Blog di Krugman

Il “Beveridge” che rincuora (5 settembre 2014)

 

Sep 5 3:03 pm

The Beveridge That Refreshes

Claims that there is a huge “skills gap”, that much of our unemployment is structural, reflecting an inadequately prepared work force or something like that, generally rest on claims that we have an unusual situation in which many jobs are vacant even as many workers remain unemployed. For example, at the beginning of this year Jaime Dimon co-authored a piece on the alleged skills gap that began,

Today, nearly 11 million Americans are unemployed. Yet, at the same time, 4 million jobs sit unfilled. This is the “skills gap”—the gulf between the skills job seekers currently have and the skills employers need to fill their open positions.

Of course, there are always both unfilled job openings and unemployed workers; claims of an exceptional skills gap would only have some justification if the tradeoff between unemployment and vacancies — the so-called Beveridge curve — had worsened substantially. And for a while there were many claims that this had in fact happened.

But some analysts argued that this was a misreading of the data — the Beveridge curve always looks worse during a recession and the early stages of recovery, then returns to normal as recovery proceeds. And sure enough, researchers at the Cleveland Fed find that the supposed shift in the Beveridge curve has vanished:

z 385

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

And, refreshingly, they even indulge in a bit of discreet and forgivable snark:

Observers have followed the Beveridge curve during the recession and the recovery to glean some insight into potential structural changes in the labor market. Whether or not a shift implies an actual structural change—specifically, a decline in the matching efficiency of the labor market—is still debatable. However, one thing is clear: there is no shift to begin with.

 

Il “Beveridge” che rincuora

Le pretese secondo le quali ci sarebbe un ampio “gap di professionalità”, che gran parte della nostra disoccupazione sia strutturale, riflettendo una forza lavoro inadeguatamente addestrata o qualcosa del genere, generalmente si fondano sugli argomenti secondo i quali avremmo una situazione inusuale nella quale molti posti di lavoro sono vacanti mentre molti lavoratori restano disoccupati. Ad esempio, agli inizi dell’anno Jaime Dimon è stato coautore di un articolo sul preteso gap di professionalità che cominciava in questo modo:

“Oggi, quasi 11 milioni di americani sono disoccupati. Tuttavia, contemporaneamente, 4 milioni di posti di lavoro sono vacanti. Questo è il “gap di professionalità” – l’abisso tra la professionalità che hanno coloro che cercano lavoro e quella di cui hanno bisogno i datori di lavoro per coprire i posti vacanti.”

Naturalmente, ci sono sempre sia disponibilità di posti di lavoro non utilizzate che lavoratori disoccupati; le pretese su un gap eccezionale di professionalità avrebbe qualche giustificazione solo se lo scambio tra disoccupazione e disponibilità – la cosiddetta curva di Beveridge [1] – fosse sostanzialmente peggiorato. E per un po’ ci sono stati molti argomenti secondo i quali questo era davvero accaduto.

Ma alcuni analisti sostennero che questa era una lettura fuorviante dei dati – la curva di Beveridge sembra sempre peggiore durante una recessione e nei primi stadi di una ripresa, poi torna alla normalità quando la ripresa procede. E, come era prevedibile, ricercatori alla Fed di Cleveland ora scoprono che il supposto spostamento nella curva di Beveridge è svanito:

z 385

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed essi, in modo rincuorante, indulgono persino in un discreto e comprensibile sarcasmo:

“Gli osservatori hanno seguito la curva di Beveridge durante la recessione e la ripresa per dedurne qualche intuizione sui potenziali mutamenti strutturali del mercato del lavoro. Che uno spostamento implichi oppure no un effettivo cambiamento strutturale – in particolare, un declino di efficienza del mercato del lavoro nel promuovere l’incontro – è ancora discutibile. Tuttavia, una cosa è chiara: non c’è alcuno spostamento dal quale trarre spunto.”[2]

 

 

[1] William Beveridge fu economista e sociologo, nonché autore di una famosissimo rapporto  che nel dopoguerra costituì la base per la costruzione della Stato Sociale britannico, da parte dei governi laburisti. La “curva di Beveridge” indica la relazione negativa tra il tasso di disoccupazione e il numero di posti vacanti disponibili in rapporto alla forza lavoro. La relazione, dal nome dello studioso  W. Beveridge (che ha ricoperto, tra gli altri incarichi, quello di direttore della London School of Economics), mostra che all’aumentare del numero di posti vacanti, e quindi al diminuire della congestione nel mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione diminuisce. Gli spostamenti, a destra o a sinistra, di questa relazione nel tempo sono da ricondursi a due ordini di ragioni: cambiamenti nel grado di efficienza nel mercato del lavoro e posizione del ciclo economico. Spostamenti della curva verso destra indicano, per es., che, per data offerta di posti vacanti, la disoccupazione è più alta in quanto il mercato del lavoro è meno efficiente. Ciò può essere dovuto alla presenza di maggiori frizioni, quali più elevati costi di assunzione e licenziamento, più alta tassazione sul lavoro, o schemi più onerosi di benefici alla disoccupazione, che non favoriscono l’incontro tra imprese e lavoratori. Anche le diverse fasi del ciclo possono influenzare la posizione della curva: durante le recessioni le condizioni del mercato del lavoro peggiorano, un maggior numero di lavoratori entra nella condizione di disoccupato, rendendo il mercato più congestionato e spostando la curva di B. verso l’esterno. Spostamenti nella posizione della curva sono da attribuirsi anche a cambiamenti delle caratteristiche istituzionali nel mercato del lavoro. Per es., istituzioni che facilitano l’incontro tra imprese e lavoratori (riduzioni dei costi di ricerca del lavoro, agenzie di collocamento ecc.) migliorano l’efficienza nel mercato del lavoro e spostano la curva verso sinistra, in una posizione, quindi, in cui un dato numero di posti vacanti è associato a una minore disoccupazione. D’altro canto, la maggiore partecipazione alla forza lavoro può, almeno nel breve periodo, aumentare il tasso di disoccupazione per un dato livello di posti vacanti: un numero superiore di persone alla ricerca di lavoro rende il mercato più congestionato e riduce quindi la probabilità che i posti disponibili siano coperti celermente. Infine, la presenza di disoccupazione strutturale, inducendo deterioramenti del capitale umano, provoca uno spostamento della curva verso destra. (di Ester Faia, da Treccani)

 

[2] In effetti (e la cosa andrebbe riflettuta anche in relazione agli argomenti usati da Mario Draghi nel suo discorso recente, che sembrano invece avvalorare, per l’Europa, la tesi di un andamento irregolare) il diagramma è abbastanza impressionante per la chiarezza: non c’è stata alcuna recessione, tra quelle esaminate, che si sia discostata dall’andamento prevedibile, sulla base della curva di Beveridge. Ovvero, nella quale non si sia tornati, alla fine dello shock recessivo, al rapporto precedente tra livelli di disoccupazione e disponibilità di posti di lavoro. Questo, per l’ultima recessione, è visibile nella linea marrone, che al secondo trimestre del 2014 torna più o meno ai livelli precedenti l’inizio della crisi.

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