sociale a Basilea, in Svizzera. Fondata nel 1930 in attuazione del Piano Young, essa è la più antica istituzione finanziaria internazionale.

Pur essendo un’organizzazione internazionale, la BRI è strutturata come una società anonima per azioni, avente un Consiglio di amministrazione e un Direttore generale; tuttavia, le sue azioni possono essere sottoscritte unicamente da banche centrali o da istituti finanziari designati. Attualmente possiedono quote azionarie, e sono pertanto rappresentate alle sedute dell’Assemblea generale, 55 banche centrali, nonché la Banca centrale europea.

Il principale scopo dell’organizzazione è promuovere la cooperazione tra la banche centrali. Al contempo, la BRI fornisce specifici servizi finanziari in qualità di “banca delle banche centrali” ed opera come agente o mandataria (trustee) nei pagamenti internazionali che le vengono affidati. Infine, la BRI rappresenta oggi un rinomato centro internazionale di ricerca in ambito finanziario, monetario ed economico. (Wikipedia)

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