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Gli ingegnosi imbroglioni delle imprese, di Paul Krugman (New York Times 27 luglio 2014)

Corporate Artful Dodgers

Tax Avoidance du Jour: Inversion

JULY 27, 2014 Paul Krugman

In recent decisions, the conservative majority on the Supreme Court has made clear its view that corporations are people, with all the attendant rights. They are entitled to free speech, which in their case means spending lots of money to bend the political process to their ends. They are entitled to religious beliefs, including those that mean denying benefits to their workers. Up next, the right to bear arms?

There is, however, one big difference between corporate persons and the likes of you and me: On current trends, we’re heading toward a world in which only the human people pay taxes.

We’re not quite there yet: The federal government still gets a tenth of its revenue from corporate profits taxation. But it used to get a lot more — a third of revenue came from profits taxes in the early 1950s, a quarter or more well into the 1960s. Part of the decline since then reflects a fall in the tax rate, but mainly it reflects ever-more-aggressive corporate tax avoidance — avoidance that politicians have done little to prevent.

Which brings us to the tax-avoidance strategy du jour: “inversion.” This refers to a legal maneuver in which a company declares that its U.S. operations are owned by its foreign subsidiary, not the other way around, and uses this role reversal to shift reported profits out of American jurisdiction to someplace with a lower tax rate.

The most important thing to understand about inversion is that it does not in any meaningful sense involve American business “moving overseas.” Consider the case of Walgreen, the giant drugstore chain that, according to multiple reports, is on the verge of making itself legally Swiss. If the plan goes through, nothing about the business will change; your local pharmacy won’t close and reopen in Zurich. It will be a purely paper transaction — but it will deprive the U.S. government of several billion dollars in revenue that you, the taxpayer, will have to make up one way or another.

Does this mean President Obama is wrong to describe companies engaging in inversion as “corporate deserters”? Not really — they’re shirking their civic duty, and it doesn’t matter whether they literally move abroad or not. But apologists for inversion, who tend to claim that high taxes are driving businesses out of America, are indeed talking nonsense. These businesses aren’t moving production or jobs overseas — and they’re still earning their profits right here in the U.S.A. All they’re doing is dodging taxes on those profits.

And Congress could crack down on this tax dodge — it’s already illegal for a company to claim that its legal domicile is someplace where it has little real business, and tightening the criteria for declaring a company non-American could block many of the inversions now taking place. So is there any reason not to stop this gratuitous loss of revenue? No.

Opponents of a crackdown on inversion typically argue that instead of closing loopholes we should reform the whole system by which we tax profits, and maybe stop taxing profits altogether. They also tend to argue that taxing corporate profits hurts investment and job creation. But these are very bad arguments against ending the practice of inversion.

First of all, there are some good reasons to tax profits. In general, U.S. taxes favor unearned income from capital over earned income from wages; the corporate tax helps redress this imbalance. We could, in principle, maintain taxes on unearned income if we offset cuts in corporate taxes with substantially higher tax rates on income from capital gains and dividends — but this would be an imperfect fix, and in any case, given the state of our politics, this just isn’t going to happen.

Furthermore, ending profits taxation would greatly increase the power of corporate executives. Is this really something we want to do?

As for reforming the system: Yes, that would be a good idea. But the case for eventual reform basically has nothing to do with the case for closing the inversion loophole right now. After all, there are big debates about the shape of reform, debates that would take years to resolve even if we didn’t have a Republican Party that reliably opposes anything the president proposes, even if it was something Republicans were for just a few years ago. Why let corporations avoid paying their fair share for years, while we wait for the logjam to break?

Finally, none of this has anything to do with investment and job creation. If and when Walgreen changes its “citizenship,” it will get to keep more of its profits — but it will have no incentive to invest those extra profits in its U.S. operations.

So this should be easy. By all means let’s have a debate about how and how much to tax profits. Meanwhile, however, let’s close this outrageous loophole.

 

Gli ingegnosi imbroglioni delle imprese.

L’elusione fiscale di questi tempi: la “trasposizione”

Di Paul Krugman

In decisioni recenti, la maggioranza conservatrice della Corte Suprema ha chiarito il suo punto di vista, secondo il quale le imprese sono individui, con tutti i diritti conseguenti. Hanno diritto alla libertà di parola, che nel loro caso significa spendere un mucchio di soldi per orientare il processo politico alle loro finalità. Hanno diritto alle convinzioni religiose, incluse quelle che comportano di rifiutare i sussidi ai loro lavoratori [1]. A quando il diritto di portare le armi?

C’è tuttavia una grande differenza tra i titolari delle imprese e le persone come voi e me: secondo le tendenze in atto, stiamo andando verso un mondo nel quale soltanto gli uomini in carne ed ossa pagano le tasse.

Non siamo ancora arrivati a quel punto: il Governo Federale ottiene ancora un decimo delle sue entrate dalla tassazione dei profitti di impresa. Ma una volta prendeva molto di più – agli inizi degli anni ’50, un terzo delle entrate venivano dalla tassazione sui profitti, un quarto o più sino a una buona parte degli anni ’60. Da allora, una parte del declino riflette una diminuzione delle aliquote fiscali, ma esso principalmente riflette una sempre più aggressiva elusione delle tasse sulle imprese – elusione che i politici hanno fatto poco per impedire.

Il che mi porta alla strategia del giorno della elusione fiscale: la cosiddetta “trasposizione”. Il termine si riferisce ad una manovra legale con la quale una impresa dichiara che le sue operazioni negli Stati Uniti sono a carico di sue società controllate all’estero, non il contrario, ed utilizza questa inversione di ruoli per spostare i profitti conseguiti fuori dalla giurisdizione americana, verso luoghi con aliquote fiscali più basse.

La cosa più importante da comprendere a proposito della “trasposizione” è che essa in nessun senso comporta che le imprese si ‘spostino all’estero’. Si consideri il caso della Walgreen, il gigante della catena delle farmacie [2] che, secondo vari resoconti, è prossimo a trasferirsi legalmente in Svizzera. Se il progetto si realizza, non cambierà niente nell’impresa; la vostra locale farmacia non chiuderà per riaprire a Zurigo. Si tratterà di un puro spostamento cartaceo – ma priverà il Governo degli Stati Uniti di svariati miliardi di dollari di entrate che voi contribuenti dovrete in un modo o nell’altro compensare.

Significa questo che il Presidente Obama ha torto nel descrivere le società che si impegnano nella “trasposizione” come casi di “diserzione delle imprese”? Niente affatto – esse si stanno sottraendo al loro dovere civico, e non è importante se esse si spostano all’estero nel vero senso della parola o no. Sono invece i difensori della “trasposizione”, che vorrebbero sostenere che sono le tasse elevate che portano le imprese fuori dall’America, a dire cose prive di senso. Queste imprese non stanno spostando all’estero la produzione o i posti di lavoro – e continuano a guadagnare i loro profitti esattamente negli Stati Uniti d’America. Tutto quello che stanno facendo è eludere le tasse sui quei profitti.

E il Congresso potrebbe reprimere questa elusione fiscale – è già illegale per una impresa sostenere che il suo domicilio legale è un posto dove essa fa pochi affari effettivi; restringere le modalità per definirsi una impresa non-americana bloccherebbe molte delle “trasposizioni” che sono oggi in atto. Dunque non c’è alcuna ragione per non fermare questa gratuita perdita di entrate.

Generalmente, gli oppositori di una repressione della “trasposizione” sostengono che invece di chiudere le scappatoie dovremmo riformare l’intero sistema con il quale tassiamo i profitti, e magari smettere del tutto di tassarli. Tendono anche ad affermare che tassare i profitti di impresa colpisce gli investimenti e la creazione dei posti di lavoro. Ma questi sono pessimi argomenti contro l’elusione.

Prima di tutto, ci sono alcune buone ragioni per tassare i profitti. In generale, le tasse negli Stati Uniti favoriscono il reddito da capitale che non comporta specifico impegno professionale [3] rispetto al reddito da salari ottenuto col lavoro; la tassa sulle imprese aiuta a rimediare a questo squilibrio. Potremmo, in via di principio, mantenere le tasse sul reddito non derivante da specifica attività professionale, se bilanciassimo i tagli alle tasse sulle imprese con aliquote fiscali sostanzialmente più elevate sul reddito derivante dai profitti di capitale e dai dividendi – ma questo sarebbe un rimedio imperfetto e, in ogni caso, considerata la condizione della nostra politica, non è proprio quello che è destinato ad accadere.

Inoltre, interrompere la tassazione sui profitti accrescerebbe grandemente il potere dei dirigenti d’azienda. E’ davvero questo ciò che vogliamo fare?

Quanto a riformare il sistema: sì, sarebbe una buona idea. Ma l’ipotesi di una eventuale riforma non ha niente a che fare con il chiudere la scappatoia della “trasposizione” senza indugio. Dopo tutto, sono in corso grandi dibattiti sulle modalità di quella riforma, dibattiti che prenderebbero anni per arrivare ad una conclusione, anche se non avessimo un Partito Repubblicano che con tutta probabilità si opporrebbe a tutto quello che il Presidente propone, persino se fosse qualcosa a cui erano favorevoli solo pochi anni fa. Perché consentire alle imprese di non pagare per anni la parte che è di loro spettanza, nel mentre aspettiamo che la paralisi si interrompa?

Infine, niente di tutto questo ha a che fare con gli investimenti e la creazione dei posti di lavoro. Se e quando la Walgreen cambierà la sua cittadinanza, essa si terrà di più dai suoi profitti – ma non avrà alcun incentivo ad investire tali profitti aggiuntivi nelle operazioni negli Stati Uniti.

Così, dovrebbe trattarsi di una cosa facile. Di sicuro dobbiamo avere un confronto su come e su quanto tassare i profitti. Nel frattempo, tuttavia, interrompiamo queste scandalose scappatoie fiscali.

 

 

[1] La storia, raccontata il 30 giugno dal New York Times, è la seguente: la Corte Suprema ha stabilito che l’obbligo fissato per le imprese dalla legge di riforma sanitaria – in particolare per le imprese di proprietà familiare – alla copertura delle spese di contraccezione, nell’ambito della assicurazione sanitaria, viola la legge federale che protegge la libertà religiosa.

[2] Alcune immagini della Walgreen, che sembra siano negozi che privilegiano come collocazione gli angoli delle strade, come dice la loro stessa pubblicità (“Walgreens, all’angolo della felicità e della salute”)

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[3] Ad esempio, ogni forma di rendita sulla ricchezza o di speculazione finanziaria. Lo “unearned income”, nella traduzione letterale di “reddito non guadagnato”, non sarebbe comprensibile e sarebbe addirittura una contraddizione in termini. “To earn” è infatti il “guadagnare”, ma solo nel senso di “ricevere in cambio per un lavoro o servizio”, o nel senso di “meritare”. Un impresario che dirige una azienda percepisce un reddito che si considera in generale un compenso alla sua attività professionale; mentre per chi trae vantaggio da una rendita su una ricchezza immobiliare o finanziaria non c’è altra attività che possedere una ricchezza.

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