Blog di Krugman

Macroeconomia e lotta di classe (28 aprile 2014)

 

Apr 28, 7:45 am

Macroeconomics and Class Warfare

Back when Obama was proposing a spending plan to boost the economy, and some of us were pleading for a bigger plan, it was common to hear people from both the right and the crazy center declaring that it was all a ruse, an attempt to smuggle in liberal priorities under the guise of fiscal stimulus. This was, as it happens, completely false – and in the case of the right-wingers, a case of projection. After all, Obama didn’t try to sell permanent spending increases as short-run stimulus – but Bush did exactly that when pushing his tax cuts.

And what’s more, it wouldn’t have worked. If anything, your best bet is to try it the other way – to push proposals that will stimulate the economy while also building infrastructure and/or reducing inequality, and to make the long-run, class-warfare aspects the heart of your sales pitch.

This may seem odd. Shouldn’t it be easier to sell win-win ideas, which will make everyone or almost everyone better off? Well, it would be if the public “got” Keynesian economics. But even educated readers tend not to get the idea that the economy as a whole can suffer from inadequate demand (hey, lots of U. of Chicago professors don’t get it either.) And I don’t think it’s for want of efforts to get the point across.

The key sticking point is right at the beginning. Never mind monetary and fiscal policy; the very notion that the economy can suffer from too little spending turns out to be inherently difficult. When I give public talks, I get some traction (I think) by asking people what happens if everyone tries to cut his or her spending at the same time, then pointing out that my spending is your income and your spending is my income. But I don’t think it sticks for many people: the appeal of the economy-as-household metaphor usually takes over.

I’m not making this judgment entirely based on gut feelings. We do have some metrics here – imperfect metrics, but still useful. Look, for example, at book sales: Has there ever been a monster bestseller about fighting recessions, or even about growth for its own sake? I don’t think so. The blockbusters are always, one way or another, about us versus them – going head to head, competing in a flat world, or now trying to stop the rise of the one percent. In saying this I don’t mean to denigrate the last entry: Piketty’s book is awesomely good, and deserves all the acclaim it’s getting. But it is notable that in a time of deeply depressed labor markets, our biggest thing is long-run inequality.

Or closer to home, I do of course track how my columns do on the most-emailed list; and there’s no question that inequality gets a bigger response than demand-side macro.

This doesn’t mean that we should (or that I will) stop trying to get the truth about depression economics across. But it’s an interesting observation, and I think it has implications for how politicians should go about doing the right thing.

 

Macroeconomia e lotta di classe

 

Quando nel passato Obama propose un piano di spesa per sostenere l’economia, e alcuni di noi fecero appello ad un programma più consistente, era frequente sentire persone sia della destra che del fantastico centro dichiarare che era tutto un trucco, un tentativo di mascherare gli obbiettivi prioritari dei progressisti nella forma di misure di sostegno tramite la spesa pubblica. Si dà il caso che questo fosse completamente falso – per quello che riguardava la destra, un episodio di proiezione. Dopo tutto, Obama non cercava di far accettare incrementi permanenti della spesa nella forma di misure di sostegno di breve periodo – invece Bush aveva esattamente fatto quello, quando impose i suoi sgravi fiscali.

E la cosa più importante è che tutto ciò non avrebbe funzionato. La cosa migliore è semmai quella di cercare di scommettere nel modo opposto – avanzare proposte che stimoleranno l’economia nel mentre si costruiscono assieme infrastrutture e/o si riduce l’ineguaglianza, e rendere gli aspetti della lotta di classe nel lungo periodo il cuore della vostra propaganda.

Questo può sembrare strano. Non dovrebbe essere più facile mettere in circolazione idee sicuramente vincenti, che farebbero star meglio tutti o quasi tutti? Ebbene, sarebbe così se l’opinione pubblica ‘capisse’ l’economia keynesiana. Ma persino i lettori più istruiti tendono a non capire l’idea che l’economia possa soffrire per una domanda inadeguata (si badi, neanche molti professori di Chicago lo capiscono). Ed io non penso che questo dipenda dalla insufficienza degli sforzi nel comunicare quell’argomento.

L’intoppo cruciale è proprio all’inizio. Non conta la politica monetaria o della finanza pubblica; è proprio il concetto che l’economia possa soffrire per una spesa inadeguata che si dimostra essere intrinsecamente difficile. Quando faccio discorsi pubblici, mi pare di ottenere un qualche vantaggio chiedendo alle persone cosa accadrebbe se tutti cercassero di tagliare le proprie spese contemporaneamente, per poi mettere in evidenza che la mia spesa è il tuo reddito e che la tua spesa è il mio reddito.  Ma non penso che questo entri nella testa di molti; il fascino della metafora dell’economia-come-una-famiglia normalmente prevale.

Non avanzo questa impressione basandomi interamente su sensazioni istintive. In questo caso abbiamo alcuni metri di misura – metri di misura imperfetti, ma tuttavia utili. Si guardi, ad esempio, alle vendite di libri: c’è mai stato un bestseller di enorme fortuna sul come combattere le recessioni, o persino anche su come crescere per il proprio interesse? Non credo. I grandi successi commerciali riguardano tutti, in un modo o nell’altro, il confronto tra noi e gli altri – il procedere spalla a spalla, il competere in un mondo stagnante, oppure ai giorni nostri il cercar di fermare la crescita dell’1 per cento dei più ricchi. Nel dir questo non intendo svalutare l’ultimo ingresso in scena: il libro di Piketty è straordinariamente buono, e merita tutti gli elogi che sta ottenendo. Ma è notevole che in un’epoca di mercati del lavoro profondamente depressi, il nostro tema più grande sia l’ineguaglianza di lungo periodo.

O, per venire ai nostri casi, naturalmente io seguo quali risultati ottengono i miei articoli nell’elenco di quelli che ricevono maggiori commenti; e non c’è dubbio che l’ineguaglianza ottenga un responso più grande che non la macroeconomia dal lato della domanda.

Questo non significa che dovremmo smettere (o che io smetterò) di cercare di capire la verità  sulla teoria economica all’interno delle depressioni. Ma si tratta di una osservazione interessante, e penso che abbia implicazioni sul come i politici dovrebbero comportarsi nel fare le cose giuste.

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