Letture e Pensieri sparsi, di Marco Marcucci

Un’altra dose di economia magica? Marzo 2015

z 539In questi ultimi mesi il dibattito economico – quello che leggiamo sulle traduzioni di questo blog, che hanno per oggetto il mondo e gli Stati Uniti in particolare – si è comprensibilmente spostato su temi nuovi:

  • la ripresa americana, evidente nei dati della produzione e della disoccupazione, ma meno evidente nei dati più generali della occupazione (la percentuale dei disoccupati con l’aggiunta degli ‘scarsamente occupati’ dei lavori a tempo parziale non è scesa di molto, ed i salari non sono saliti in modo significativo) ed anche in considerazione del dubbio (che Krugman ha cominciato a segnalare, vedi posts del 6 e 7 febbraio 2015) dei possibili ‘travasi’ di tale ripresa, tramite l’apprezzamento del dollaro ;
  • l’efficacia maggiore o minore della ‘facilitazione quantitativa’ (in parte indirettamente segnalata dalla perdurante recessione di larga parte dell’Europa, dove la manovra monetaria parte soltanto in questi giorni; in parte limitata dalle prove molteplici di andamenti ben diversi, in molte esperienze storiche ed anche recenti, della base monetaria e della moneta effettivamente utilizzata – si veda a proposito il post di Krugman del 26 febbraio);
  • la natura del pericolo deflattivo europeo (vedi di Robert Skidelsky “Il paradosso del prezzo”, del 25 febbraio 2015; in termini più ampi, due studi dell’anno passato: la relazione di Krugman al convegno della BCE in Portogallo del maggio 2014, il discorso di Mario Draghi al simposio di Jackson Hole dell’agosto del 2014);
  • varie riflessioni ‘postume’ sull’austerità, ovvero sul danno accertato del cosiddetto ‘esperimento naturale’ europeo (in particolare si veda lo studio di Simon Wren-Lewis del 19 febbraio 2015 ed anche il suo post dell’8 febbraio 2015; i post di Krugman del 17 febbraio 2015, del 22 febbraio 2015, del 30 gennaio 2015, del 21 gennaio 2015; l’articolo del 20 gennaio 2015 di Joseph Stiglitz; il post di Francesco Saraceno del 21 gennaio 2015).
  • e naturalmente la Grecia, le cui vicende sono state seguite sia da Krugman che da Wren-Lewis e da Stiglitz con una partecipazione che non ha confronto con il ‘distacco’ del centro-sinistra europeo.

Riesce, dunque, abbastanza naturale tentare qualche riflessione tra questa evoluzione della discussione economica in questi ambienti che seguiamo in modo abbastanza sistematico e quello che potremmo definire come il ‘senso comune’ economico che risulta dal dibattito nazionale, in specie delle varie espressioni del centro-sinistra, ma anche semplicemente dalle cronache dei giornali (“macromedia”, come la chiama Wren-Lewis). E’ un esercizio che faccio ormai con una frequenza bi/trimestrale, sia perché mi pare l’unico modo per dire qualcosa che non sfidi la presunzione, sia perché mi torna utile per riferirmi – come ho fatto sopra – a quelli che mi sembrano i contributi più significativi comparsi sul blog. Direi che il risultato di questa riflessione, ai primi di marzo del 2015, è sconfortante come quelli precedenti, pur trattandosi di uno sconforto, diciamo così, in evoluzione.

Teniamo a mente cosa fu quel senso comune negli anni precedenti della austerità conclamata. Il meglio che si può dire è che l’austerità venne in sostanza ‘registrata’ dalla sinistra italiana ed europea: un dato meramente oggettivo, un pensiero unico senza alternative. Quando essa cominciò a produrre i suoi esiti disastrosi, si cominciò a procedere ‘per aggiunta’: l’austerità non aveva avuto alternative, ma a quel punto bisognava cominciare a pensare ‘anche’ ad altro. Quel procedimento logico, naturalmente, chiudeva ogni varco ad una lettura macroeconomica sostanziale; si trattava in pratica di procedere ad un aggiornamento, di passare ad un altro capitolo, sarebbe stata una perdita di tempo ragionare meglio del fallimento di quello precedente. Non mi pare di aver mai avuto la possibilità di leggere niente, da noi, che somigliasse ad un interesse minimo nei confronti dei sensazionali bassi livelli dei tassi di interesse e della bassa inflazione – ovvero il tema centrale, in questi anni, degli economisti keynesiani. L’espressione ‘trappola di liquidità’ ha continuato a restare confinata in un’area di concetti stravaganti o sottoposti a censura (mesi orsono, per la prima ed unica volta, il principale quotidiano nazionale di orientamento progressista ha spiegato il significato di quel misterioso neologismo). Se poi ci si riflette anche superficialmente, il fatto che praticamente nessuno, a proposito della vicenda greca, abbia voluto dare il minimo rilievo al fatto che la crisi sociale al 2015 di quel paese risulta essere varie volte superiore a quella che era stata prevista nei programmi della Troika, è assolutamente significativo. Come a dire, l’irrilevanza delle cose reali.

In pratica, gli effetti devastanti dell’austerità, per il centro-sinistra europeo di opposizione e di governo, sono stati l’epoca di una convivenza cieca con una realtà sulla quale non si vedeva modo di operare e si preferiva non interpretare. Per alcuni anni si è campati di ‘luci in fondo al tunnel’ di continuo posticipate. E naturalmente, tutto ciò è dipeso anche dall’agire per la prima volta dal dopoguerra, in un contesto di gravissima crisi, con una sovranità nazionale ridimensionata e con istituzioni europee, dal punto di vista della democrazia, rudimentali.

Il punto ora è cercar di comprendere in quale direzione stia evolvendo questo ‘senso comune macroeconomico’, a fronte dei supposti primi cenni di ripresa. C’è un primo aspetto che appare discriminante: quanto si vorranno leggere i fenomeni nel loro effettivo significato di medio e lungo periodo, ovvero quanto si insisterà a leggerli secondo lo schema ‘magico’ che accompagnò le passate speranze negli effetti espansivi dell’austerità.

Il clima di questi giorni non è affatto incoraggiante, a partire dalla definizione stessa di “ripresa”. Si potrebbe proporre questo paragone: immaginiamo la situazione di un individuo che sia precipitato in un burrone discretamente scosceso: è verosimile che egli finisca con l’arrestarsi, nella sua caduta, contro un qualche arbusto che interrompe il precipizio. Cosa conta, a quel punto? Un individuo di normale buon senso, giudicherà che il problema è rappresentato dalle ossa che nel frattempo si è rotto e dal percorso impervio per risalire al punto in cui iniziò la disavventura. Ebbene, pare invece sia cominciato un periodo nel quale l’idea che prende campo in modo indiscusso è la seguente: la ripresa è la fine di un’epoca e di un incubo, la ripresa è il nuovo paradigma. Siamo oltre.

Questo modo di concepire la mera interruzione di un precipizio con un ritorno ‘a quo’, ha varie conseguenze, oltre a quella elementare di trascurare che con riprese di questa entità ci vorrà almeno una decina di anni per recuperare il differenziale di produzione che ci separa dagli anni precedenti la crisi finanziaria del 2008.

La prima conseguenza, mi pare, è che il pericolo della deflazione diventa incomprensibile. Come ha notato Krugman nel post “Panico, velocità e lentezza” del 7 gennaio 2015, il panico per la deflazione europea è la reazione sbagliata, giacché dal primo trimestre del 2008 l’inflazione europea è stata attorno all’obbiettivo del 2 per cento solo nel primo anno e l’inflazione sostanziale (al netto dei prezzi dell’energia e di altri beni volatili) si è gradualmente stabilizzata attorno e sotto l’1 per cento (“si dovrebbe aver avuto reazioni di panico per un periodo prolungato”). L’idea implicita è che l’Europa non seguirà la strada del Giappone, anche se sembra un’idea che non è sorretta da niente. E, in fondo, al ‘decennio perduto’ ci siamo ormai vicini.

La seconda conseguenza è che ancora una volta rischiano di tornare ad essere invisibili i problemi di una riforma dell’Europa e di una nuova politica economica europea. L’enfasi sul “super” Presidente della BCE, va di pari passo con l’affievolimento della attenzione sul ruolo delle istituzioni europee. Ad esempio, non è sorprendente che gli interrogativi posti da Frances Coppola sul carattere davvero minimo del piano straordinario di investimenti annunciato da Juncker (vedi “I CDO di Juncker”, del 7 dicembre 2014), non abbiano avuto alcuna eco, da parte della sinistra europea? E’ possibile che questa poderosa svolta si riduca ad un meccanismo di assicurazione degli investimenti privati, provocato da pochi soldi pubblici che si spera di non utilizzare e che in gran parte vengono sottratti a programmi già esistenti?

Una terza conseguenza mi pare sia quella che deriva dal fatto che – nel contesto di una nuova letale dose di economia “magica” – resteranno invisibili i temi di una drammaticamente necessaria maggiore equità. L’ineguaglianza dei redditi è enormemente precipitata in questi anni di povertà che si diffonde, ma nessuno dei suoi capitoli trova sostenitori espliciti. Perché, in fondo, chi ha tempo, una volta che ci si è fermati in fondo a un precipizio e si è deciso che tutto sta ricominciando nel migliore dei modi, di curarsi degli aspetti più miserevoli della propria situazione?

Allora, il piccolo miracolo di Syriza è stato quello di raccontare alle classi dirigenti europee che in Grecia si ragiona di fornire alimenti, assistenza sanitaria e una soglia gratuita di elettricità a qualche milione di individui.

 

PS – In qualche modo per reazione ad un nuovo periodo di ‘magie economiche’ del senso comune – per le quali la notizia di un giorno soppianta la riflessione su quello che sta accadendo da anni e che accadrà per anni – il libro in copertina è “Cina, una storia millenaria”, del giovane storico tedesco Kai Vogelsang.

 

 

 

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