Blog di Krugman

Sui blog economici progressisti (30 aprile 2014)

 

Apr 30, 8:30 am

On Progressive Econoblogging

Chris House replies graciously to my critique of his critique. However, I have some further thoughts here. The crucial question, it seems to me, is what econobloggers — and in particular, those who happen to be political progressives — are doing, and what they should be trying to do.

House sees the kind of blogging I and a number (but not a large number, which is important) of other people are doing as a matter of preaching to the choir, talking in the echo chamber, whatever. And he therefore argues that we should bend over backward to avoid reinforcing our audience’s prejudices.

But I see myself, and Mark Thoma, and Brad DeLong, and Mike Konczal, and Simon Wren-Lewis, and a few others as something quite different — as voices in the wilderness.

Now, you may say that it’s a pretty cushy wilderness — and in my case it definitely is; not just monetarily, but my spot at the Times is a dream gig for many journalists, I have a million Twitter followers, etc. etc. You may also say that there is indeed a choir that hears my preaching — and for sure there is; plenty of liberals read me for reassurance in what they already believed.

But other people also read me — often with distaste, but still they do hear what I say. What I and other econobloggers write is heard at the ECB, the IMF. the European Commission, CBO, the White House, Treasury, and so on. So there is some outreach.

And on the other hand, while it may be a comfortable wilderness, it’s a wilderness all the same. Politics and policy are overwhelmingly dominated by what I call the Very Serious People — people who insist that deficits are our most pressing problem, that high unemployment must be a matter of inadequate skills, that low marginal tax rates on the rich are essential for growth. Behind the conventional wisdom of the VSPs lies a vast mass of power and prejudice. As Ezra Klein once pointed out in connection with Alan Simpson, the influence of the deficit scolds is so great that by and large the press abandons any notion of objectivity and simply assumes that the VSPs are right and what they want is good.

And against all this power of conventional wisdom — which is often, by the way, at odds with basic economic analysis and the preponderance of evidence — you have … a handful of progressive economics bloggers. Some of them — well, mainly me — have prominent perches. But it’s still a very unequal match.

So I see no reason to bend over backwards to annoy my most loyal readers. I won’t ever say anything I don’t believe to be true, and I try not to sheer away from saying things my fan club will dislike. But shocking the liberal bourgeoisie is not how I see my job.

 

Sui blog economici progressisti

 

Chris House replica cortesemente alla mia critica della sua critica [1]. Tuttavia, io ho qualche pensiero ulteriore a questo proposito. La domanda cruciale, mi pare, è che cosa stiano facendo i blogger dell’economia – e, in particolare, quelli che per combinazione sono progressisti – e cosa dovrebbero cercar di fare.

House considera il genere di blog che io ed un certo numero (non un largo numero, il che è importante) di altre persone stiamo realizzando come una faccenda paragonabile allo sfondare porte aperte, al parlare in una camera di risonanza, o cose del genere. E di conseguenza ritiene che dovremmo farci in quattro per evitare di rafforzare i pregiudizi del nostro pubblico.

Ma io considero me stesso, e Mark Thoma, e Brad DeLong, e Mike Konczal, e Simon Wren-Lewis e pochi altri come qualcosa di assai diverso – piuttosto come voci solitarie.

Ora, si può dire che la nostra è una solitudine abbastanza comoda – e nel mio caso è chiaramente così; il mio posto al Times è un lavoretto da sogno per molti giornalisti, non solo da un punto di vista monetario, ho un milione di seguaci su Twitter, etc. etc. Si può anche dire che c’è un pubblico che ascolta le mie prediche [2] – e di sicuro c’è; una quantità di progressisti mi leggono per rassicurarsi di quello di cui sono già convinti.

Ma mi leggono anche altri – spesso con repulsione, eppure anche loro ascoltano quello che dico. Quello che io ed altri bloggers di economia scriviamo è ascoltato dalla BCE, dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Commissione Europea, dal Congressional Budget Office, dalla Casa Bianca, dal Tesoro, e così via. Dunque esiste un certo raggio di azione.

E d’altra parte, mentre è una solitudine comoda, è pur sempre una solitudine. I politici e la politica sono completamente dominati da quelle che chiamo le Persone Molto Serie – persone che insistono che i deficit sono il nostro problema più pressante, che l’alta disoccupazione deve essere una faccenda di competenze inadeguate, che aliquote fiscali marginali basse per i ricchi sono essenziali per la crescita. Dietro la presunta saggezza convenzionale delle Persone Molto Serie c’è una grande mole di potere e di pregiudizio. Come una volta Ezra Klein mise in evidenza in una connessione con Alan Simpson, l’influenza delle Cassandre del deficit è così grande che dappertutto la stampa mette da parte ogni principio di obiettività e semplicemente considera che le Persone Molto Serie hanno ragione e che quello che vogliono è la cosa giusta.

E contro questo potere di presunta saggezza convenzionale – che, per inciso, spesso è agli antipodi della analisi economica di base e di grandissima parte dei fatti – c’è …. una manciata di blogger economisti progressisti. Alcuni di loro – beh, principalmente il sottoscritto – hanno piedistalli di spicco. Ma è ancora una partita assolutamente impari.

Dunque, io non vedo ragione di farmi in quattro per disturbare i miei lettori più fedeli. Non dirò mai niente che non credo che sia vero, e non la prendo alla larga quando ho da dire cose che dispiaceranno alla mia squadra di tifosi. Ma traumatizzare la borghesia progressista non è il modo in cui concepisco il mio lavoro.

 

 

[1] Si tratta del post di Krugman del 29 aprile scorso. Christopher L. House e professore di economia all’Università del Michigan.

[2] “To preach to the choir” è normalmente una espressione idiomatica, che si traduce, come ho fatto in precedenza, con “sfondare porte aperte”. Ma lo è per il suo senso letterale, che significa “fare prediche al coro”, ovvero fare prediche alla parte del proprio pubblico che normalmente è già persuasa. In questo secondo caso traduco letteralmente, perché l’intenzione è propri quella di riferirsi al senso letterale.

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